Somnium
"Benvenuti a bordo dell'ATQ200 destinazione New York. Il comandante vi augura una buona giornata e vi prega di allacciare le cinture di sicurezza", squilla la voce nell'altoparlante.
Mi allaccio la cintura stretta stretta intorno alla vita e mi metto a posto la camicia stropicciata. Mio fratello è seduto dietro di me, si trova vicino ad una signora di mezza età che sorseggia un succo di pomodoro condito.
Mi guardo intorno: i passeggeri non si sono ancora allacciati le cinture, alcuni fumano nonostante il segnale "no smoking" sia acceso. Il mio vicino sta guardando fuori, attraverso il finestrino un po' appannato. È un signore sui quarant'anni dall'aspetto serio e distinto, mi ricorda un lord inglese.
Nel corridoio centrale passano avanti e indietro hostess indaffarate che controllano che tutto segua la procedura d'imbarco, come descritto nelle regole della compagnia aerea. Dopo un quarto d'ora, la voce del pilota: "Chiudere portello d'imbarco e posizionarsi ai propri posti di decollo".
Le hostess si dileguano e vanno anch'esse a sedersi, allacciandosi le cinture e mettendosi a posto i capelli e il fazzoletto bianco nel taschino della giacca.
Si accendono i motori a turbina e l'aereo inizia a muoversi lentamente sulla pista di decollo. Io mi tengo saldamente aggrappato ai braccioli del mio sedile e vedo che anche il mio vicino sta facendo lo stesso. Entrambi guardiamo fuori attraverso il finestrino e notiamo che siamo già decollati, le automobili e il nostro aeroporto minuscoli a questa distanza. L'aereo si libra nel cielo blu, incontrando ogni tanto qualche nuvola. Adesso ci troviamo al di sopra di un mare di cirri, che sembrano panna montata nel sole mattutino. Di sotto la terra non è più visibile e vedo l'ala del nostro aereo inclinarsi leggermente, segno che stiamo cambiando direzione; poco dopo ritorna normale e mi tranquillizzo.
Chiedo a mio fratello come va: mi risponde che è tutto okay. In fondo al corridoio si accende il proiettore di film; sullo schermo di fronte appare una cartina dell'Europa con segnata la nostra posizione in questo momento. Un'altra schermata ci informa del tempo ancora rimanente, della temperatura esterna e della velocità a cui stiamo viaggiando. Sinceramente non riesco a capire chi possa essere interessato a quanti chilometri all'ora stiamo viaggiando o quanto fa freddo a dodicimila metri (-55°C!). Una bambina sta osservando lo schermo a bocca aperta, segno che almeno c'è qualcuno che ancora si stupisce per questo genere di cose!
Visto il disinteresse che mi trasmette questa scena, decido di chiudere gli occhi per cercare di schiacciare un sonnellino. Mi addormento dopo poco tempo.
Vengo improvvisamente svegliato da una serie di scossoni e dalla voce nell'altoparlante: "Buongiorno a tutti: qui è il comandante che vi parla. Stiamo ora attraversando una zona della Repubblica democratica popolare del Laos nella quale sono in corso piccole guerriglie armate tra i ribelli indipendentisti e l'esercito della repubblica. Siamo quindi stati costretti ad abbassare la nostra quota per sfuggire ai radar dell'esercito, onde evitare spiacevoli inconvenienti. Pertanto vi preghiamo gentilmente di allacciare le cinture di sicurezza e di rimanere seduti nei vostri posti, fino a quando l'apposito segnale non verrà spento".
Rimango strabiliato: stiamo passando veramente sopra il Laos oppure ho sentito male? Il volo ATQ200 va a New York! Da quando si attraversano i cieli dell'Asia per andare negli Stati Uniti?! Per quanto riguarda poi la guerra, non sapevo neanche che ce ne fosse una in Laos!
Mi giro verso il mio vicino e lo tocco sulla spalla per attirare la sua attenzione.
"Mi scusi...", gli faccio un po' agitato.
"Sì...?", mi chiede con aria interrogativa.
"Qual è la destinazione di questo volo?"
"Manila, Filippine", risponde lui, come se fosse una cosa data per scontato.
Manila?! Filippine?! Mi sta prendendo in giro!
"Scusi...? Non ho capito...", gli chiedo.
"Manila, nelle Filippine", mi risponde di nuovo, un po' più forte ma sempre flemmaticamente.
Non ci posso credere. Ho preso l'aereo sbagliato! Eppure mi sembrava di ricordare che al decollo l'altoparlante avesse detto che eravamo diretti a New York. Mi sarò sbagliato. Nel panico mi giro per chiedere conferma a mio fratello: niente, sta dormendo.
Guardo lo schermo per avere conferma di quanto ha detto il signore: sul telo bianco è proiettata la cartina dell'Asia, ci troviamo effettivamente sopra il Laos. Su Manila vi è un simbolino rosso con scritto "destinazione". Porca miseria! Allora siamo veramente diretti verso le Filippine! La schermata seguente mi dice che l'aeroplano sta volando a quota duemila metri: siamo bassissimi, rischieremo di scontrarci con qualche altro aereo.
Mi guardo intorno. Nonostante la notizia, che suscita in me un po' di panico, tutti gli altri passeggeri sembrano essere sereni o per niente preoccupati. Le hostess stanno camminando nel corridoio lentamente, con un finto sorriso stampato sul volto incipriato.
Mentre rifletto sento l'aereo muoversi bruscamente da un lato. Contemporaneamente vedo apparire sullo schermo il film di una bomba che esplode, lanciando in aria un carro armato. Non riesco a capire cosa stia accadendo.
Subito dopo rintrona la voce del comandante: "I gentili passeggeri sono pregati di non preoccuparsi: il missile è stato prontamente evitato"
Cosa? Quale missile? Di cosa sta parlando questo pazzo di un comandante? Guardo il mio vicino: sta sorridendo, sembra quasi divertito da quanto ha appena pronunciato il pilota. Gli chiedo cosa intendeva per "missile".
"Cosa vuole che intendesse, secondo lei?", mi risponde seccato, "Ci hanno sparato addosso un missile terra aria. Meno male che il pilota ha i riflessi pronti, se no a quest'ora saremmo spacciati!"
"Ma cosa diavolo sta dicendo...", mi viene quasi da rispondergli, ma mi trattengo.
Gli dico invece: "E cosa mi dice dell'immagine che hanno appena proiettato? Da dove salta fuori, secondo lei?!"
"Quale immagine?", mi fa con aria interrogativa, guardando lo schermo. Mi volto anch'io e vedo con stupore che lo schermo ha tornato a mostrare di nuovo la cartina dell'Asia: con dispiacere mi accorgo che stiamo ancora volando sopra il Laos.
"Niente...nessuna immagine, mi sono sbagliato", rispondo perplesso.
Evidentemente l'unico che ancora ragiona su questo dannato aeroplano sono io; oppure, al contrario, sono l'unico che non riesce a ragionare, dato che non capisco un accidente di cosa sta succedendo.
Cerco di guardare fuori dal finestrino, ma il mio vicino si è improvvisamente appisolato e ha voluto chiudere la tendina. Intanto mio fratello dorme ancora, ignaro di quanto è appena successo.
Vedendo tutta questa gente che dorme sarei quasi tentato a schiacciare anch'io un bel sonno. Purtroppo non faccio in tempo: ancora una volta l'aereo si inclina bruscamente sulla destra, si sente un ronzio seguito da un fortissimo botto, poi uno scossone che mi fa battere la testa sul tavolino pieghevole posto in faccia al mio sedile. Contemporaneamente sullo schermo appare una fotografia in bianco e nero di un'esplosione vista dall'alto. Sento un male tremendo alla fronte e mi accorgo di avere il viso rigato da piccoli rivoli di sangue che gocciolano sulla mia camicia.
Sento delle urla: mi guardo attorno e vedo tutti i passeggeri dimenarsi, li sento urlare, bambini che piangono, donne svenute, tutto l'aereo sottosopra e nella confusione il grido di terrore del mio vicino: "Ci hanno colpiti!!"
Non faccio in tempo a rendermi conto di quanto ha detto che vedo provenire dalla coda dell'aereo una massa incandescente di fuoco e macerie, che percorrendo il corridoio distrugge tutto quello che trova sul suo cammino. Sta procedendo velocemente verso il mio posto, sento il calore che emana diventare sempre più forte, vampate di fuoco si protendono verso di me, sto sudando mentre vedo i corpi dei passeggeri incenerirsi al suo passaggio! Guardo mio fratello e vedo che si è svegliato; ha la fronte imperlata di sudore, sta piagnucolando e ha paura. Gli do la mano e lui mi abbraccia per quanto glielo possa permettere la cintura di sicurezza, poi la massa incandescente lo ha raggiunto, ci ha raggiunti, sento caldo, sento dolore, poi niente.
Il mio corpo è ad un tratto divenuto leggero, so che sono morto ma vedo ancora me stesso e mio fratello abbracciati l'un l'altro, con il viso sereno di chi, nonostante la cruda morte che lo ha sopraffatto, è morto senza peccati sulla coscienza. Lascio le mani di mio fratello e mi slaccio la cintura di sicurezza; non fa alcun rumore, in effetti non si ode suono in tutto l'aereo. Gli altri passeggeri sono scomparsi; ci sono invece le loro anime, luccichii qua e là che si muovono gentilmente nell'aria, volteggiando come piume. Siamo rimasti soltanto io e mio fratello, ma non ci parliamo. Mi tocco la fronte e sento che il taglio è misteriosamente guarito e non sanguina più. Poi mi guardo i vestiti e vedo che le macchie di sangue sulla camicia sono svanite; noto inoltre che sto emanando una strana luce, la cui massima intensità è nei pressi del cuore.
Mi tocco la camicia e la sento morbida nelle mie mani, soffice come il più prezioso velluto. Mi slaccio il bottone del colletto e improvvisamente, come se fosse fatto di carta velina, il tessuto si lacera al tocco delle mie dita. La camicia si strappa in tutta la sua lunghezza e rimango a torso nudo nel mio sedile. Mio fratello mi guarda con occhi stupiti, poi prova anche lui a sbottonarsi i polsini ed ecco che le maniche della sua camicia si riducono in brandelli, e iniziano a fluttuare in aria come se sospinti da una forza invisibile. Meravigliato da questo fenomeno e incuriosito da quello che è successo, mi slaccio il bottone dei pantaloni e con altrettanto stupore essi si sbrindellano e volano via, facendomi restare nudo in mezzo all'aereo.
Mi pervade una strana voglia di toccare il mio corpo, come attratto dalla luce che esso rifulge. Mi sfioro il ventre con una mano e un pezzo di carne si stacca dall'addome: non esce sangue, non sento dolore, vedo solo questo pezzo di materia lucente librarsi nell'aria a rallentatore e depositarsi poi sul soffitto dell'aeroplano, come se non esistesse più forza di gravità. Sono sconcertato da quello che è accaduto. Sono contento come un bambino e sorrido come se quello che ho appena fatto fosse nient'altro che un gioco.
Improvvisamente però noto che intorno al taglio nel mio addome si stanno strappando altri pezzi di carne e che mi sto lentamente decomponendo nell'aria, come se il mio corpo fosse fatto di polvere. Mio fratello mi guarda inorridito ed inizia ad urlare, ma la sua bocca non emette alcun suono: anche al suo corpo sta succedendo la stessa cosa, si sta sciogliendo come un ghiacciolo sotto il sole. Ormai rimane soltanto la testa.
A questo punto accade qualcosa di strano, di ancora più surreale. A mano a mano che la sua testa svanisce ne escono fuori immagini, colori, suoni, tutto ciò che si trova nella sua mente in questo momento. E così rivedo pezzo per pezzo l'incidente del nostro aereo, risento addosso il calore emanato dalle fiammate, sento l'odore acre dei passeggeri che bruciano dimenandosi. Poi mi passa davanti tutta la vita di mio fratello, i momenti che abbiamo passato insieme ai nostri genitori, le belle giornate trascorse in montagna e al mare, facce di persone che conosco e altre di persone che non ho mai conosciuto, odori di mille avventure di ragazzo. Tutto questo in pochissimi attimi, mentre il mio stesso corpo sta facendo la stessa fine. In poco anch'io mi ritrovo privo di corpo, munito soltanto della mia testa. Mi colpisce allora un pensiero orribile: non voglio che il nulla mi privi anche di questo, della mia mente, no, non permetterò che vadano perdute tutte le mie sensazioni, i miei ricordi, le mie felicità e delusioni, che questi si perdano nello spazio come se non fossero mai esistiti, no, questo non succederà. Avverto calore, mi sento sudato anche se non ho corpo, inizio ad urlare, mi dimeno con la testa, piango, ma ormai il nulla mi ha quasi inghiottito, lo sento, mi è vicino, mi sta consumando, non posso, non voglio, no, noooooooooo!!!!
"... noooooooooo!!!!", mi sveglio, mi guardo intorno.
"Qualcosa che non va, signore?", mi chiede una voce femminile.
"...no,...eh,...dove sono?..."
"Signore, è a bordo del volo ATQ200 per New York. Si ricorda? Tenga, ecco un bicchiere d'acqua", dice gentilmente la hostess, "deve aver fatto un brutto sogno. Sa, l'abbiamo sentita urlare, allora sono accorsa"
Mi giro verso il corridoio: una decina di passeggeri mi sta guardando in modo strano. Mi sa proprio di aver urlato un po' troppo forte!
"Grazie", rispondo prendendo il bicchiere che mi viene posto. Sorseggio dell'acqua.
"Mi sento già meglio, grazie e mille", dico con un sorriso.
"Se ha bisogno di qualsiasi altra cosa, mi faccia sapere!", mi dice la hostess.
"Grazie ancora, signorina", rispondo io.
Guardo lo schermo in fondo al corridoio: sopra vi è proiettata la cartina dell'Europa. Ci troviamo all'altezza della costa occidentale del Portogallo e manca ancora un bel po' di tempo prima dell'ora di arrivo. Mi giro dietro per salutare mio fratello, ma sta dormendo. Chissà che anche lui non stia facendo brutti sogni!
Dunque era solo un incubo! Un semplice incubo, che però mi ha fatto paura come se fosse reale. Eppure, come succede molte volte quando ci si è appena svegliati, non me ne sovvengono tutti i dettagli: accade infatti che una persona si ricordi del sogno che ha fatto dopo qualche ora, se non dopo l'intero giorno. C'è gente che dice (ed è sicuramente vero) che i sogni rispecchiano ciò che è successo nell'arco di una giornata, magari fanno ritornare in mente insignificanti particolari che la nostra mente aveva accantonato in un angolino, e che misteriosamente tornano a galla di notte. Tuttavia non mi sembra di aver riscontrato analogie tra il mio sogno e quello che mi è successo in questi ultimi giorni, tranne per il fatto che esso era ambientato nell'aereo sul quale sto viaggiando. Magari questo sogno rispecchia veramente qualche aspetto della mia mente che io non conosco, qualcosa che ignoro, che fa parte del mio subconscio, e a pensarci mi viene quasi paura...
Mentre sto riflettendo, sento l'aereo perdere quota improvvisamente, poi ritornare nella sua posizione: sarà stato un banale vuoto d'aria, niente di cui preoccuparsi. Ma ad un tratto ecco un'altra ricaduta, più lunga: i passeggeri mormorano, qualcuno emette un piccolo urlo soffocato.
"Preghiamo i gentili passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza, grazie", dice la voce nell'altoparlante.
Perché? Come mai dobbiamo allacciarle? Non ci hanno dato nemmeno una spiegazione come fanno di solito. Che ne so, una zona di bassa pressione, un tratto ventoso: no, niente, dobbiamo solo allacciare le cinture senza alcun motivo, tranne per il fatto che ci sono stati dei vuoti d'aria.
Improvvisamente l'aereo piomba ancora una volta nel vuoto, ma la sua posizione non si stabilizza come prima. Dopo un po' di sbalzi iniziamo a precipitare vertiginosamente, giù, veloci; mi tengo saldamente ai braccioli del mio sedile, sento le urla di passeggeri che si sovrappongono ai pianti dei bambini, si rovesciano i bicchieri di aranciata sui tavolini, mio fratello si è svegliato e singhiozza in preda al panico, la confusione è tremenda.
L'altoparlante si accende ed inizia a fischiare, probabilmente si è rotto. Ad un tratto si aprono dei portelli sopra le nostre teste e ne scendono maschere d'ossigeno, che iniziano a dondolare in aria.
"A tutti i passeggeri: usare le maschere d'ossigeno immediatamente!", urla il comandante nell'altoparlante.
Ne afferro una e me la tiro bruscamente sul viso e comincio a respirare affannosamente come se avessi l'asma. Guardo fuori dal finestrino, stiamo precipitando ancora, stiamo sorvolando il mare, l'oceano Atlantico. Le onde frastagliate dal vento sono puntini bianchi a quest'altezza; poi iniziano ad ingrandirsi, vedo le loro sfumature violastre, riesco a riconoscere un'onda dall'altra a mano a mano che ci avviciniamo.
La voce del pilota: "Pronti all'ammaraggio!"
Poi ci schiantiamo sulle onde del mare e vengo meno.
"Dottore, si sta svegliando!", una voce che non riesco bene a sentire.
"Piano adesso", un'altra voce.
Schiudo gli occhi e vedo chino su di me un uomo in camice bianco. Le sue dita si avvicinano al mio viso e mi aprono le palpebre gentilmente, poi mi viene sparata negli occhi la luce di una pila portatile.
"Sta meglio, gli occhi mi sembrano normali", riecheggia la prima voce.
"Sì, risveglio positivo, non c'è dubbio. Mi riesce a sentire, signore?", chiede la seconda voce.
Cerco di muovere la testa per dire di sì, ma sento un terribile dolore al collo e alla schiena, dolore che si trasmette a tutto il corpo.
"No, no, non si muova, per la carità del Signore!", mi ferma in tempo la voce di quello che ho riconosciuto come un dottore.
"Ch-che cosa è...successo...?", chiedo con un filo di voce. A parlare mi fa male la mandibola e gli zigomi.
"Beh, signore, lei si è appena svegliato da un coma durato due settimane: trauma cranico e rottura del ginocchio destro, due vertebre rotte, torsione al polso sinistro e rottura della spalla destra. Non per volerla spaventare, ma la sua è una brutta faccenda. Lei è salvo per miracolo!", mi dice il dottore sorridendo.
Così andò. Stetti in ospedale per altre quattro settimane, riposandomi e guarendo lentamente. Poi seguirono mesi e mesi di riabilitazione fisica, di fisioterapia e di massaggi. Sono uno dei pochi superstiti di quel volo infernale: per l'esattezza, rimanemmo vivi in undici su oltre settecento passeggeri del Boeing ATQ200 diretto a New York. Tra i sopravvissuti c'era anche mio fratello, che però perse l'uso di una mano. Si parlò a lungo di quel volo e dei motivi per il quale precipitò: c'era chi parlava di un attentato, chi di un guasto al motore, chi di una distrazione del pilota, ma nessuno venne mai a sapere niente di preciso. Né fu mai trovata la scatola nera, che probabilmente ora giace silenziosa sul fondo dell'Oceano Atlantico.
Ma in fondo cosa importa? Sono veramente interessato a sapere cosa provocò l'incidente? Non mi darebbe nessun sollievo conoscerne le cause. Sarò poco altruista, ma io sono vivo, sono contento di questo e non mi interessa sapere altro se non che anche mio fratello sta bene ed è salvo.
Ora, quando sento al telegiornale notizie su altri aerei precipitati non mi meraviglio più di tanto, ma ripenso con tristezza e paura a quel giorno in volo sull'Europa, ripenso alle scene di orrore che si presentarono ai miei occhi, ripenso alle sensazioni che provai. E mi viene sempre in mente, puntuale come un orologio, quel misterioso sogno che feci in aereo, che si rivelò veritiero e premonitore più di ogni altro pensiero che mai ebbi in vita mia.
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