Ho una bici
Ho una bici che uso x andare a zonzo x Milano; in questa città, che in certe ore del giorno, sembra troppo grande per essere così vuota.
Mettendo in moto le mie gambe, il mio cervello impazzisce e macina pensieri, che mi sgorgano incontrollabili.
Ho questa bici, che se ci penso, è parte di me. Ho iniziato a crescere un caldo giorno di luglio, quando ormai colma di noia sono scesa in garage, ho preso la vecchia bici di mia madre, e ho iniziato a dipingerla, l'ho fatta mia: ha i parafanghi gialli, il telaio turchese con dipinti sopra dei soli ognuno con le proprie nuvole; sereno variabile proprio come me. Ho dipinto me stessa, in ogni pennellata c'è una mia emozione, un mio sentimento forte, mi ricordo avevo 15 anni e dal quel giorno ho iniziato crescere... pedalando, pensando. Su questa bici tutti i mie pensieri nascono, e su questo diario finiscono.
Ho questa bici, che è diventata mia dopo essere stata di mia madre, sangue del suo sangue, proprietaria della sua bicicletta.
Ogni mattina la uso, ci vado a scuola, pedalo nella mattina, ogni volta cerco di non percorrere mai lo stesso tragitto, provo a passare per angoli, vie della città sempre diversi, per vivere tutti i miei ricordi.
Perché penso che ogni volta che viviamo che proviamo un'emozione che diciamo facciamo qualcosa in un posto, luogo che all'apparenza può sembrare anonimo, in quell'istante in cui i fatti si svolgono, allora quel posto diventa speciale, perché il ricordo si deposita lì, una parte rimane custodita gelosamente nel nostro cervello negli intimi pensieri, ma il ricordo fisicamente e in modo magico e inspiegabile permane proprio lì in quel luogo, perché è lì che inconsciamente ci sembra pieno della tua esperienza, gioia dolore che sia. Tutte le volte che ci passo, allora lo annuso lo respiro, e quel ricordo si fa vero forte lo rivivi nella mente sulla pelle, davanti agli occhi dentro al cuore. Per questo è piena la città di angoli vie panchine speciali.
Se i ricordi si potessero toccare secondo me sarebbero soffici, caldi, belli o brutti, sarebbero famigliari come una piastrella bianca della cucina di casa, il pelo di un vecchio pupazzo, il seno della mamma caldo delle tue lacrime. Spesso mi ritrovo a pedalare verso quei luoghi. Amo pedalare di notte, soprattutto quando il buio tutto nasconde, l'apparenza, l'esteriorità. È così che il tuo essere il tuo io interiore non può fare a meno che smascherarsi, di notte si fanno gli incontri più belli, ci si ritrova ci si ascolta, intendo noi stessi, perché non si è storditi dal baccano del giorno, è la notte che porta i segreti i desideri, e i tuoi sogni su di un piatto di argento ma è il giorno che te li strappa con la luce.
Tutte le volte che monto in sella alla mia bici pedalo verso la maturità, interrogandomi iniziando a conoscermi sforzo dopo sforzo, imparo a convivere con me, con quella morale che si sta formando dentro di me, non quello che sono perché mi è quasi imposto di esserlo; cioè clone stereotipo, non uomo. Ho smesso di vergognarmi di quello che sono veramente un pomeriggio di luglio, avevo un pennello in mano, e troppe emozioni dentro.
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