Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
1ª edizione - (1998)

Un'esperienza di lettura

Erika stava studiando in un tiepido pomeriggio estivo, nel giardino che lei tanto amava dove aveva la possibilità di leggere quelle interminabili pagine e dove, allo stesso tempo, poteva respirare l'aria ormai calda di quelle piacevoli giornate. In quel paradiso terrestre, Erika si soffermò a osservare le piante che tanto la affascinavano ma di cui, per mancanza di tempo, non conosceva i nomi: fra le tante riconobbe solo un biancospino e i fiori di un citiso. Il continuo ronzio delle api e il veloce volo degli uccelli le parevano belli proprio come lo era la sua vita. Nel suo animo sentiva la pacatezza e la quiete, quasi come una sorta di pace interiore che le permetteva di vedere con più serenità tutto ciò che la circondava. In quei brevi istanti di distrazione causati da una natura che non poteva se non affascinare Erika, riconobbe gli stessi elementi descritti in un libro che aveva tanto amato, il libro che meglio ricordava, il primo e unico che l'avesse portata in un'altra dimensione, in un tipo di realtà che le apparteneva pienamente e a cui nessuno poteva accedere; al momento non si era soffermata su tutto ciò, pensava fosse solo un ricordo ormai vano e lontano, infatti era passato tanto tempo da quando aveva letto Il ritratto di Dorian Gray, quattro anni probabilmente, un tempo così lungo che le aveva dato la possibilità di leggere tanti altri libri, alcuni belli, alcuni noiosi; eppure nessuno le era rimasto vivo e impresso come quello. Le sue pagine non erano state cancellate dalla mente e solo quel giorno capì il perché. Erika non credeva che il passato potesse tornare per essere rivissuto, ella sapeva che ogni cosa portata a termine era un insegnamento indispensabile per il futuro, ma non credeva nella possibilità di rivivere le stesse emozioni in situazioni apparentemente uguali, poiché tutto era nuovo. Quel pomeriggio però, sentendo la delicata fragranza del biancospino, riuscì a percepire le stesse emozioni provate leggendo quel libro e dovette riflettere nuovamente su una di quelle che erano sempre state le sue convinzioni. Ricominciò a percorrere ogni singola pagina con rapida pacatezza e più proseguiva più le affiorava il ricordo, nessun particolare le sfuggiva. In quell'improvviso viaggio, fra quelle interminabili pagine, Erika si sentiva più che mai partecipe della storia; non era diventata una protagonista, ma riusciva visibilmente a intravedere ogni singolo personaggio dal più maestoso e importante a quello che l'autore voleva far passare inosservato. Fra le tante cose che riconosceva e vedeva chiare si dipinse nella sua mente quel fantastico ritratto dalla faccia forte e angolosa che pareva fatta d'avorio e di petali di rosa, ma ricca di un fascino ambiguo e misterioso. Dorian Gray, il protagonista aveva uno sguardo duplice proprio come la lingua biforcuta di un serpente e questi due aspetti rispecchiavano la parte buona e quella cattiva del suo animo, il bene e il male che continuavano a ruotare attorno alla sua vita in modo sempre più vicino travolgendolo in un susseguirsi di azioni la maggior parte ricche di corruzione. Era questo che attraeva Erika più di tutto, l'infinita depravazione posseduta da Dorian, l'uomo seducente per eccellenza che riusciva a dominare tutti stando al di sopra di ogni regola morale, un uomo dunque fuori da ogni schema reale. Chiunque gli stesse vicino veniva travolto quasi silenziosamente dalla sua corruzione divenendo anch'esso simbolo di immoralità, un'anima in grado di agitare in un modo così strano ogni tipo di personalità. Erika, durante quel viaggio, riuscì a capire davvero in quale notevole misura Dorian distruggeva le persone, ossia in modo simile alla velocità con cui si schiantano un pianeta e un satellite.
Erika credeva che il tempo fosse al centro di tutto; le permetteva di vivere, di costruire, era riuscita quasi sempre a dominarlo, a controllarlo e a modellarlo in base alle sue esigenze; eppure, durante il suo viaggio, perse la cognizione del tempo. Era passata forse un'ora, forse già una giornata ma era come se ogni legge fosse stata annullata: e ella si sentiva sommersa da ogni sorta di irregolarità mascherata dietro i volti beffardi e falsi dei protagonisti. Non distingueva il giorno dalla notte come il bene dal male, tutto le appariva offuscato, incomprensibile e in mezzo a quella confusione riconosceva solo i protagonisti. Non le era mai accaduto di provare sensazioni simili: aveva sempre cercato di dominare con la razionalità le sue azioni, aveva cercato di misurarle, di distinguerle, eppure in questo caso non riusciva a controllarsi; il libro l'aveva coinvolta a tal punto che si sentiva impotente anche di fronte a se stessa. Forse era tutto merito dell'autore, di quel magico Oscar Wilde che possedeva tutti gli strumenti dell'arte quasi come tutte le formule possibili e immaginabili che possiede un mago. Forse Erika non stava viaggiando, probabilmente era sotto l'effetto di una magia di quelle che le avevano raccontato quando era piccola e a cui lei aveva sempre creduto. Quando aveva circa sei anni usava ritrovarsi con le sue amiche di gioco dietro al giardino e insieme rievocavano antiche formule appartenenti a maghi che solo loro conoscevano; così, nei brevi istanti in cui le riaffiorò alla mente la sua infanzia, Erika riconobbe il mago che possedeva tutto dell'arte: Oscar Wilde, la cui personalità aveva incantato questa sensibile ragazza, un mago davvero padrone delle sue capacità, alquanto abile nel saper stupire e ancora di più nel saper affascinare. Nulla mancava a questo grande scrittore tanto che Erika avrebbe voluto conoscerlo, vivere nel suo mondo, ascoltarlo e imparare da lui il vero significato della vita. Ogni cosa poteva essere elevata al di sopra della moralità, poiché tutto, pensava Erika, era sostanzialmente originato dall'arte, quell'attività umana volta a creare con l'intelletto i metodi, gli accorgimenti per vivere. L'artista è il creatore di cose belle, diceva Wilde, ed Erika sapeva che era così, perché saper essere un artista significa saper esprimere qualsiasi cosa, non importa quale essa sia, ciò che conta è saper gridare e far sentire la propria voce nella società attraverso un quadro, attraverso uno scritto o una melodia. Più Erika si avvicinava a quelle pagine più si sentiva parte di quell'artista che si manifestava in ogni singolo protagonista e in ogni particolare della natura, la natura a cui tanto era legata. Per la prima volta Erika si trovava in un altro pianeta, un unico grande pianeta, il più significativo, che le aveva prima fatto capire l'importante presenza dell'arte nella vita e poi l'aveva stimolata in molte altre attività come nella lettura, nell'osservazione della natura e degli uomini anche corrotti quali noi siamo.
Questo pianeta venne chiamato Wilde e fu il primo che l'aiutò a staccarsi da una realtà oramai troppo materiale e incapace di riflettere sulle proprie azioni; erano state molte, forse anche troppe le occasioni e gli eventi che avevano convinto Erika di ciò, piccole storie della quotidianità e grandi delusioni finite nel cuore. Eppure ora sapeva che ogni qualvolta si trovasse in difficoltà e si sentisse quasi soffocare, poteva aprire un libro per trovarsi magicamente in un altro pianeta pronto a ospitarla e a salvarla.
Quel viaggio, partito dalla fragranza del delicato biancospino, l'aveva condotta molto lontana, in un luogo dove non vi era tempo e misura, ma dove ciò che contava era possedere la voglia di comunicare ed esprimere. Erika l'aveva capito e sperava con gli anni di poter coltivare le sue capacità, fossero esse misere o ricche, ma che solo grazie a quel pianeta avevano chiesto di essere messe alla prova, chissà, forse per il gusto di assaggiare la vita. Mentre Erika stava ancora riflettendo su tutto ciò, un brivido le attraversò la schiena e fu solo allora che si accorse di essere tornata in quel giardino dove ormai era giunta la sera.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010