Era multimediale
Il signor Giuseppe è anziano, ormai. Vive solo alla periferia di Milano in una vecchia casa a ringhiera, troppo grande per lui. Del resto glielo aveva ripetuto tante volte la signora Anna, quella della latteria, che avrebbe fatto meglio a lasciare quella baracca umida e che se si fosse dato da fare forse avrebbe potuto trovare qualche acquirente e una sistemazione più comoda in un appartamento della zona... Lui aveva sempre annuito. Ma la mattina, all'edicola non comprava altro che il quotidiano. Neanche il giorno in cui si era presentato un tale geometra a dirgli che erano in corso rilevazioni sullo stato degli edifici del quartiere e che quella casa avrebbe dovuto essere evacuata, se non si fosse provveduto al più presto con opere di restauro. Del resto se l'aveste vista avreste detto anche voi che era pericolante, e lo direste ancora adesso, se non fosse tutta coperta dalle impalcature. Ma guardando attentamente attraverso i teloni, si può ancora intuire qualcosa della fisionomia della casa: le finestre alte, la ringhiera in ferro che corre lungo il perimetro della facciata sul cortile e dietro a questa dei vasi che non ci si aspetterebbe così già fioriti in un inizio di primavera. Anzi sembra quasi che quella macchia scarlatta dietro il verde del telone abbia un che di irreale e di diverso da tutto il quadro per come risalta allo sguardo, come se il resto fosse solo cornice. Sono fiori rossi di ibisco. E sono sempre stati sul balcone di quella casa; qualche volta anche dentro, quando la madre del signor Giuseppe li recideva per metterli nel vaso sul tavolo se venivano ospiti. E Giuseppe bambino, allora, era affascinato dal loro colore non meno che da quello che la mamma gli raccontava: che quei fiori vivevano solo un giorno e che dalla pianta ne sbocciava solo uno per volta e per questo bisognava considerarli preziosi e farne dono a chi veniva in casa. Ora è passato molto tempo dall'ultima visita che il signor Giuseppe ha ricevuto, ma lui continua a curare quei fiori come se fossero sacri, e ogni volta che ne vede sbocciare uno prova l'entusiasmo di un bambino. Di sé bambino. Del resto da quando è andato in pensione il signor Giuseppe non ha quasi più altro di cui occuparsi se non di quei fiori e delle sue biciclette, quelle che ogni tanto gli portano a riparare. A dire il vero in fatto di biciclette il signor Giuseppe ha una certa reputazione in quartiere, visto che ne ha a che fare praticamente da sempre; anzi no, precisamente da quando aveva comprato con i soldi del Militare la sua Bianchi: lì gli era nata la passione per il ciclismo e lì aveva cominciato a seguirne le gare soffrendo con Coppi sulle salite dell'Appennino anche da stare seduti al bar con gli amici a fianco. Il ciclista, certo, non avrebbe mai potuto farlo, esile com'era, così si era messo ad aggiustare le biciclette, anche per racimolare un po' di soldi, e aveva proseguito con questa attività, negli scorci di tempo libero, anche dopo aver cominciato a lavorare come ferroviere. E ora che potrebbe dedicarvisi interamente non c'è quasi più nessuno che va in bici e Coppi è morto. Così il signor Giuseppe si ritrova spesso con tanto tempo a disposizione e ha preso l'abitudine la mattina di andare a prendere il giornale - perché altrimenti "si resta proprio fuori dal mondo" come gli dice l'edicolante - e di leggerlo un po' per volta durante la giornata. Da quelle pagine il signor Giuseppe ha visto la guerra nel Golfo, quella in Kosovo, la pecora Dolly, il terremoto di Assisi, l'inquietudine per il Millenium bug, le manifestazioni a Seattle, i trapianti di arti e tantissime altre cose che lui stesso non saprebbe elencare. A volte ha come l'impressione che accadano cose tutte troppo importanti, e troppo grandi per poterle tenere a mente e giudicare, o anche solo per sentirle proprie. E allora, quando è assalito da questi pensieri, il signor Giuseppe ripone il giornale e fa ritorno alle sue biciclette o va sul balcone, anche solo a guardare, i suoi fiori.
La memoria - campo sterminato in cui riposano le nostre esperienze - è un indizio di infinito che dà senso ad una quotidianità finita mostrandone il limite e il valore come quello di una tessera del puzzle della esistenza, dalla quale non si può vedere il disegno complessivo, ma senza la quale il quadro non è completo.
La dimensione del ricordo è quella dell'eternità: nella memoria il tempo si ferma rendendo eterne le cose che aveva destinato a perire, riconciliandosi con esse.
Nella mente è possibile rievocare cose inevitabilmente perdute, che ritornano, spesso richiamate da impressioni sensibili, per assumere consistenza talvolta più reale della stessa realtà, quando questa non risponde ai nostri interiori bisogni.
La memoria è un luogo dai colori indefiniti e dalle infinite sfumature; è un asilo in cui rifugiarsi quando la luce del giorno e del presente appare troppo forte e i contorni delle cose troppo netti, allo sguardo dell'anima.
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