L'uomo che leggeva le lapidi
Antonio Gusmaro avanzava calcando i passi sul pietrisco mobile e stridente sotto il suo peso. Con la mano sinistra stringeva sul petto i bordi del paltò marrone, come a raccogliere nel pugno la forza di tutti i bottoni slacciati e penduli. La stoffa lisa fasciava la sua alta figura e accentuava la curva degli anni sulle spalle: L'aria appena fresca, assumeva il pallore quasi giovanile del sole, in quel pomeriggio di primo autunno. Poche persone si aggiravano tra le lapidi vecchie e nuove del piccolo cimitero. Gusmaro evitava di incrociare i loro visi sconosciuti, avvolti nel silenzio e nella vaghezza di quell'atmosfera di morte. Eppure, stranamente, non era di cattivo umore. Passeggiando per i vialetti con un piccolo mazzetto di fiori colorati nella mano libera, si cullava in pensieri rivolti alla giovinezza, ai tempi della scuola. Il giorno prima, dopo più do quarant'anni, aveva fatto ritorno al suo paese, per riscoprire i suoni del suo accento sbiadito e i colori brillanti del mare e della costa. Era partito poco più che ventenne per la grande città del Nord e non aveva mai voluto, prima di allora, ripetere il percorso all'inverso come per tener fede a una cautela scaramantica. La vita se l'era giocata tra alti palazzi e strade affollate, trovando un po' dell'antica lentezza nelle aule e nella grande biblioteca dell'università, in cui per tanti anni aveva insegnato la storia a ragazzi sfuggenti e chiassosi. Il suo carattere era sempre stato chiuso e riflessivo e soprattutto da giovane aveva cercato in una serietà rigidamente disciplinata gli strumenti di un caparbio riscatto sociale. Ora che, già molto malato, aveva dovuto abbandonare l'università e non disponeva più nemmeno di quegli scarni riti quotidiani, sentiva, benché con grande ritardo, tutto il peso delle sue scelte rigorose. Si accorgeva addirittura con meraviglia che vivere da vecchi quando si è giovani può essere concepibile per l'istinto inesauribile di vita che guida qualsiasi azione. Ma vivere da vecchi quando si è vecchi e la fantasia si è spenta porta ad una tristezza senza rimedio o salvezza. Tutti i suoi interessi si affievolivano ogni giorno di più. Neppure i libri e la lettura che tanto aveva amato riuscivano ormai a trattenere la sua attenzione. Aveva smesso di leggere sia libri che giornali e anche di guardare la televisione. Solo di tanto in tanto ascoltava la radio. Da qualche tempo poi era stato colto da una strana mania. L'unica cosa che lo incuriosiva era leggere le lapidi dei cimiteri. Si aggirava tra le tombe per ore, con un mazzo di fiori in mano. Leggeva i nomi con avidità, controllava le date scrutava i volti delle fotografie. Di ogni volto si sforzava di immaginare la vita, basandosi assurdamente sul periodo, sulla possibile provenienza del cognome, sull'espressione, sulla presenza o meno di fiori freschi. Se poi, per caso, sulla lapide compariva una scritta che desse qualche indicazione in più, ad esempio sulle cause della morte, ci ragionava su fino a perdere la cognizione del tempo senza stancarsi di elaborare ipotesi e teorie. Quindi appena giunto al vecchio paese si era recato al cimitero. Camminava lento e falsamente indifferente tra le tombe indagando tra i nomi e le foto, attento a una possibile familiarità. Leggeva e rileggeva ogni scritta, frugando nei ricordi per scoprire se vi era per caso qualche conoscenza perduta nel tempo. Questa volta, contrariamente al solito, aveva anche un nome da cercare. Ci aveva pensato il giorno prima sull'aereo. Il nome di una compagna di liceo che si era suicidata pochi mesi dopo la sua partenza. Quando lui aveva avuto la notizia ne era rimasto molto scosso e non era mai riuscito a spiegarsi il perché di quel gesto. Ricordava una ragazza esile ma carina, con lunghi capelli neri e occhi vivaci. Per molti anni aveva gareggiato con lei per il miglior rendimento scolastico e come lei, unici nell'istituto, si era licenziato con il massimo dei voti. Aggirandosi nella zona antica rallentò ulteriormente il passo e nell'angolo più remoto trovò la tomba che cercava. Lesse il nome della vecchia amica e fu colpito dalla freschezza del viso nella foto. Notò anche che il marmo della lapide era lucidissimo, sfavillante. "Probabilmente è stata restaurata di recente" pensò "chissà perché allora non ci sono dei fiori". Passarono alcuni istanti prima che si accorgesse di un'ulteriore stranezza: sotto la scritta del nome compariva la data di nascita ma non quella di morte. Anzi per la verità, non mancavano le cifre uno e nove ma giorno, mese e anno non erano presenti. Fu allora che vide all'angolo dell'altra ala del cimitero una bella signora ancora giovane che lo fissava con aria dubitativa. Girò di scatto lo sguardo per paura di dover attaccare discorso ma stavolta quel suo tipico atto da testuggine non lo rassicurò. Non riuscendo a proteggersi, dal disagio si voltò nuovamente.
"Buonasera dottor Gusmaro". La signora si era fatta più vicina. Portava i capelli raccolti all'indietro, e ora sorrideva.
"Buonasera" rispose lui sorpreso "ci conosciamo signora?".
"Oh sì, certamente. Sa noi qui tutti ci ricordiamo sempre di lei".
"Noi chi?" pensò Gusmaro. "Questo mi fa davvero piacere" disse "ma cosa vuole, manco da tanto di quel tempo e lei è giovane...mi perdoni se non riesco a ricordare il suo nome".
"Non si preoccupi professore, è più che perdonato". La signora sorrise piacevolmente scoprendo dei bei denti bianchi, ma non si presentò.
"Come mai da queste parti professore?" domandò.
"La vecchiaia porta con sé molte nostalgie" rispose Gusmaro, incerto se continuare o no lo strano discorso.
"Noi tutti abbiamo saputo della sua malattia" disse la signora "ci è molto spiaciuto. Come sta ora?".
"Noi chi" pensò di nuovo Gusmaro "c'è poco da fare con certi mali" disse.
"Ma lei come fa a sapere certe cose?"
"Portava dei fiori a qualcuno?" chiese lei evitando ancora di rispondere.
"A una compagna di...a una ragazza morta molti anni fa" mostrò la tomba protendendo il braccio.
"Ma quella ragazza non è morta"
"Come sarebbe a dire?", si irritò Gusmaro, "Mi è stato detto che si era...ho sempre creduto fosse morta. E poi non vede la tomba? Ma lei vuole forse prendermi in giro?"
"Veramente non mi riconosci?". Gusmaro spalancò gli occhi e avvicinò il viso a quello della donna. A poco a poco l'impressione di somiglianza che lo aveva colpito da subito si ingrandì fino a fargli correre un brivido elettrico lungo la schiena e farlo sobbalzare.
"Eh sì! Hai capito bene" disse la donna divertendosi al suo stupore.
"Lei..tu.." balbettò Gusmaro "Lei signora è troppo giovane" riprese in tono di sfida non troppo convinto. "Non è possibile, lei non può essere quella ragazza, se lo fosse ora dovrebbe avere la mia età".
"È proprio perché non sono morta che sono così giovane", rincalzò lei, ma con voce condiscendente "Ti dissero che ero morta, che mi ero uccisa, ma non era vero. In realtà fosti tu a morire tanti e tanti anni fa. Ecco perché ora sei così stanco, cadente e hai quella amarezza nel cuore".
"Ah! Allora secondo lei, secondo te, io sarei un morto che parla?", Gusmaro rise di stizza.
"Mi pare più che evidente. Tu hai ucciso tutto ciò che avresti potuto essere e non sei stato, tutte le infinite vite che avresti potuto vivere e non hai vissuto. Hai fatto appassire la tua vita solo in una delle innumerevoli forme che avrebbe potuto assumere. Hai mentito, hai tradito te stesso e altri, hai ceduto a compromessi che ti pesavano sempre meno sulla coscienza. Adesso che il tempo è passato e che ti marcisce l'anima, oltre che il corpo, anche questa tua unica vita, così preziosa, ti si sbriciola tra le mani. Io invece ho vissuto in eterno nella perfezione di tutte le mie possibili vite, che mi appartengono ancora una per una, come nel momento in cui ci affacciammo alla vita. Ricordi?".
Gusmaro chinò il capo sul petto e non disse nulla, ma fece scorrere la sua esistenza rapidissima nella mente. Rivide la moglie morta anni prima, l'amante che non sentiva più, il figlio che salutava solo per le feste, gli amici con cui era sempre stato avaro di sé.
"Hai ragione" disse in un bisbiglio "è proprio così che è andata. Forse va così un po' a tutti"
"Bene", fece la signora sorridendo "è già tardi, si avvicina l'ora di chiusura. Mi ha fatto piacere rivederti, professore. Arrivederci e auguri per la tua vita".
"Quel poco che resta" concluse Gusmaro, scuotendo la testa e nel dirlo allungò il braccio e porse alla donna il mazzo di fiori che teneva in mano. Lei lo prese allargando il sorriso e lo portò accanto al viso per annusarlo, come a ringraziare per un gesto galante. Quindi si voltò e dopo pochi passi la vide sparire dietro l'angolo. Girandosi su se stesso incrociò di nuovo la tomba con lo sguardo. Si avvide subito che figuravano con assoluta precisione le date di nascita e di morte. Si premette la mano sulla fronte per verificare se non fosse stato in preda ad un delirio. Alzò gli occhi al cielo e il sole calava appena ma già qualche ombra sbavava sui muri. Stette qualche minuto immobile e in silenzio. Poi si allontanò con falcate sostenute, circondate dalla luce metallica e irreale di uno splendido tramonto d'ottobre.
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