Tutto quello che mi ha insegnato mio fratello
di Susanna Signorelli
Primo premio
La scrittura è un mezzo molto potente. È strano che proprio chi ci ha abbandonato così giovane e in maniera altrettanto inaspettata abbia lasciato qualcosa di più fermo e indelebile dei ricordi. Così per me, piccola sorella non ancora undicenne di un grande fratello morto in montagna a diciannove anni, i suoi scritti hanno in qualche modo colmato la sua assenza nella mia crescita.
Era abitudine da piccola sentire il ticchettio della macchina da scrivere, l'odore delle sigarette, la musica classica. Era l'immagine di mio fratello scrittore ugualmente unita nella memoria all'immagine di un fratello compagno di giochi e di battute. E poi quando questa presenza, così gratuita nel suo essere sempre presente senza il pensiero che potesse mai mancare, è scomparsa, il dolore ha messo in moto una crescita accelerata. Lui non era morto del tutto però: e anche se forse non diventerà mai un poeta glorificato, può darsi sempre che le sue poesie un qualche merito lo hanno avuto dal momento che l'hanno fatto vivere ancora. A dodici anni mi calavo nell'incomprensibilità di quelle poesie così oscure: erano un conforto non solo per la sua presenza assente, ma anche per quella naturale malinconia adolescenziale. Calarsi nelle parole cercando una corrispondenza alla propria tristezza: si può trovare bellezza nel dolore nel farsi cullare da una dolce malinconia.
Lui e le sue poesie erano diventate un modello, un senso verso cui indirizzare la vita. Mi sono impadronita, per una sorta di mimesi, della sua calligrafia trovata nei fogli che lui aveva scritto a mano; era un'interiorizzazione di lui in me stessa.
Se inizialmente le sue parole avevano il fascino dell'ineffabile che mi portava tutta in un altro mondo, sempre di notte, fatto solo di me e di quel fratello caro che imparavo a conoscere fondendolo con il mio modo d'essere, poi le parole hanno cominciato ad avere un contenuto. La mia era una ricerca dei miei stessi sentimenti che io da sola non riuscivo a esplicitare; aprire il cassetto con gli scritti e leggerli attentamente era ormai un rituale… contemporaneamente mi appigliavo al minimo accenno scritto a dei fatti concreti da lui vissuti (così rari da trovare! D'altra parte la poesia non è come un diario). Restava comunque sempre dolce accompagnare alle lacrime della nostalgia una poesia parlante scritta da lui. Era sempre più un modello, cercavo di imitarlo, di scrivere anche io, di vivere quello che aveva vissuto.
È questa la sua ricchezza: ogni fase della mia vita dopo la sua morte è stata sempre accompagnata da un approccio diverso nei confronti dei suoi scritti che hanno per me una varietà comunicativa immensa. L'interpretazione e il rapporto con quei fogli così cari è stato, e credo sarà anche in futuro, un punto cruciale per la mia crescita personale.
Ora mi rendo conto che il mio rapporto con essi è di nuovo cambiato: ora ho la stessa età che lui aveva quando se ne è andato, fra poco sarò più grande di lui, vivrò un età da lui mai vissuta… È strano perché per me resta il fratello maggiore.
Il dolore purtroppo si fa ancora sentire ed è forse più vivo o meglio più arrabbiato di prima. Adesso che non è più un modello, non è più un culto, sento forte il desiderio di confrontarmi con l'autore delle poesie e dei pensieri, di dirgli i miei pensieri ormai oggettivati dai suoi. L'essere consapevoli di avere così tanto in comune, il sentirsi così simili pur nelle diversità, rendersi conto che nonostante tutto siamo riusciti a crescere insieme lo stesso, perché è stato presente con le sue parole che non sono morte con lui. Quando penso a lui non penso solo al suo ricordo, penso a quel fratello che ho conosciuto da sola in una ricerca quasi filologica, continua e inesauribile.
Nonostante le parole scritte siano sempre le stesse leggerle è comunque come un dialogo: ogni volta che pongo domande a quelle lettere ottengo in qualche modo risposte diverse.
Grazie alla scrittura posso dire di non aver perso mio fratello.
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