Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

Emozioni e riflessioni in margine alla visita al lager di Dachau

Pioggia e freddo, anche il tempo sapeva dove stavamo per entrare e si rifiutava di sorridere, e dopotutto credo che nessuno avrebbe voluto sorridere in quel luogo di morte.
All' inizio ho avuto come l'impressione di entrare in una caserma, filo spinato, torrette di guardia, fossato. Non sono subito riuscita a collegarlo a tutto quello che avevo letto sui lager, la morte e lo sterminio; non mi ha dato forti emozioni 1'entrare nel cortile centrale, non riuscivo a vedere ciò che realmente rappresentava: inizialmente ho guardato Dachau come un architetto, che nota le strutture, i materiali, come viene sfruttato lo spazio, o come una persona ignara di ciò che fu Dachau per milioni di persone!
Poi sono entrata nel museo, pensando come fosse possibile definire con lo stesso nome un luogo dove si raccolgono opere d'arte di sovrannaturale bellezza e un luogo dove sono messe ben in vista le più gravi atrocità dell'uomo (erano uomini quelli? Non sono ancora riuscita a trovare una risposta senza avere sensi di colpa!).
Là ho cominciato ad aprire gli occhi e dopo pochi minuti avrei voluto richiuderli per far finta di niente, per non essere tormentata da quelle immagini, per non provare dolore e pietà, per non dover pormi delle domande.
Il museo di Dachau è molto ben strutturato e colpisce direttamente al cuore, non ci sono sentimentalismi, né commenti, né giustificazioni: le innumerevoli fotografie, i documenti e i reperti parlano da soli e gridano per farsi sentire e per svegliarci dal sonno.
Dopo un vestibolo, dove si racconta di come il partito nazionalsocialista sia giunto al potere e di come sia iniziata la persecuzione antisemita, si giunge nelle sale vere e proprie dove sono collocate fotografie abominevoli di uomini che non sono più uomini, di torture, di lavori forzati, di condizioni di non vita.
Le sale hanno grandi finestre che danno sul cortile centrale, la piazza d'appello, e da quelle finestre ho visto il vero lager di Dachau, non più come un architetto, non più come una persona ignorante, ma come una persona cosciente, con ben chiaro nella mente ciò che esso fu realmente.
Avevo già visto filmati sui lager, avevo già letto molto libri e sapevo già cosa succedeva ad un uomo in quei cosidetti "campi di lavoro" ma non ho mai provato così grandi emozioni come quella mattina a Dachau, dove, nel museo ho visto file e file di uomini sull'attenti sotto pioggia, neve o sole in attesa dell'appello con negli occhi disperazione e fame, poi, girandomi ho visto là, davanti ai miei occhi, la piazza d'appello, identica a quella della foto, lo stesso tremendo luogo, ora vuoto, ma che per un istante mi è apparso pieno di quegli uomini... penso che per la prima volta dopo anni che sentivo parlare di sterminio abbia fino in fondo creduto che sia veramente accaduto e capito la sua entità!
Poi siamo usciti e la pioggia continuava a battere sui nostri ombrelli e io, nella mia giacca a vento mi lamentavo del freddo, dell'umidità, delle scarpe che si bagnavano nelle pozzanghere. A quel punto ho avuto la chiara prova di quanto si possa essere egoisti ed ipocriti, io mi lamentavo per un nulla proprio là, nel punto esatto dove forse un uomo, o addirittura un bambino, era morto per il freddo e la malattia o era stato preso a calci da una guardia o azzannato da un cane; mi sono vergognata delle mie sensazioni
Dopo pochi minuti di cammino su quei ciottoli che ricoprono tutto Dachau e che lo rendono, se possibile, ancora più triste e grigio, eccoci giunti ai forni crematori.
Ancora una volta la prima occhiata è stata distaccata, ma poi un lampo è balenato davanti ai miei occhi: quella fotografia vista una decina di minuti prima, quei corpi inermi ammassati in un angolo e quello scheletro umano che entrava, su quella specie di barella, nel forno... era reale era accaduto veramente avevo un nodo allo stomaco. Dachau è immenso, mi faceva quasi paura quell'enormità, ma forse era solo lo specchio che rifletteva 1'enormità del male, del dolore e della sofferenza! A Dachau ci sono ancora solo due baracche, le prime, quelle che danno sulla piazza d'appello, delle altre rimangono solo i perimetri, segnati per terra... erano veramente tante! Sembra quasi che qualcuno abbia voluto rappresentare visivamente la percentuale di quanti sono stati cancellati dalla vita rispetto ai superstiti e sottolineare come nonostante si volesse annientare quegli uomini, essi abbiano lasciato un segno indelebile nelle nostre vite! Questo mi sono portata via come souvenir da Dachau: la decisione ferma che ogni qualvolta vedrò degli occhi che implorano pietà e aiuto come quelli dei deportati di Dachau, non mi volterò dall'altro lato ma andrò loro incontro per evitare che il mondo si macchi di un altro sopruso!


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010