Un'esperienza di lettura
Sognavo di crescere, di evolvermi, di prendere nuove posizioni, sempre diverse, che potessero indurmi a desiderare un'esistenza vagheggiata dal mio animo. Fu allora che entrai a far parte del lontano e apparentemente felice mondo delle quattro "
Piccole Donne" dell'omonimo romanzo di Louisa M. Alcott.
Tra quelle pagine sentivo anche la mia presenza, e i miei tintinnanti e gioiosi pensieri davano vita ad un'immagine sempre incostante del mio vivere in modo "normale", teso ad un incisivo approccio con quella realtà fondata su eventi devastanti e sconvolgenti come quelli della Guerra Civile Americana, sfondo storico di tutto il romanzo.
Sognavo una metamorfosi rigenerante, e le quattro piccole donne erano per me un riflesso di un ciclico cambiamento; a volte ero la raffinata Amy, dedita all'arte e alla bellezza, ma in seguito mi trasformavo nella ribelle Jo, convinta di poter lottare per plasmare il mondo secondo i miei desideri di bimba ancora entusiasta e dispensatrice di frastuoni gioiosi di allegria.
Alternavo, poi, momenti di pacifica tranquillità rivivendo nella delicata Beth, ma rifiutavo di trovare me stessa in Meg, la sorella maggiore, appesantita dal suo ruolo quasi materno e rassicurante di donna che aveva una conoscenza più realistica del mondo, e forse ora credo di capire il perché: io ero Meg nella vita reale, e in quel romanzo cercavo i miei sogni, non il riflesso della realtà.
Un libro è una porta sul mondo nascosto e segregato del nostro animo segreto che si insinua tra le speranze fragili e gli impalpabili sogni, ed io non volevo materialità nel mio universo stellato.
Sentivo il sapore delle pagine, e il fruscio delle mi trasportava in un mondo di antichità ed eleganza formale, dove i pomeriggi colorati di ocra creavano strane forme composte ed ordinate, perfettamente in armonia con la resa pittorica dell'attimo. I colori e le luci trapassavano le pagine, io socchiudevo gli occhi e adagiavo l'animo nel conforto delle parole della signora March, sempre disposta al perdono e alla tolleranza, figura fondamentale nella crescita delle quattro piccole donne, ma anche della mia: mi nascondevo in quelle pagine, respiravo la loro stessa aria, assumevo il loro stesso atteggiamento e piangevo per gli stessi dolori: ero piccola, riuscivo a malapena ad affacciarmi al mondo della letteratura, ma riconoscevo i sentimenti di pietà e i valori di un'esistenza sofferta ma accettata con pieno entusiasmo.
E così, passeggiando nei viali assolati e affollati della loro piccola città, riflettevo sul mio piccolo mondo ingenuo: non sapevo cosa fosse la guerra, e ignoravo il significato di un'esistenza completamente povera, ma ammiravo il coraggio, l'ansia di essere qualcuno per fare del bene, il bisogno di condividere la propria singola esistenza con altri. E ho sofferto per il mio egoismo. È nato, così, un rapporto di intensa osmosi tra me e il libro: avevo riposto le mie speranze e i miei timori tra i caratteri stampati su quei fogli bianchi e trasparenti come veli, e lì riposava il mio cuore. Che gioie, ogni giorno, riscoprire la vita attraverso l'amarezza, e che serenità si effondeva in me al pensiero che noi, con la nostra fantasia e il nostro spirito, modelliamo a nostro piacimento anche la più insignificante banalità: basta volerlo fare, è sufficiente alimentare la propria curiosità attraverso dolcissime stille di nettare derivanti dalla fonte che è in noi.
Le piccole donne diventarono "piccole sorelle", io non ero più sola, ma, anzi, facevo riferimento al loro stile di vita.
Non fu un'emozione fugace e facilmente decodificabile, ma, piuttosto, qualcosa che trovò posto tra i miei sensi e che tuttora dimora nascosto e solare nei brevi attimi vissuti ma, soprattutto, "respirati": era una vita da assaggiare, gustare e desiderare continuamente, mai sazia di tale splendore e iridescenza.
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