Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
3ª edizione - (2000)

Viaggio

All’ingresso mi dissero di entrare e attendere nel giardino. Seguii un inserviente che mi condusse per un viottolo, avrei potuto aspettare lì. rimasto solo feci alcuni passi avanti e indietro prima di accomodarmi su una panchina, sotto la piacevole ombra di uno dei tanti alberi che coloravano il silenzio di quella casa di recupero per drogati. Iniziai a pensare a tutte le domande che avrei potuto rivolgere allo scrittore e selezionai le migliori, consapevole che non ne avrei rivolta nessuna di quelle. Ero troppo emozionato e appassionato dal personaggio che l’avrei lasciato discorrere di ciò che voleva senza fermarlo. Non sarei riuscito a rispettare una scaletta, le domande sarebbero uscite al momento, a seconda del discorso e delle mie curiosità. Comunque continuai ciò che stavo facendo come per rispetto della prassi, quando con la coda dell’occhio vidi un’ombra avvicinarsi. Era lui. Camminava lentamente, il suo viso era così sciupato che sembrava invecchiato di dieci anni. Stentavo a credere che si trattasse del mio artista, ma tentai di non far trapelare questa sensazione e mi alzai. Lo scrittore mi porse la sua debole mano che io strinsi e mi disse con il suo accento spagnolo:
- Buongiorno, lei deve essere il giornalista. Sorpreso di trovarmi in queste condizioni, eh?.
Abbozzai un sorriso dolce e compassionevole. Quando la stampa aveva saputo ciò che gli era successo l’avevano massacrato ed erano riusciti a farlo isolare. Era rimasto solo perché aveva voluto a tutti i costi far sapere la verità; questo era ingiusto. Erano due anni che non pubblicava un libro e che non rilasciava interviste, sembrava che non fosse mai esistito. Giravano strane voci su di lui, sulla sua salute ed i suoi editori e manager smentivano ogni notizia, assicurando che il loro assistito stava bene, che si stava dedicando ad un progetto che lo impegnava giorno e notte, che non voleva essere disturbato e che salutava tutti i suoi fan, ringraziandoli. Tutto questo mantenendosi sempre sul vago.
Poi un giorno la notizia. Rubert si drogava, faceva uso di droghe pesanti; era andato avanti così per anni, tenendo tutto sotto silenzio, anche grazie al fatto che della vita privata degli scrittori si sa sempre poco, finché aveva raggiunto il limite, rischiando la vita.
L’ultimo anno e mezzo l’aveva passato a curarsi in una clinica privata, il resto era tutto un’invenzione.
Poche righe da lui stesso scritte, con la consapevolezza di perdere tutto. Perché lo fece nessuno lo seppe con precisione ed io non avrei avuto mai il coraggio di chiederglielo. Probabilmente fu un atto d’amore nei confronti dei suoi lettori , di sicuro un atto coraggioso. Lo guardai e gli chiesi se se la sentisse. Annuì con il capo. Non volevo che mi raccontasse la successione degli eventi, desideravo che mi dicesse che cosa l’aveva portato a drogarsi, volevo che mi ammaliasse con una delle sue storie.
- Perché ha iniziato a drogarsi?
- Per sentirmi forte, perché provavo un inspiegabile senso di vuoto, che mi logorava; non avevo fiducia in me. Avevo bisogno di andare via con la mente ed il modo meno faticoso per farlo era la droga. Apparentemente… Quando m’infilavo l’ago nella vena mi calmavo, smettevo di pensare e viaggiavo con la testa. Si, ho iniziato perché avevo bisogno di viaggiare.
- E perché l’uomo prova questa necessità? - continuai.
Mi prese le mani e mi chiese di chiudere gli occhi. Un po’ titubante accettai. Poi mi disse:
- Guardi. Una sceneggiatura smontata a metà, in cui le linee si confondono, nulla è più netto e definito. L’immagine non c’è più ed il progetto è sparito perfino nella mente di chi l’aveva ideato e si è dissolto nel nulla anche quel sogno che era sbocciato in una delle primavere dei sensi. Dalla scenografia non traspare più sicurezza ma un senso di incompletezza e solitudine. Sullo sfondo grigio si illumina uno sguardo. Nasce il bisogno di recuperare ciò che si è perso, di inseguire l’immagine e renderla meno sfocata, nasce il bisogno del viaggio.
Raggiungere un obiettivo superando una serie di tappe e difficoltà, ma senza mai restare immobile. Conoscere , provare, soffrire e divertirsi scordandosi per un momento della meta. Questo è il segreto per vivere il viaggio: concentrarsi su quella fase intermedia in cui la tua mente e il tuo corpo sono tesi e occupati e tu sei investito da un miscuglio di aromi, voci, silenzi, stelle, paure che non ti dà tregua. Sei tu e l’essenza delle cose, che ti appaiono nei panni di un vecchio canuto, che ti fissa con i suoi occhi stanchi e ti narra la sua vita o nella sintesi chimica di una pastiglietta bianca e silenziosa. Tu puoi soltanto scegliere il modo in cui percorrere la strada: se volare con un aereo, se salire su una bici e pedalare, se chiudere gli occhi e pensare, se cliccare su un computer per trovarsi dall’altra parte del mondo attraversando i fili elettrici. E passando da Ulisse , che inseguiva un’isola per mare, arrivando ai giorni nostri, in cui si cerca la felicità tramite della droga sintetizzata o sé stessi collegandosi con altre persone via Internet, sono molteplici i modi di viaggiare. In questo lasso di tempo però nulla è cambiato, né la necessità di viaggiare , né le sofferenze che si provano, né l’euforia che ti riempie le vene. Quando si parte si ritrovano valori persi, ci si scopre diversi da come sempre ci eravamo creduti e spesso è questa la più grande vittoria che si ottiene. Il tesoro che la vita ti aveva indotto a cercare non si trova dentro al forziere sotto forma di attraenti lingotti. Si trova in piccole parti sparse qua e là su quel sentiero che tu disegni con lo scopo di giungere alla X che imponente sovrasta la carta ingiallita, la mappa che tu stesso hai disegnato.
E in ogni caso il viaggio non ti illude mai , non proietta un immagine falsa di quello che sei, al massimo non ti muta e tu rimani perfettamente identico a come eri prima di intraprenderlo, ma mai ti lascia a mani vuote. Già perché anche se l’esperienza non ti segna profondamente, se non dà risposte certe ai tuoi interrogativi, quando tornerai a casa trascinerai con te un po’ di quei luoghi attraversati, di quei sentimenti che hai provato, di quell’atmosfera che hai respirato e li custodirai inconsciamente in un angolo della tua mente. Quando meno te l’aspetterai tutto uscirà allo scoperto, nel momento in cui senti che ti manca qualcosa andrai istintivamente a recuperare quelle informazioni di cui non ti ricordavi nemmeno più. E quando l’essenza del viaggio riaffioreranno impetuose come le acque di un torrente che stanno per incontrare una cascata, la tua mente sarà pronta ad unirsi a loro, a tuffarsi e a congiungersi per scoprire chi sei davvero. E così ti renderai conto che le esperienze ed i silenzi che hai vissuto hanno agito lentamente, non sono stati del tutto inutili ma al contrario in ogni chiave di lettura preziosi.
Il viaggio è uno strumento potente, da non sottovalutare, è come un obbiettivo che permette all’uomo di mettere a fuoco l’immagine della sua vita, entrambi puntano alla stessa cosa, ma per ottenerla tramite l’obbiettivo basta restare immobili dietro una macchina ed usare uno strumento, mentre tramite il viaggio spesso bisogna andare lontano, stare a chilometri di distanza per capire che le cose o le persone che vogliamo sono sempre state vicino a noi senza che noi ce ne accorgessimo e capissimo il loro valore.
Porta con sé dolcezza, fatica e grande divertimento. È un omone che ti invita a giocare, ad abbandonare ogni preoccupazione e, si sa, nessuno può rifiutare una tale offerta. E così si intraprende la via e si perde il senso del tempo, ci si concede pienamente al viaggio e si inizia a giocare. E mentre tu non hai alcun pensiero e ti abbandoni come un bambino alle cose frivole, l’omone ti sussurra una storia che fila veloce e leggera, ma ti trova indifeso e ti cattura. Ti sussurra una storia che contiene quei tasselli che ti permetteranno di ricostruire la scenografia che hai lasciato incompleta
.
Ci fu silenzio. Quando riaprii gli occhi l’artista non era più seduto di fianco a me. Un infermiere se l’era portato via ed io potevo vedere solo le loro ombre che svoltavano l’angolo. Era stata l’intervista più bella della mia vita. Guardai il cielo azzurro. Avrei abbandonato quel posto, ma mai quell’uomo e le sue parole. Mi alzai sorridendo.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010