La nonna gialla
È notte fonda.
Il vento ulula, la pioggia tintinna soavemente sui davanzali delle finestre.
Milano dorme. Non si ode una macchina passare per le strade, non una voce o passi di uomini.
Sola, dietro le tende della mia camera guardo questo spettacolo triste, desolante.
Le case si distorcono in ombre nere, i lampioni paiono allungarsi, allargarsi.
Non riconosco più la città in cui sono sempre vissuta.
Invano tento di riprendere sonno; le mani sudano, il cuore batte ad un ritmo frenetico, sento distintamente i suoi battiti, sempre più forti e veloci. Strazianti.
Chiudo gli occhi, ma le mie palpebre non divengono pesanti.
Il dolce sonno mi ha abbandonato, ha lasciato il posto a qualcosa di "sconosciuto", di dimenticato... i ricordi.
Già una volta mi ero sentita così ma non rammento quando.
Mi tornano alla mente scene confuse, tristi.
Pare che il mio animo si stia librando nell'aria: riesco a vedere me stessa rivoltarmi tra le coperte quasi meccanicamente.
La mia mente vaga, sembra stia attraversando un tunnel colorato: vedo il mio corpo catapultato in un'altra dimensione, come in un orribile sogno.
Mi trovo in una stanza grigia, cupa. Sono seduta su di una sedia, sola; ma odo una voce, soave, gentile, conosciuta.
È la nonna Pina sdraiata nel suo letto.
Mi chiama e m'invita a pettinarle i capelli: fili argentei ordinatamente raccolti in una lunga treccia. Lentamente accarezzo la seta della sua camicia da notte e il mio sguardo si perde negli occhi tersi di blu della mia anziana nonna.
Lei mi guarda e sorride, un sorriso enigmatico ma felice.
La nonna parla col suo tono di voce pacato e mi racconta i bei momenti passati insieme: quando mi cullava infante sulle sue ginocchia, cantavamo insieme le allegre canzoni dell'asilo e mi sgridava dicendomi di non tenere i gomiti sul tavolo.
Ricorda quando giocavamo insieme col suo piccolo cane, i momenti in cui piangevo e cercavo conforto da lei e guardavamo insieme i cartoni animati.
Sento la mia vecchia bisnonna parlare quasi con tono di scusa; sembra volermi dire tutto, come se non ci vedremo più per tanto, tanto tempo.
Capitava, qualche volta, che la mia sorellina Martina ed io la deridessimo chiamandola "nonna gialla" a causa della sua carnagione giallastra, non sapendo quale grave ragione si celasse dietro quell'inusuale colorito.
Una grave malattia stava portandomi via la mia "nonna gialla": un tumore al pancreas e al fegato che solo dopo molti anni avrei capito essere mortale.
Quel giorno la nonna sapeva che se ne sarebbe andata e non voleva lasciarmi senza imprimermi nel cuore, con marchi infuocati, i suoi consigli ed il ricordo dei bei momenti passati insieme.
Alcune signore mi portarono fuori dalla stanza e mi riaccompagnarono a casa e, dopo alcuni istanti, il suono opprimente del telefono.
Ecco dove avevo vissuto un momento così orribile e straziante come quello che stavo attraversando quella notte.
Ripercorsi il tunnel col volto rigato dal pianto e, ritornata nel mio corpo, piansi ancora.
Per qualche assurda ragione avevo rivissuto l'esperienza del mio primo grande dolore; questa volta, però, ragionavo in modo razionale e non come una bimba di quattro anni appena.
Mi sono resa conto dell'importanza di ricordare, poiché la mia cara, carissima nonna Pina è potuta rivivere nella mia memoria.
Ora so che la mia nonna non è morta, è viva dentro di me e la sua flebile fiammella arde nel mio cuore.
Da quella notte non temo più i ricordi negativi; dietro ogni immagine che sale dalla memoria si cela qualcosa di positivo e ricordare è indubbiamente una grande capacità umana che, sebbene a volte faccia male, ci consente di andare avanti, perché la vita è meravigliosa.
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