Dunque, diario di bordo, 24 Marzo 2000
Seduto al banco di scuola m'aggiro per vie poco tracciate del mio essere. Nella testa frullan fiori d’altrui pensieri conditi da disegni abbozzati su enormi pagine bianche. I visi, volti che mi circondano, i muri, i banchi, la finestra che mi sta accanto, il cielo terso di fuori: tutto è lontano, tanto da apparirmi irreale, velato da una sottile patina di ... non so; forse di nulla. Il mondo sta fuori, io sono altrove. Passeggio per una Pistoia soleggiata e afosa; la città brulica di vita, la festa dilaga nelle vie e sfonda i confini del borgo, s’immette nei boschi vicini lungo statali che si srotolano lontano nell’orizzonte. I passi che muovo sono lenti e affannati e si sciolgono nelle gocce di sudore che si tuffano copiosamente sulla fronte. I corpi scivolano sulle vie illipidite dal sudore dei mille e più abitanti del mondo che mi circonda. Volti assenti, sguardi storditi da polvere e droghe, sintesi chimiche di paradisi lontani. E vicina è la piazza del Mercato, e vicina è la notte; suonan tamburi che ruggiscon nella notte folle; vino e sconosciute vibrazioni serpeggian nella folla anarcheggiante echeggiando ricordi perduti nell’oblio dei tempi fuggiti. La gente s’allarga a formare un cerchio, e in mezzo mi trovo a giocare; torce illuminate mi ballan d’innanzi e tra gli applausi ed il ritmo battuto da mille djambé mi sorprendo a succhiare con tenacia l’ebbrezza segreta d’essere ammirato... esibizionismo... vanagloria... essere umano, e pranzo di domani. Ed è follia di massa, ebbrezza di festa, adrenalina che sale, baci sfuggenti e sguardi assenti, persone che ridono, persone ormai incomprensibilmente perdute in mondi inquietanti, occhi impauriti, corpi sdraiati e sbocchi avvinazzati.
Di nuovo non sento un professore che fa il verso a classici poeti e italiani; rabbia e frustrazioni passate ribollono nel mal sofferto stare a scuola, calderone di sogni e incomprensioni infiniti.
E allora sono a Perugia, e lascio la stazione verso le scale mobili che mi porteranno in centro. Ecco, cammino, amici, lungo le ampie vie perugine; chiacchiere e risate riempiono l’aria, odor di festa, ma è ora di cena, e son vuote ancora le strade. Ecco, ecco la notte, e colori pastellosi donano un che d’incomprensibilmente fiabesco agli antichi palazzi travesti da negozi del centro. Tra la gente benvestita e dall’aria bigotta d’un ipocrita Perugia m’aggiro, clown senza maschera, facendo il mimo per menti distratte dai soldi e commerci. Eppure quelle parole non dette, sorrisi d'estate giungono ugualmente a quelle orecchie piene del cerume del mondo. Orgoglio, o semplice felicità; ride il pubblico, e non ho bisogno di parole, né debbo confessare le mie origini e la mia stirpe, come dovette il gran viaggiatore. Mi bastan gli occhi a riempire i cuori di chi sta osservando. E non da soli si muovono i miei passi, ma si raccolgono intorno a me quelli degli Amici, fratelli regalati dalla strada, gemme raccolte per caso camminando per il sentiero più lungo. Compagni di viaggio che la strada riunisce, volti da sempre conosciuti e soltanto ora incontrati, scacciate lontano i demoni dispettosi e distratti che rendono irto il sentiero, e i cattivi pensieri e la fame lacrime diffidenza cattiveria e i profondi baratri che la strada nasconde... la strada... strada. Strada che però è anche sorrisi e dolcezze infinite, è l’eterno racchiuso nell’oggi, mille secoli di letterature e filosofie che impari dall'aria, amplessi goduti in notti fantastiche e discorsi 'mbriachi di storie passate.
Ed ecco che mi ritrovo in Toscana, a Populonia, Buca delle Fate. La scogliera frastagliata è colorata da un vento incessante. Il sentiero che l’unisce alla strada si snoda per il sottobosco sabbioso. Bassi alberelli cespugliosi, arbusti, cinghiali. Notte, cinghiali e paura. E allora camminiamo contandoci a turno: io sono uno, tu due, tu tre. UNO... DUE... TRE... Uno... Due... Tre... e così avanti fino alla scogliera aperta. E fuoco e musica, il mare urla sotto di noi e spumeggiando con canti irresistibili di sirene nascoste chiama ad entrarvi, tuffarsi nel profondo del nero abisso salato. E mentre guardo le facce ridenti di compagno festanti, ecco gli occhi di lei.
E null’altro importa più; non i vestiti, non le persone, nemmeno le vecchie ambage tormentano più i miei ricordi lacrimosi; non gli abbandoni, né i fantasmi d’antichi rancori si metton a danzare tra noi. Solo sorrisi e carezze, baci salati e risa ubriache, e la notte c’inghiotte nella girandola di suoni e lagrime di luna che danzano sul mare agitato... l’amore consumato tra corse di folletti folleggianti e capriole di fate in favole dolcissime. E già eran corsi via i suoi occhi.
E corsi a Siena a cercarli, per mille e mille contrade che si scioglievano e sparivano nell’attesa d’un suo sorriso. Corsi a Petriolo, e ancora ad Ancona, e a Roma, financo nella terra del fuoco, nel Salento bruciato dai raggi d’un sole mai visto cercai le sue carezze. Convinto ormai dell’inutilità del mio star da solo cercavo la sua compagnia, ed inseguii i suoi abbracci ed i suoi baci, sfuggiti a Porretta, perduti a Bologna, per mille e mille kilometri ancora.
E mentre ancora la mia mente naviga per mondi che furono e che ora sono altro, cercando di capire... fatti non foste a viver come bruti... già non ho più d’innanzi strade infinite e fiumi vaporosi o rocce fumanti, ma i ben noti contorni della prigione nella prigione.
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