Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

Emozioni e riflessioni in margine alla visita al lager di Dachau

Una vecchia canzone diceva: Ohi vita, ohi vita mia... sei stata il mio primo amore il primo e l'ultimo sarai per me..., un'altra aveva queste parole: La vita è un fiore così speciale nelle nostre mani... e poi films "La vita è bella", "Così è la vita" ci sarebbero migliaia di esempi riguardanti la vita.
Come si farebbe senza vita
Il nulla dominerebbe.
Ho voluto cominciare questa riflessione su un luogo di morte, con un inno alla vita. Perché, perché non è facile per me parlare di morte, non ne sono capace, ma... non posso far finta che questa non esista.
La morte domina nel passato, nel presente e ahimè dominerà nel futuro.
Come fanno a non venirmi in mente i milioni di uomini e di donne che hanno perso questo dono nei campi di concentramento, dove regnava la morte, la disperazione e la paura. Non potrò mai comprendere, mai capire quale sia stata l'immensa sofferenza di vivere senza vita.
Ho partecipato ad assemblee, ho parlato con chi c'era, ho visto filmati e film, ho letto libri..., ma non mi è bastato. Non è stato sufficiente.
Una cosa è certa: essere entrata in un luogo dì morte quale Dachau lascia il segno. Tutto è successo un martedì mattina, a Monaco... freddo pungente, pioggia, nebbia... nel mese di marzo, il mese della primavera.
Noi entrati da un cancello di ferro, siamo in tanti, più di settanta..., ma il luogo che ci accoglie è silenzioso, ampio, il tempo sembra fermo.
La strada è formata da sassi, piccoli sassolini e se cammini strisciando i piedi, ti seguono... fanno un rumore che dà noia... chissà quante migliaia di persone ci hanno camminato sopra, con quegli zoccoli pesanti, sempre quel rumore nelle orecchie.
Filo spinato, torrette... è tutto così vasto... se gridi si sente anche lontano, ma di quella povera gente chi aveva la forza di gridare, chi aveva il coraggio?
Le sento le guardie che gridano, i cani che abbaiano, il rumore dei sassi: riesco a sentirli. Non li vedo.
C'è un museo all'interno, che raccoglie numerosi reperti fotografici. Ogni foto è diversa, ma gli uomini fotografati sono identici: tutti hanno lo stesso volto, vuoto, scavato; gli stessi occhi colmi di lacrime che non si liberano; le stesse mani stanche e lo stesso corpo debole. Quelli che sono morti identici a coloro che sono vivi.
Mi giro e vedo i miei compagni, mi rigiro e vedo quell'ammasso di cadaveri: come è potuto accadere un dramma del genere.
Usciamo dal museo e piove ancora. Davanti a noi c'è il piazzale dell'appello. Ne avevo già sentito parlare mille volte. Chi non si ricordava il suo numero veniva picchiato, se non si trovava un uomo gli altri dovevano aspettare in piedi per ore ed ore col sole, con la pioggia, col vento, finché non lo avessero trovato.
Ora che son lì non mi viene in mente niente, vedo soltanto un'immagine: tanti alberi scheletriti, fermi, senza foglie.
Proseguiamo, arriviamo dinnanzi ad una baracca e la superiamo. Dietro questa c'è un enorme campo, le altre costruzioni sono state abbattute e ne rimangono solo le fondamenta. È tutto questo vuoto, questo spazio in cui non c'è niente che mi rattrista: il nulla domina. Simbolo di fertilità ma solo pietra che invece è dura, che non permette che qualcosa nasca. Arriviamo ad una baracca che è più isolata, ci sono i forni crematori e la camera a gas dentro. Quest'ultimo è stato il luogo più emozionante.
Ci hanno detto che la camera a gas non è mai stata utilizzata a Dachau, ma entrarci mi ha scosso. Era più buia delle altre stanze, ma con i muri candidi, più fredda, ma Attraversiamo il campo che è fatto di soli sassi, non c'è terra, perché la terra è accogliente. Avevo i brividi e la mente piena di foto, di immagini e di parole che si mischiavano.
Credo che sia questo il peggior delitto che un uomo possa compiere: vedere entrare fiduciosi dei propri simili in un luogo che li farà morire e pur sapendolo non dire nulla, non fermarsi. Come si fa ad essere così crudeli, così cattivi.
Torniamo indietro percorrendo tutto il campo, mi giro e lo osservo nella sua interezza... sento le voci dei miei compagni che camminano al mio fianco, ma il mio pensiero e il mio sguardo si concentrano sui grandi alberi che circondano le baracche.
Sicuramente saranno stati testimoni del massacro avvenuto qui a Dachau, avranno visto quello che succedeva, quei volti, quei corpi...
Usciamo e siamo vivi, tutti.
Non voglio dimenticare questo luogo e penso ad una frase del libro di Primo Levi:
Meditate che questo è stato: scolpite queste parole nel vostro cuore, ripetete ai vostri figli
.... Se in passato era difficile che il mio pensiero e il mio cuore si concentrassero su questi avvenimenti, che pur mi coinvolgevano (sono sempre occupata e ho mille cose da fare), questa volta sarà diverso: qualche sera prima di addormentarmi pregherò per coloro che hanno perso la vita, ma soprattutto per i loro cari, perché abbiano il coraggio dì perdonare e per le generazioni future affinché non accada più un avvenimento simile.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010