Emozioni e riflessioni in margine alla visita al lager di Dachau
In questi anni di scuola ho avuto spesso occasione di acquisire informazioni su quanto successe durante la seconda guerra mondiale agli ebrei. Molte sono le notizie apprese riguardo alla loro ingiusta persecuzione, alle loro sofferenze e alle loro storie personali, attraverso libri, documentari e soprattutto incontri con alcuni sopravvissuti a questa terribile ed indimenticabile esperienza. Sicuramente leggere un libro di Primo Levi o di altri autori altrettanto famosi, può essere coinvolgente a livello emotivo, ma personalmente le esperienze che mi hanno più colpito sono state le testimonianze ascoltate direttamente. Ascoltare le storie, tante volte lette, raccontate in prima persona da chi ancora ne porta il peso del ricordo, vedere i volti di queste persone, sentire l'emozione e il dolore nelle loro voci ancora oggi, dopo tanto tempo, non può non sensibilizzare, non può non coinvolgere. È troppo diretta, troppo presente l'angoscia che esprimono che non può non essere trasmessa e soprattutto condivisa dagli ascoltatori. A volte ascoltare può essere più incisivo e impressionante che vedere con i propri occhi. Forse per una persona che non ha nessuna conoscenza riguardo alla persecuzione degli ebrei, ma che soprattutto non ha mai sentito una testimonianza, che non ha mai visto gli occhi che raccontano quanto hanno visto, che non ha sentito l'emozione nelle voci entrare a Dachau non può provocare un immensa tristezza e desolazione. Per me la visita in questo tragico luogo è stata molto emozionante, ma credo che sia stata tale soprattutto per quello che ho conosciuto prima e che mi ha permesso, una volta presente nel luogo concreto di morte, di visualizzare con l'immaginazione quanto sapevo essere veramente accaduto. Sicuramente senza questo patrimonio non sarebbe stato lo stesso. Nel giorno della nostra visita il tempo era piovoso, il cielo coperto e l'aria piuttosto fredda. Dachau si presentava completamente grigia, con il terreno di sassi, fangoso ed allagato. Il suo perimetro è ancora circondato dal muro con il filo spinato. Entrando tutto induce a una sensazione di angoscia perché ci si trova davanti ad uno spettacolo veramente desolante. Il silenzio domina su Dachau, lo stesso silenzio che domina sui cimiteri. Ma qui è ancora più profondo perché non è solo un silenzio di rispetto nei confronti di chi non c'è più, ma è un silenzio che nasce dall'incapacità ad esprimersi davanti ad una tale realtà sconvolgente. Mentre mi trovavo nel grande piazzale pensavo a quante volte questa povera gente si era trovata in piedi, in fila sotto quella stessa pioggia, su quello stesso terreno sassoso, fangoso ed allagato, esposta a quell'aria fredda senza nessuna protezione. Fra i perimetri delle baracche si creavano veri e propri fiumi a causa della pioggia, noi li evitavamo nel nostro percorso, ma sicuramente loro no. Ogni mattina loro passavano per quelle strade, sempre più vuoti di vita e speranza, sempre meno simili a esseri umani, verso una giornata che forse, solo per un semplice errore, sarebbe stata l'ultima. Noi invece eravamo lì, liberi e coperti, e proprio per il pessimo tempo abbiamo deciso di abbandonare il luogo e dirigerci verso il museo. La prima parte di questo illustra la storia del nazismo, mentre nella seconda vi è una piccola ricostruzione di come era Dachau alle origini cui fanno seguito illustrazioni di alcuni momenti di vita nel campo e alcuni indumenti dei detenuti. Quest'ultima parte è sicuramente la più suggestiva perché si vedono nelle foto i prigionieri mentre scontano le pene ingiustamente inflitte, ma anche perché in alcune drammatiche immagini si vedono corpi ammassati nei letti delle baracche, ancora visitabili, così che poi passandoci, si riesce a riprodurre mentalmente la stessa situazione e ne deriva un senso di oppressione, di mancanza di spazio ed aria. Questa gente probabilmente non dormiva neppure. Di questo percorso figurativo due sono state le immagini che più mi hanno colpito. La prima è sicuramente la serie degli esperimenti. Vedere il volto di quella persona sottoposta ad una simile terribile esperienza, trasmetteva paura. Come doveva essere il suo stato d'animo in quel momento? Era una persona che veniva privata violentemente del suo naturale diritto alla vita, che veniva trattata come un oggetto, diventava una cavia, la sua unica ragione d'essere era divenire prova di un esperimento. Deve essere terribile sostenere una situazione del genere; non vogliamo queste cose per gli animali, figuriamoci per un essere umano che può pensare e capire la sua condizione. La seconda è una fila di quattro foto di uno stesso individuo da quando era entrato nel campo e poi in momenti successivi.
Qui si vede chiaramente il suo deperimento fisico, la sua trasformazione da essere umano a "qualcosa di vivente": è veramente impressionante. Mi chiedo perché questa distruzione della vita senza ragione. All'uscita dal museo abbiamo visto il cancello d'entrata del campo, quello con la tradizionale frase ironica: "Arbeit macht frei". Quante persone devono essere entrate di lì e mai più uscite. Solo questo pensiero mette un po' di terrore a passarvi. Lo stesso terrore che si prova entrando nelle camere dei forni crematori e successivamente nelle camere a gas. In quel piccolo edificio grigio, mentre mi trovavo davanti ai forni dentro di me non riuscivo a credere che veramente abbiano funzionato. Sono costruzioni di mattoni una a fianco all'altra, macchine di morte in cui tanti corpi, stremati dalle sofferenze, sono entrati per "vivere" il loro ultimo momento all'interno del campo. Quanti uomini lì dentro sono diventati cenere, per quanto tempo l'aria di Dachau, anche dopo la chiusura del lager deve essere stata intrisa da questo odore di innocente carne bruciata. Uscendo da questo tristissimo edificio si passa attraverso un fossato che lo separa un po' dal resto del campo per tornare fra le baracche. Infine, si arriva di fronte a un monumento in onore dei caduti. Questa costruzione composta da corpi di uomini sottili, scheletrici posti in posizioni forzate è emblematico della morte prodotta da Dachau. È veramente impressionante: esprime in modo sintetico tutte le sensazioni che comunica il campo di sterminio, mette paura, un'angosciante paura. Solo morte si vive a Dachau, è terribile sopportare tutto quello che è successo là dentro, ma non si può e non si deve dimenticare, rivivere è necessario per tenere vivo il ricordo.
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