"...non dimenticheṛ nemmeno un secondo di quel mattino di Gennaio." Libere riflessioni sul film "Au revoir les enfants"
Troppe persone sottovalutano ancora il ruolo che la necessità gioca nella nostra vita: perduti nella miriade di piccole, egoistiche nevrosi, scordiamo o, più spesso, cerchiamo di evitare ( per paura di spezzare i falsi equilibri su cui costruiamo la nostra sopravvivenza quotidiana) tutto ciò che in realtà, a nostra insaputa, è necessario e che fa parte di quelle esigenze inspiegabili che spesso risultano inconciliabili con quelle di questo mondo di fine secolo, in cui, coperta da una sempre più ipocrita apertura culturale e ideologica, sembra nascondersi la sconvolgente logica del "chi pensa è perduto". Non so perché ho iniziato a scrivere le mie riflessioni sul film "Arrivederci ragazzi" di Malle (forse perché sono a Parigi, influenzato, in una stanza d albergo, mentre i miei compagni visitano mezza città?): sono però cosciente del fatto che queste non scaturiscono da una semplice necessità di scrivere, ma dalle tante volte in cui (povero me!) non ho potuto fare a meno di pensare; l'inchiostro sulla carta è il frutto di un ripensamento di alcuni anni.
Perché parlo di un film che ho visto quattro anni fa? Ancora una volta non me lo so spiegare (evidentemente i "perché" non sono il mio forte); forse è inutile motivare la scelta, perché di scelta non si tratta: mi è sembrato naturale scrivere su questo film prima ancora di prenderne in considerazione altri; forse, invece la scelta dipende proprio dalla mia inconsapevolezza ( quel non saper spiegare le ragioni che sta alla base della ricerca), che potrebbe nascondere, paradossalmente, la consapevolezza che non tutto è esprimibile a parole e che, spesso, in ciò che non può essere detto o scritto, nell'ineffabile, risiede ciò che dà pienezza al pensiero umano. Il concetto di ineffabilità può essere utilizzato come una delle chiavi di lettura del film: Malle, attraverso le immagini ancor prima che le parole, riesce a farci intravedere, cosa rarissima, anche ciò che non dice esplicitamente ( o che dice solo in parte con la scena finale), quell'elemento che trascende la razionalità umana e che ci provoca la meravigliosa sensazione di capire profondamente senza sapere lucidamente; nel film l'elemento di trascendenza si realizza,di nuovo paradossalmente, attraverso la ricerca e la scoperta di una piena verità emozionale e umana.
La vicenda è ambientata nel Gennaio 1944 nella Francia occupata dai nazisti; dopo le vacanze di Natale, Julien Quentin, di dodici anni, e suo fratello François, di sedici, tornano in collegio, un pensionato diretto da padri carmelitani, in un paesino dell'ile de France. Fin dalla prima scena Malle introduce il motivo del difficile rapporto fra mondo infantile e mondo adulto e della fine dell'infanzia, fine che si configura in primo luogo come presa di coscienza del male, del dolore, della sofferenza: l'intero film è configurabile quindi, in rapporto alla scena della partenza di Julien verso il collegio (partenza che comporta il distaccamento dalla madre), come un difficile percorso di crescita, che non può non passare per la rinuncia all'innocenza infantile, che diviene definitiva dopo la deportazione verso Auschwitz del nuovo arrivato in collegio, l'ebreo Jean Bonnet, e la sconvolgente scoperta della crudeltà umana. L'iniziale distaccamento dalla madre, solo provvisorio, lascia presagire fin dalle prime scene una ben più dolorosa separazione: quella dal giardino d'infanzia, che, se da un lato porta alla perdita dell'innocenza, dall'altro porta una profonda maturazione interiore. Malle, senza l'enfasi e il sentimentalismo melodrammatico di altri film legati a questo tema, ci fa capire cosa significhi in realtà la parola "crisi", di cui tanto si abusa, che si configura in questo caso come sinonimo di "passaggio", "separazione", "scelta"; se consideriamo la nostra stessa vita come una serie di passaggi possiamo comprendere come dalla specificità del tema trattato si possa risalire a un ambito generale che coinvolge ogni età e ogni momento della vita in cui ciascuno sente il bisogno di rigenerarsi e di affrontare quell'impervio ostacolo che è la messa in discussione di se stessi. Nel film tale messa in discussione da parte del protagonista ci viene continuamente proposta; le scene iniziali sono, in questo senso, condotte magistralmente: Julien subisce la duplice e inconciliabile esigenza di distaccamento e di inseparabilità dalla madre (l'abbraccio fra i due è già nostalgia di un'età infantile che comincia a vacillare); alla verità umana di questa scena segue la poetica rappresentazione del procedere del treno, partito dalla Gare de Lione di Parigi. La cinepresa ci mostra prima il volto, malinconico e quasi svuotato nella fissità dello sguardo, di Julien visto dall'esterno del treno e sfocato dietro ai finestrini chiusi e, poi, attraverso un repentino cambiamento di prospettiva e l'adozione del punto di vista del protagonista, inquadra la campagna francese, la cui rappresentazione risulta ugualmente malinconica, segnata dagli alberi secchi e sovrastata da un cielo di un azzurro sporco e sbiadito: queste immagini danno la sensazione di una nostalgia priva di dolcezza, ma neanche esplicitamente drammatica nella sua inspiegabile fissità.
L'elemento più poetico della scena è l'introduzione discreta di rumori e suoni, inseriti in maniera progressiva: prima, il fischio lontano, ma lacerante, del treno, poi, lo sferragliare delle rotaie, che si fonde con i primi accordi del secondo "momento musicale" di Schubert per pianoforte, la cui amara dolcezza, caratterizzata da un senso di toccante rassegnazione, consola ben poco, poiché, inserita in quel microcosmo malinconico costituito dalla soggettività di Julien, ne va a costituire ( secondo la mia sensibilità di musicista) l'elemento culminante, configurandosi come tramite irrinunciabile fra interiorità e realtà esterna: di entrambe le cose la musica sembra diventare trasfigurazione e, in quanto mezzo in grado di sfiorare l'ineffabile, sublimazione; il fatto che il brano di Schubert venga inserito soltanto per alcune brevi sequenze, fra cui l'inizio e la fine del film, è estremamente significativo: Malle, infatti, ricorre all'intervento musicale solo nei primi piani del volto del protagonista e solo laddove per il regista appare impossibile non ricorrervi; la musica non interviene quindi come semplice sfondo alle parole (cioè come commento subordinato alla loro funzione esplicativa), ma come presenza autonoma coordinata all'immagine: dietro l'apparente semplicità e il tono sommesso del brano si nasconde un potere che sfugge al controllo della ragione, in grado di schiacciare la parola e di riassorbirla al suo interno; solo la seconda volta che ho visto il film ho intuito in quegli scarni accordi il presagio del dramma finale: ed è incredibile come Malle riesca a dare tale sensazione rinunciando completamente agli elementi del patetico e del melodrammatico (superato in questo, solo da Stanley Kubrick, in grado di presagire l'evento tragico con una lucidità ineguagliabile).
L'arrivo di Julien, insieme al fratello e agli altri ragazzi, nel collegio Saint-Croix sembra stemperare il clima delle prime scene; la rappresentazione dell'infanzia da parte di Malle è tuttavia ben distante da quella che ci viene spesso, ipocritamente, proposta; i ragazzini appaiono spietati, tutt'altro che generosi, e legati a interessi egoistici: fin dall'inizio si parla di mercato nero fra gli studenti, provenienti dall'alta borghesia parigina e, per questo, viziatissimi. La rappresentazione di tale spietatezza raggiunge il suo culmine nell'accoglienza riservata ai tre nuovi arrivati, che sono, a insaputa degli altri, ebrei nascosti per sfuggire alla deportazione e di cui Julien sembra intuire la diversità: a partire da questa intuizione nasce in lui, in contrasto col sospettoso distacco dei compagni nei confronti di Bonnet, la curiosità di conoscere il nuovo compagno. Malle, dopo il film "Zazie dans le métro" (tratto dal romanzo di Queneau), è ancora una volta maestro nella rappresentazione dell'infanzia e, in particolare, delle capacità osservative dei bambini, la cui descrizione rivela il fatto che Malle si ricorda assai bene della propria infanzia, al contrario di molti adulti che paiono dimenticarla o stereotipizzarla.
Lo sviluppo del film vede, a fianco del suggellarsi dell'amicizia fra Julien e Jean, accomunati da un'intelligenza smaliziata e dalla passione per la letteratura, alcune scene che mettono in rilievo due aspetti ricorrenti nel cinema di Malle: la riflessione sociale, incentrata sulla polemica anti-borghese, e la complessità delle figure dei religiosi. La rappresentazione dei dodicenni benestanti che disprezzano, in tempo di guerra, i pasti del collegio, che si lamentano continuamente del freddo, ma che non rinunciano alla pratica pseudo-adulta del mercato nero per ottenere ingenuamente francobolli e biglie in cambio delle loro più preziose provviste, è un primo elemento di un ritratto fortemente polemico della società francese borghese; nel comportamento dei ragazzini sembra insito un elemento di corruzione derivante dal mondo adulto, da un mondo spietato e cieco di fronte alla realtà della guerra. In questo senso è centrale la scena in cui padre Jean, durante il sermone della messa domenicale, in presenza delle famiglie benestanti dei ragazzi, si scaglia contro una società egoista e indifferente, incentrata sul rifiuto di ogni confronto con la dolorosa realtà della povertà materiale e della sofferenza fisica; dietro alle parole di padre Jean compare certamente l' ombra dell'Olocausto, ma anche quella del collaborazionismo francese, attuato sotto il tacito assenso della classe borghese.
D'altra parte, anche la rappresentazione dei religiosi è complessa: il loro comportamento appare eroico nel momento in cui svolgono il ruolo di critici della società, ma essi appaiono a tratti deboli e contraddittori, a tratti eccessivamente duri e severi, e comunque sempre restii a mettere in pratica ciò che predicano con convinzione (Malle ci ricorda che la colpa della Chiesa riguardo all'Olocausto non è da ricercare nell'adesione ideologica agli assurdi principi ariani, ma nel poco coraggio insito nella scelta di non reagire materialmente a orrori umanamente insostenibili).
Il film non può essere inteso come la semplice storia di un'amicizia fra due ragazzini, il cattolico e l'ebreo, cioè come variazione sul tema dell'Olocausto dal punto di vista di un non ebreo: esso ha ben altre dimensioni, a mio avviso, in quanto possiede un'infinità di sfumature e contrasti, mostrando ambiguità, contraddizioni e paradossi della vita umana.
Dal punto di vista più strettamente cinematografico vorrei porre l'accento su due scene che mi hanno colpito particolarmente: quella della caccia al tesoro nel bosco di Fontainebleu e quella della proiezione, in collegio, del film "L'emigrante" di Charlot. Nella prima l'uso mobilissimo della cinepresa mi ha portato a individuare nella fuga dei due protagonisti dai ragazzini della squadra avversaria un ulteriore elemento simbolico di quella crescita che, configurandosi come percorso, come viaggio, riporta ad un'idea di movimento (già presente nella scena del treno); il successivo smarrimento nel bosco, e il valore iniziatico che assume, non può prescindere da quell'idea di movimento casuale data dal suggestivo perdersi della cinepresa stessa nella miriade di alberi. La scena della proiezione del film "L'emigrante" di Charlot costituisce l'unico esempio di "metacinema" nell'opera di Malle, il quale afferma di averlo scelto perché vedendo la statua della libertà, quei ragazzi ebrei potessero immaginare la Terra promessa; mi chiedo fino a che punto quell'iniziale idea di movimento, ribadita dalla scelta di un film che parla di un emigrante, sia casuale.
Ripensando al film, ho avuto la netta impressione che l'idea di movimento fosse legata anche al motivo della guerra, che in gran parte del film rimane un elemento subdolo, nascosto, ma inspiegabilmente presente; ho notato cioè un progressivo avvicinamento della guerra, trasformatasi da sfondo inquietante in realtà, nella coscienza della società francese, scossa troppo tardivamente, e in quella di Julien, sconvolta dall'incedere del male, di cui l'orrore della deportazione dell'amico ebreo, insieme agli altri due ragazzi e a padre Jean (considerato colpevole di averli nascosti), costituisce il culmine.
Il film è pervaso da una sensazione di profonda tristezza, che si rivela attraverso l'uso dei colori: Malle, aiutato dalla luce fredda e malinconica di un Gennaio nevoso, ottiene una tonalità strana e cupa, in cui si sente aleggiare l'ombra della catastrofe. Nel film non c'è la minima traccia di rosso, i colori sono freddi, soprattutto i blu; si dice che il regista stesso abbia dato agli addetti alla fotografia un ordine esplicito: Non voglio vedere il sole.
La tragedia finale, "spannung" del film, prende le mosse da ulteriori elementi di analisi sociale: un giovinetto zoppo (Joseph), che viene trattato malissimo nella scuola per bambini ricchi dove fa lo sguattero, dopo esser stato ingiustamente cacciato per una faccenda di mercato nero, si vendica denunciando alle autorità che nel collegio sono nascosti dei ragazzi ebrei; è nascosta, dietro a questa scelta (drammaturgicamente eccezionale) di Malle, una possibile interpretazione: fare di Joseph il delatore significa che sono i padri stessi, con la loro decisione di cacciarlo, e in virtù di una tragica ironia, la causa dell'arresto dei ragazzi ebrei. Le scene finali giocano continuamente sul tema scioccante dell'ingiustizia: quando l'agente della Gestapo chiede chi sia Jean Kippelstein (vero nome di Bonnet), Julien non può impedirsi, non fosse che per una frazione di secondo, di guardare verso il compagno; intercettato il suo sguardo, l'agente non ha difficoltà a capire di aver trovato la persona che cercava, e si avvicina a Jean. La tragedia è quindi accresciuta (come avviene nel teatro greco) dalla sensazione di un'ingiustizia di fondo, che si esplica nella tragica ironia della sorte che fa di Julien il colpevole involontario dell'arresto dell'amico; la colpevolezza diventa nello stesso tempo l'ultimo passaggio nella dolorosa maturazione di Julien. Mentre vengono portati via dal collegio padre Jean e i tre ebrei, Malle ferma la cinepresa sul volto di Julien, dietro la cui fissità (interrotta solo da alcune lacrime che spuntano, quasi a fatica, dagli occhi) si rivela una profondo sconvolgimento, che ha la sua fonte nella vana ricerca del senso dell'ingiustizia e del male. Al volto si sovrappone, insieme al frammento, che si fa sempre più lontano, di Schubert, la voce fuori campo di Louis Malle che dice: Bonnet, Negus e Du Prè sono morti ad Auschwitz, padre Jean al campo di Mauthausen; il collegio ha riaperto i battenti nell'Ottobre del '44. Più di quarant'anni sono passati: ma fino alla morte non dimenticherò nemmeno un secondo di quel mattino di Gennaio.
Malle ci rivela quindi solo alla fine il grande mistero che attraversa il film: Julien è Malle stesso, che ricorda quello che ha definito il mio punto di riferimento fondamentale, l'evento più significativo della mia infanzia e forse di tutta la mia vita. Il film rispecchia molto da vicino ciò che il regista visse sulla sua pelle; egli si è deciso a girarlo solo nel 1986, al suo ritorno in Francia dopo la lunga esperienza americana, ma, in seguito ha rivelato che si tratta del film più importante della sua vita, in quanto l'evento che racconta ha avuto un'influenza enorme sulla sua decisione di diventare regista.
Insieme ai titoli di coda (su sfondo nero) viene introdotta la sequenza centrale, volutamente posticipata, del brano di Schubert, che solo dopo la confessione autobiografica può esplodere come grido tragico, ma anche come elemento purificatorio(catartico, oserei dire) di un dolore trattenuto.
Solo con la toccante testimonianza finale possiamo capire il film e ripercorrerlo a ritroso, partendo da quella scena finale che, come ha ammesso il regista, è stata la prima ad essere concepita, in quanto ha acceso in lui l'improvviso desiderio di ricordare ciò che lo ossessionava inconsciamente da anni; solo la necessità del ricordo poteva generare un film che va oltre l'autobiografia, (poiché il ricordo stesso si evolve, cambia, creando perfino situazioni nuove) e che riesce a riassorbire la vita (quella vera, con tutte le sue contraddizioni inspiegabili) nell'arte.
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