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2ª edizione - (1999)

Emozioni e riflessioni in margine alla visita al lager di Dachau

 Spesso ci sono state proposte immagini sulla seconda guerra mondiale, sulla fame di quegli anni, sulla sofferenza di intere famiglie e sulla libertà negata a migliaia di persone costrette a vivere nei lager e nei campi nazisti.
Spesso ci vengono proposti film, come "Shindler's list" e il più recente "La vita è bella" che invitano le nostre coscienze a riflettere su ciò che è accaduto perché non accada mai più.
Guardando queste immagini riflettiamo e spesso ci commuoviamo, ma nessun documentario o film può dare le stesse emozioni di una visita diretta ad un campo nazista, ad esempio il lager di Dachau.
Il lager di Dachau: una costruzione fredda e cupa circondata da alte mura e filo spinato.
Tristezza ecco la prima sensazione che ho provato: tristezza per quello che è accaduto, tristezza perché nessuno era riuscito a fermarlo, tristezza per tutte quelle famiglie che ancora oggi portano con loro il ricordo di quel dolore.
Stavo lì in piedi con i miei compagni a guardare quell'immenso piazzale, dove i deportati erano costretti a stare in piedi per ore in attesa dell'appello; mi veniva in mente continuamente una domanda "perché..."
All'interno c'erano immagini e fotografie, volti di uomini, ma erano ancora uomini? Potevano ancora definirsi esseri umani?
Immagini di violenza di assurdi esperimenti e di torture ci accompagnarono fino alla fine del museo.
Volevo andarmene, volevo tornare sul pullman e dimenticare quello che avevo visto, ma gli occhi pieni di paura dei deportati, i corpi straziati dal dolore non si possono dimenticare, anzi non si devono dimenticare; non si devono dimenticare per non fare gli stessi tragici errori del passato. E ancora quei letti troppo piccoli anche per dei bambini, come potevano dormirci così tanti uomini? Accovacciati uno sopra l'altro, i malati e i sani dormivano assieme senza un minimo di igiene.
L'ultimo luogo che visitammo furono i forni crematori, forni nei quali venivano bruciati corpi di operai, medici, giornalisti, politici... perché è per questo che devono essere ricordati, per uomini non per semplici numeri.
Ora quello che provavo era rabbia: insomma quelle persone erano uomini ma furono considerati delle bestie; con quale coraggio o forse è meglio dire con quale vigliaccheria quelle persone vennero trattate! Rabbia ancora rabbia nel leggere l'inscrizione sul cancello d'entrata: "Il lavoro rende liberi".
Ma era libero chi era costretto a trasportare corpi morti di amici e parenti? Era libero chi aveva perso la sua identità per essere solo un numero? Era libero chi era costretto a sostare sotto il sole o sotto l'acqua per ore senza nessun motivo? E infine era libero chi era stato allontanato forse per sempre dalle persone che amava? Rabbia nei confronti dei nazisti, di quegli uomini privi di scrupoli; del popolo tedesco, ma non solo, che per anni fece finta di niente.
Ma forse ero arrabbiata con me stessa, perché non ero mai riuscita a comprendere fino in fondo tutto il dolore di quegli anni.
Mi dispiace non riesco a provare nessun sentimento di perdono per il comportamento nazista, forse è impossibile perdonare o forse è troppo presto o forse non sta a me perdonare...
In questo momento mi sento solo di condannare, non con la vendetta ma con la giustizia, bisogna pagare per le proprie colpe, ma chi pagherà per quello che è successo? Chi?
Ci si è mai preoccupati di cercare i colpevoli? In questo momento mi pongo tante domande che forse non avranno mai una risposta.
Ma dopo quello che ho visto a Dachau, dopo le forti sensazioni che ho provato, mi è rimasta una gran voglia di ricordare, voglia di non dimenticare ciò che è accaduto.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010