Ut scias
Croci: braccia aperte invocanti pietà e rimembranza; colline trafitte, profili che si accavallano e premono come i marosi sulla spiaggia cheta.
Grandiosa urna verde a cui il pallore di quelle croci, allineate e compatte come una schiera in parata, fa da sudario eterno.
Zolla intrisa di ogni sostanza umana: coraggio e viltà, abnegazione ed egoismo, amore e odio, fede e bestemmia, speranza e annichilimento, luce e tenebra.
Una grande Croce sovrasta le altre: quella di Colui che fece del patibolo l'insegna di amore e salvezza. Nel braciere, alimentato da vestali invisibili,, arde il fuoco sacro, da cui erompe la fiamma perenne, simbolo di catarsi, anelito di purificazione. Essa è simile a quelle crepitanti delle are e delle pire di cui l'uomo, sin dai primordi, ha disseminato la sua storia.
Quante volte, nella quiete delle notti estive, le miriadi di faville fatue, come la vita, hanno reso quei clivi ardenti come il roseto del Sinai?
Si fuggono i Sepolcri! Le urne dei grandi, quelle degli umili, i Sacrari ed i Cimiteri di guerra.
A volte, durante un viaggio, appaiono inaspettati a rompere la gioiosa varietà delle colture dei campi, irradiati dal tepore primaverile: il manto fiorito dei frutteti, i filari delle viti ancor dormienti, "l'erbal fiume silente" delle distese di frumento.
Un velo adombra il volto del viaggiatore, inconsciamente, quasi per celare il turbamento inatteso, egli distoglie lo sguardo.
In quest'atto si coglie la decadenza dei tempi, il grigiore culturale, il torpore spirituale, i sintomi chiari di un'identità che scolora.
Per esorcizzare la morte, nella folle illusione di affrancarsene, i miseri dissacrano la vita cacciandosi anzitempo in un loculo senza speranza.
Terrificante deve apparire a costoro il silenzio sacrale che sovrasta i luoghi della Memoria.
È il silenzio, tuttavia, che trascina l'uomo nelle scaturigini dell'essere. Esso può "urlare" condanne inappellabili o inondare di soavi essenze l'anima e illuminare, "parlando", l'intelletto.
Si fuggono i Sepolcri! Eppure, senza la Memoria, il "passato", unica certezza dei filosofi, resterebbe sostanza inerte, sigillato nei libri, sinistramente morituri sotto i colpi della multimedialità, e il "memento audere" dei poeti e dei santi sepolto sotto lo strato melmoso della viltà figlia dell'egoismo.
Un oblio, tessuto di paura e colpa, ottunde le coscienze.
C'è un recesso, drammaticamente inaccessibile, nella psiche individuale e collettiva, dove è celata la scaturigine delle azioni e la loro ripetitività tragica. In quest'orrido, profondo e buio, dall'origine del mondo, l'umanità si contorce, incapace di formulare una risposta esaustiva alla sua essenza vitale.
Sordi risuonano, tuttora, i colpi sulle assi per costruire il patibolo; sinistro è il fruscio delle fascine per erigere la catasta; strazianti le grida delle vittime innocenti.
Si compirà mai la definitiva catarsi? Vedremo, finalmente, le fiamme dell'ultima pira levarsi alte a ferire il cielo, portando seco l'ultimo spirito sacrificato? Sentiremo, dunque, la cenere, che avrà sapore di eterno, posarsi sul nostro capo e rimanervi per sempre?
Subdolamente, si fa apparire rassicurante, moderatamente malinconico, il lapidario "vixerunt" ciceroniano: gli odierni lotofagi erigono simulacri a falsi dei, dimentichi di aver osato incidere nelle proprie coscienze, quale stigmate di vittoria sulla caducità, la parola "resurgemus".
Come consentire a questi nuovi profeti dell'olismo massificante e globalizzante, di saccheggiare il nostro patrimonio culturale, storico e spirituale, falsificarne i contenuti col fine di edificare la nuova Babele e approntare il futuro olocausto?
Allorché le coscienze si sveglieranno e capiranno l'inganno, grande e terribile sarà lo scontro!
Ho necessità di deserti infuocati e di ghiacciai perenni per fortificare la carne, nutrire la volontà, capire chi sono e sapere chi devo essere.
Sulla nave della vita, nella feconda e rigenerante solitudine, voglio essere, al tempo stesso, ciurma e nocchiero. Voglio armare la prora e salpare verso orizzonti di luce.
Arcane combinazioni e straordinarie condizioni spirituali fanno sì che i confini del mondo e l'estremità del cielo si tocchino: un'esile linea dove l'anima si libra oltre la determinatezza spazio temporale. Voglio approdare a quei lidi ove per un istante, un solo istante destinato a segnare la vita, l'intelletto è soffuso di eterno e l'ineffabile intuizione, il lampo di conoscenza primigenia induce ad affermare, senz'altro ausilio, l'esistenza di Dio.
Sulla sommità dell'albero maestro, issare il vessillo col motto "Ut scias": affinché tu sappia.
Sulla prua la volontà, tanto fortemente asserita, assume i contorni di una Nike.
Lascerò agli stolti l'inane ricerca della Verità tra le foglie sparse e ingiallite nell'antro della moderna Sibilla, catafratta di assolutismo scientista e ornata di monili tecnologici tanto luccicanti, quanto falsi.
Sento la necessita di lacerare l'ordito della menzogna che opprime e fascia come una mummia la Storia, liberarla dalle distorsioni ideologiche e riconsegnarla allo studio e alla meditazione per interpretare il presente e costruire il futuro.
Voglio imitare Icaro, prima stella nel cielo splendente della Libertà, pur consapevole della drammaticità dell'esistenza e dell'ineluttabile epilogo.
La libertà è osare. Osare è vita. La vita è allevare un gallo per Asclepio.
Assorta innanzi al Prigione sento scorrere nelle venature del marmo la vita.
Nella torsione dei suoi muscoli, vedo la tensione dell'anima.
O Schiavo Ribelle spezza i lacci che ti avvincono, liberati della scorza dura, bianchissima che imprigiona il tuo fremito di rinascita.
Il genio di Michelangelo ha eternato nelle tue membra perfette la Libertà.
Sorgi Idea dal cippo marmoreo e guidami lungo i sentieri dello Spirito immortale.
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