Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
3ª edizione - (2000)

Le affinitą, il viaggio, la memoria.

Ricordi, ricordi di un mare il mio mare, di una città, la mia città, di quella gente, la mia gente.
Ricordi di quel piccolo bambino dai boccoloni neri, timido e curioso.
Quel bambino che abitava al quinto piano di quel palazzo e tutti i pomeriggi usciva a giocare a palla con le amiche.
Quel bambino che piangeva quando saliva sull'autobus, che dava un nome suo a tutte le cose, e quando si perdeva diceva a un signore che abitava vicino al cinema Ilìria, parlando con la elle al posto della erre.
La sera saliva le scale di corsa perché aveva paura del buio e a casa, con sua mamma, imparava lunghissime poesie per poi recitarle davanti a migliaia di persone, con l'innocenza e l'inconsapevolezza che ha un bambino.
Un giorno disse per telefono a suo papà lontano che oggi era stato il suo primo giorno di scuola, nella stessa in cui era andato lui, e che ci aveva messo un bel po' prima di trovare quella classe senza vetri e con le mani che gli gelavano dal freddo.
Mi ricordo quel dodici marzo del novantatré, quando una forza a lui sconosciuta lo pervase, prese una penna e un foglio e scrisse... la sua prima poesia.
E poi, e poi venne quel mattino di primo agosto.
Si alzò e uscì sul balcone, per ammirare l'alba, per vedere il sole, per sentire l'odore di quella culla che aveva dondolato per otto anni donandogli tutto e non chiedendo niente, poi bisbigliando disse: "Come sei bella Durres".
Le valige erano pronte, mamma e sorella lo aspettavano fuori.
Alla fine dovette uscire per l'ultima volta dalla porta di quell'appartamento al quinto piano di quel palazzo, che era pieno di gente che lo salutava e gli augurava buon viaggio, ma soprattutto buon ritorno.
Mi ricordo la strada per il porto, il porto stesso, e quel ragazzino che quando stava per salire sulla nave si fermò un attimo.
Volle sentire per un ultima volta la sua terra sotto i piedi, volle vedere un'ultima volta quella città, i suoi palazzi, le sue colline, quella villa centenaria che dall'alto del colle, come un vecchio re benedice i suoi cavalieri, gli augurava buona fortuna.
Per finire volle sentire il profumo di quel mare, il suo mare, a lui tanto famigliare quanto caro.
Ma poi si rassegnò a quel destino e, con lo sguardo rivolto verso il passato, si incamminò su quella passerella, come un poeta mandato in esilio.
I finestrini brillavano di tante piccole goccioline d'acqua, acqua di quell'Adriatico di quel primo di agosto.
A un certo punto venne annunciato che tra breve saremmo scesi.
Poi, una volta arrivati, ripercorsi ancora una volta la passerella, e a terra mi avvicinai alla riva per sentire di nuovo il profumo del mio mare, ma.. ...non era più lo stesso mare.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010