Un'esperienza di lettura
L'unica cosa che vedo sono i due occhi grandi, verdi e profondi, che spiccano in questo visino coperto per metà da uno chador. Sento la prof che mi chiama, ma non le do retta, non riesco. Sono attirata dallo sguardo della bambina sulla copertina del libro: da qualunque parte la guardi, quegli occhioni mi fissano sempre e mi dicono: "Ho tanto da raccontarti…". Così lo prendo in mano e leggo il titolo: Sotto il burqa, avere undici anni a Kabul. Lo giro e guardo attentamente la recensione: mi colpisce subito la storia di Parvana, ragazzina di un anno più piccola di me, forte, che lotta per sé e per la sua famiglia. Decido così di prenderlo.
Torno a casa, mi siedo sul divano, apro il libro, inizio a leggere le prime pagine e poi… mi fermo. Non riesco a continuare, provo ansia. E pensare che le notizie sull'Afghanistan, sul regime talebano e sui numerosi morti mi vengono raccontate tutti i giorni dai media. Ma purtroppo, con la TV, si rischia di non riuscire a distinguere la realtà dalla finzione. Sembra sempre tutto un film e ci si abitua a vedere e a sentire le cose brutte che accadono nel mondo. Invece, leggere la storia di una ragazzina di qualche anno più piccola di me, la cui vita è immaginata ma basata su racconti veri raccolti dall'autrice mentre era in un campo profughi, mi crea disagio a tal punto che apro e chiudo il libro più volte, per poi arrendermi.
È passato più di un anno e mentre cerco nella mia biblioteca un libro da leggere, incrocio di nuovo gli occhi di Parvana. Mi si chiude lo stomaco. Riprovo la stessa sensazione di disagio provata tempo fa, ma questa volta sono più determinata. Apro il libro e… improvvisamente mi ritrovo catapultata nel mercato di Kabul, su una coperta di lana grigia seduta accanto a Parvana e a suo padre che, avendo frequentato l'università a Londra, si guadagna da vivere leggendo lettere e rispondendo per conto di altre persone analfabete. Da ora non l'abbandono un attimo.
Sono lì con lei quando i talebani fanno irruzione nella sua casa e arrestano il padre innocente, con la sola colpa di aver studiato. Provo la sua medesima angoscia e rabbia, pensando che una sera, all'improvviso, qualcuno possa entrare in casa mia portando via con violenza mio papà, punto saldo della famiglia. Cosa farei? Avrei lo stesso coraggio di Parvana di buttarmi contro chi picchia mia madre e mia sorella e si porta via il mio papà?.
Sono con lei anche quando si traveste da uomo per andare a sostituire il padre al lavoro. Che angoscia! Che paura! Cosa ci potrebbe succedere se ci scoprissero?
Secondo la legge talebana alle donne non è permesso uscire di casa da sole, ma occorre denaro per mantenere la famiglia. Parvana non ci pensa due volte e si taglia i capelli. Ed eccola che diventa Kaseem, cugino di famiglia.
Le pagine scorrono e sento nascere dentro di me un senso di impotenza, perché sono spettatrice passiva nei momenti in cui Parvana viene picchiata ingiustamente, per il solo fatto di essere donna. Vorrei difenderla e aiutarla.
Quando la madre e le sorelle partono per Mazar, la lasciano sola. Vorrei portarla al sicuro tra le mura di casa mia, dove qualcuno potrebbe occuparsi di lei; invece mi ritrovo a seguirla e a vivere con lei l'orrore della mutilazione di presunti ladri nello stadio pubblico. Ma questa è giustizia?.
Provo tanta angoscia quando Parvana scopre che la città, dove la sua famiglia si è rifugiata, è caduta in mano ai talebani che l'hanno distrutta. Condivido con lei la disperazione di chi non ha più notizie dei propri parenti, sentendosi solo, abbandonato e perso.
Ogni pagina del libro mi sembra sempre più pesante e la tentazione di chiuderlo è forte. Sono combattuta. Ma chi me lo fa fare di angosciarmi la vita con questa lettura? E d'altra parte sono così vigliacca da non avere il coraggio di leggere ciò che milioni di bambini nel mondo vivono e, soprattutto, così egoista da voltare le spalle e abbandonare Parvana al suo destino? No, non lo farei mai con un'amica.
La mia determinazione e la mia costanza nell'andare avanti con la lettura, sono ripagate dalla gioia che provo nel partecipare al tenero abbraccio tra Parvana e suo padre, appena liberato.
Adesso posso chiudere il libro. Parvana non è più sola. Sicuramente la sua storia non è finita… l'aspettano ancora tante difficoltà e spero anche tante gioie.
Sono passati tre anni.
Ho riletto il libro più volte. L'ultima proprio l'altro giorno. Ho ancora accompagnato Parvana nel suo viaggio, ma questa volta con la responsabilità di una sorella maggiore, consapevole che certe tragedie non finiranno mai.
E quando a tavola mia sorella Martina si lamenta del cibo che ha nel piatto, penso a quanti bambini, come Parvana, sono costretti a dissotterrare le ossa nei cimiteri per venderle e procurarsi così il denaro necessario ad acquistare il cibo per sfamare la propria famiglia.
È un'esperienza che lascia il segno!
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