Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
13ª edizione - (2010)

Saggio critico sotto forma di breve apologo alle opere di Albert Camus, con particolare riferimento a "Caligula" e "L'étranger"

C'era una volta un uomo senza nome. Non era niente, viveva solamente, gli piaceva molto camminare e osservare gli altri. Adorava le sue piccole scarpette, che erano comode e colorate, adatte ad andare in giro. Ignorava tutto, si poneva solo domande senza risposta. Mentre era per strada, faceva un passetto dopo l'altro; non pensava ai passi che aveva appena compiuto, e non pensava a quello che avrebbe fatto. Camminava solamente. Quando vedeva i suoi compari, se ne stupiva. Si chiedeva come mai guardassero tutti il cielo mentre passeggiavano, il celeste aveva certamente un fascino anche su di lui, ma preferiva guardarsi i piedi, esaminarli e stare attento a ciò che faceva. Lo faceva ridere vedere gli altri così intenti a guardare il cielo, e inciampare tutti. Ma lo intristiva vederli tutti a terra, mentre si disperavano perché non potevano più osservare il cielo, vederli morire in lenta agonia. Non poteva più aiutarli: più cercava di aiutarli con la sua forza, più loro si spingevano contro il terreno. Così preferiva passare oltre e cercava di ignorarli. In realtà provava sempre una sorta di curiosità quando ciò avveniva. Solo allora gli uomini si strappavano la maschera che portavano sulla faccia, e scoprivano di non avere nulla sotto.
Passava per di lì un gruppo piuttosto strano. Era formato di uomini, ma non uomini normali. Dopo averli osservati per un po' di tempo, l'uomo si accorse, finalmente, cosa v'era di tanto bizzarro. Questi uomini camminavano dritti, ma avevano il viso al posto della nuca, e la nuca al posto del viso. Essi urlavano mentre camminavano perché, dato che non vedevano niente se non ciò che avevano dietro di loro, finivano collo sbattere l'un con l'altro e cadere.
Parallelamente, un altro gruppo di uomini apparve. Essi camminavano nel verso opposto rispetto al primo gruppo, ma avevano il torace al posto della schiena e i polpacci al posto delle tibie. Ma la testa rimaneva al suo posto. Così anche questi uomini finivano col farsi male, vedendo infatti solo avanti.
Alla fine, quando furono rotolanti a terra, sparirono, e non rimasero che gli occhi. L'uomo si accorse poi, poco prima che i cadaveri sparissero, che essi portavano catene ai piedi e alle mani, che ora sonanti giacevano a terra.
C'era poi un gruppo di gente, posta in un'ordinata riga, in cui ognuno dei componenti della fila discuteva amabilmente con la figura riflessa nello specchio. La maggior parte di loro era arrabbiata, perché trovava antipatico l'interlocutore. Gli specchi si riempivano di crepe e, dopo un po', si rompevano.
Allora gli uomini si giravano, trovando il compagno alla loro destra, e si rimiravano l'un l'altro, come se fossero stati di fronte a uno specchio.
Un giorno l'uomo proseguì in un vicolo oscuro. Per la prima volta le scarpette gli facevano male e voleva capire perché. Trovò tre uomini, uno con quattro gambe, uno con due, l'ultimo con tre. Il primo era sorridente, scopriva i suoi bei denti bianchi. Il secondo aveva una maschera con un sorriso fittizio dipinto sopra: attraverso le fessure si scorgevano due occhi tristi. Il terzo piangeva sommessamente, liberamente, grosse lacrime colavano lungo il suo viso.
Il primo disse: "Io sono". Il secondo esordì: "Io appaio". Il terzo continuò a piangere.
Avevano delle scarpe strane. Il primo le aveva belle e linde, il secondo aveva ormai le scarpe consunte, il terzo non aveva più scarpe.
L'uomo proseguì e arrivò in una zona della città che non aveva mai vista. Era ancora scosso, continuava a riflettere su ciò che aveva sentito e visto, e le sue scarpe si annerivano sempre di più. Vide qui degli uomini che camminavano intorno a una fonte. Erano bendati, e non raramente sbattevano l'un contro l'altro, urlavano parole insensate, con le mani tese davanti, parevano tutti cercare la fonte. Una volta un uomo riuscì a toccare la fonte, che sparì però subito, sicché l'uomo cadde. Si rialzò con l'occhio sanguinolento, il carminio inzuppava la benda candida. Subito ricominciò a camminare. La fonte riapparve.
Dopo un po' di questo giro, erano tutti a terra rotolanti e supplicanti, coperti di ferite che non si rimarginavano. Gli uomini pregarono per la propria morte, soffrivano troppo.
La testa doleva, negli ultimi giorni le emozioni erano state particolarmente intense, e lui amava l'indifferenza, e tuttavia bramava percepire. Mentre ormai giungeva al punto da cui era partito, gli venne un folgorante pensiero. Amava la sua indifferenza al dolore, il suo distacco dalla sofferenza, che portava il suo animo a goderne, come se fosse un bambinetto davanti ad un piccolo insetto, pronto a giocarci prima di schiacciarlo, o come un cuoco che tiene l'uovo su un pernio, lo punzecchia, ne beve il contenuto, e lascia il guscio vuoto.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010