Il mio ultimo buco
Marco stava scaldando il cucchiaino, con le mani ancora tremanti per l'ansia. Nel frattempo controllava la porta, per accertarsi che nessuno entrasse. Era nel suo bar preferito, "Da Gino", quello frequentato dai tossicodipendenti. Sul lavandino la siringa, il laccio e la scatoletta dei fiammiferi. I suoi amici lo stavano aspettando fuori: a lui non piaceva farsi davanti agli amici, si sentiva a disagio, perché aveva iniziato da poco e rispetto a loro aveva meno esperienza.
Erano in pochi a sapere che si drogava; i suoi genitori ancora non lo sapevano, e non lo dovevano sapere, altrimenti per lui sarebbe stata la fine. Suo padre lo avrebbe picchiato, come succedeva spesso ultimamente, mentre sua madre avrebbe chiamato uno dei suoi tanti dottori di fiducia per chiuderlo in un ospedale e farlo riabilitare.
L'ago era penetrato nel braccio. Marco ancora non ci era abituato, e un po' soffriva, visto che aveva sempre avuto paura degli aghi. Ma era questo che voleva; diventare importante nella sua compagnia, non farsi sottovalutare. Voleva sentirsi all'altezza dei suoi amici.
Dopo qualche minuto già iniziava l'effetto. Richiusa la porta dietro di sé, i suoi amici lo vedevano avvicinarsi barcollante.
Mentre uscivano insieme, da lontano Marco vide una ragazza sola, seduta su una panchina; si era fermato a guardarla, mentre i suoi amici fischiavano e gli dicevano di andare da lei. Sapeva che avrebbe fatto una brutta figura, ma davanti agli amici non poteva tirarsi indietro, e così decise di andare da lei.
"Ciao" era riuscito a dirle appena si era avvicinato.
"Che vuoi? Cos'è, hai scommesso con i tuoi amici che riuscivi a rimorchiarmi?" aveva risposto lei.
Non era stato un buon incontro, questo lo doveva ammettere, ma comunque i suoi amici erano lontani e non potevano sentire cosa si stavano dicendo.
"No, ti ho visto e ti volevo soltanto conoscere... mi chiamo Marco, e tu?", ma lei era riuscita soltanto a rispondere "Non voglio avere a che fare con i drogati, ciao" e se ne era andata lasciandolo lì in piedi come uno stupido.
Marco non riusciva a non pensare a quella ragazza misteriosa che si era rifiutata di conoscerlo. Ogni giorno i suoi amici lo vedevano lì zitto a guardare il vuoto. Continuavano a dirgli di non pensarci, che la prossima volta gli sarebbe andata meglio. A loro aveva detto che lei era già fidanzata, perché se gli avesse detto la verità avrebbero iniziato a prenderlo in giro e lui non avrebbe sopportato le critiche dei suoi amici, non voleva passare per incapace.
Marco aveva deciso di smettere, improvvisamente si era accorto di tenere più a quella ragazza che ai suoi amici che lo stavano portando sulla cattiva strada. Ma era difficile smettere così, su due piedi. Per prima cosa aveva deciso di non frequentare più i suoi amici, di starsene a casa davanti alla televisione a mangiare patatine. Si era giurato di smettere con l'eroina, le siringhe, e anche le sigarette. Si era accorto improvvisamente che i suoi amici lo avevano abbandonato: nessuno era andato a trovarlo, nessuno lo aveva chiamato, nessuno lo aveva fermato in strada per chiedergli perché non si faceva più vedere in giro.
Stava male, le crisi di astinenza diventavano sempre più forti, ma non poteva chiedere aiuto, aveva troppa paura delle conseguenze. Non era stato facile per lui affrontare la situazione.
Quante volte aveva deciso di rinunciare. Credeva di non potercela fare, ma allo stesso tempo si impegnava per dimostrarne il contrario.
Dopo qualche settimana ne era uscito. Non riusciva a pensare a quelle settimane, piene di sofferenza e dolori. Suo padre aveva ancora alzato le mani, il che non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Ma ci era riuscito, aveva combattuto contro la droga e aveva vinto.
Finora aveva sentito dire che non si poteva vincere contro la droga, che una volta entrato nel tunnel non esistevano vie d'uscita, ma lui era riuscito a dimostrare il contrario.
Nel frattempo si era cercato un'altra compagnia, con chi lo aveva portato sulla brutta strada con la droga non voleva averci più niente a che fare.
Nemmeno li salutava, i suoi "amici" che in fondo non erano affatto suoi amici, visto che lo avevano mollato nel momento del bisogno. Un giorno era in giro con gli amici, e ormai quasi l'aveva dimenticata quella ragazza misteriosa che non era riuscito a conoscere, quando la vide ancora, su quella stessa panchina. Non era riuscito a trovare una ragazza, era troppo impegnato con la scuola; ma appena la vide provò le stesse emozioni di quel giorno.
Si avvicinò, ma la ragazza fece per andarsene: "No, aspetta un attimo, ti devo parlare" urlò lui, dopodiché si mise a correre e la raggiunse.
La fermò prendendola saldamente per un braccio, e fu così che scoprì che lei stava piangendo.
"Ma si può sapere perché ti comporti così? Neanche mi conosci, cosa diavolo ti ho fatto?" gli disse lui. Era molto agitato, quella ragazza gli sembrava così strana.
Tra le lacrime la ragazza rispose: "Tu e i tuoi amici maledetti! Il mio ragazzo è morto per causa vostra!!! Gli avete dato la roba tagliata male, e lui è morto! E tutto per colpa vostra! Vi odio, non voglio più vederti, e neanche i tuoi amici, e ora lasciami in pace!"
Marco restò malissimo; lui non ne sapeva niente, perché erano i suoi amici, anzi ex amici, che si occupavano dei giri. Ma come poteva dirgli che lui non c'entrava niente? E poi non lo trovava giusto, in fondo era stata una scelta di quel ragazzo drogarsi, non dipendeva da nessuno.
Marco aveva deciso di lasciare perdere questa storia, in fondo quella ragazza non voleva saperne di lui, era meglio fare spazio ad altre storie.
Un giorno Marco scoprì che il suo migliore amico, Fabio, si bucava, e la cosa non gli fece molto piacere. Gli raccontò di tutto quello che aveva passato per uscirne, ma si era sentito rispondere che non gliene importava niente e che non aveva nessuna intenzione di smettere.
Una sera era uscito con la sua compagnia, ed erano andati in discoteca; si erano ubriacati e quando uscirono Marco non era più in grado di pensare. Fabio si era portato le siringhe e la roba, e si era seduto in macchina per prepararla. Aveva chiamato Marco, e lui con un suo amico lo aveva raggiunto. Esitò un attimo, ma poi prese la siringa; nel momento stesso in cui l'ago stava per penetrare nel braccio, Marco si ricordò della ragazza, e decise di non bucarsi.
Mise la siringa in tasca e si fece accompagnare a casa.
Una volta a casa si affacciò alla finestra della palazzina in cui abitava; guardò il cielo, e si accorse che quella sera sarebbe stata diversa dalle altre. Proprio in quel momento una stella cadente attraversò il cielo lasciando una scia luminosa nel buio della notte. Marco aveva espresso il suo desiderio: chiarire la storia con quella ragazza a cui non faceva altro che pensare. E in quell'istante la vide, seduta su una panchina, a fissare il cielo silenziosamente.
Scese di corsa le scale, ma sul portone del palazzo si bloccò; la ragazza era sparita, ora la panchina era vuota. Si mise a correre freneticamente, nonostante il freddo, quando la vide attraversare l'incrocio. Riuscì ancora una volta a fermarla, e poté così chiarire la storia.
La ragazza gli chiese scusa per averlo accusato di qualcosa di cui non aveva colpa.
Aveva preso molto male la morte del suo fidanzato, e si era ritrovata ad accusare tutti.
Dopo un lungo discorso e tanti pianti, i due finalmente si salutarono: lei si chiamava Chiara, era una ragazza molto simpatica e con Marco, di cui ora si fidava, si era liberata di tutto ciò che la morte del fidanzato le aveva lasciato dentro, perciò lo ringraziava gli chiedeva scusa per il modo in cui si era comportata.
Dopo quella sera Marco decise di diventare il ragazzo di Chiara. I suoi amici l'avevano presa volentieri in compagnia, e lei si era ritrovata con ragazzi e ragazze della sua età che conosceva da poco ma con cui si trovava come se li conoscesse da una vita.
Procedevano bene le cose tra Chiara e Marco: un giorno però i due litigarono furiosamente; dopo tanto tempo Marco, tornando a casa, si fermò al bar "Da Gino" dove incontrò i suoi vecchi amici con la roba.
Gli dissero "Non dirmi che hai smesso! Sei un debole, vergognati" e alla fine lo convinsero a bucarsi di nuovo.
Marco era consapevole del fatto che Chiara se l'avesse scoperto non avrebbe mai approvato, ma decise comunque di farlo. Era da tanto che non si bucava. L'ago gli penetrò nel braccio, e Marco iniziò a volare nel mondo irreale della droga.
Dopo qualche minuto riaprì gli occhi. Era sdraiato in mezzo alla strada, circondato da persone che lo guardavano e mormoravano. Chiara lo teneva tra le braccia, e piangeva, pregava affinché non le succedesse di nuovo di perdere una persona che amava allo stesso modo, non sarebbe riuscita a superare ancora una situazione simile.
Marco si sentiva sempre più debole: sentiva il suo cuore battere sempre più lentamente, e gli sembrava che Chiara si stesse allontanando sempre più.
Sapeva che era arrivato il suo momento, e, prima di chiudere gli occhi per l'ultima volta, disse debolmente "...il mio ultimo buco...".
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