Le affinitą, il viaggio, la memoria
L'armonia triadica tra il cuore, la mente e il corpo è la perfezione umana. Lo scopo della vita è il tendere a tale raggiungimento
La solitudine della parte più intima e segreta del mio essere era continuamente travagliata dal ricordo di quell'Immagine, che mai si sarebbe cancellata dal momento che essa rappresentava il futuro tanto lontano, quanto prossimo. Il mio pensiero abbracciava orizzonti infiniti e la mia anima vagava nell'immensità dello spazio, che in quel mondo non aveva tempo; perché ogni infinitesimo tassello della cornice che lo racchiudeva era la giusta volontà messa in atto, che nell'eternità, ciclicamente, si sarebbe poi ripetuta ricreandosi perfettamente identica (se il limitato essere avesse rispettato tutto ciò!). Ma il viaggio esternamente intrapreso dalla mia volontà e dalla mia ragione scacciato era idilliaco nella sua faccia utopica e dilaniante nel suo manifestarsi reale. Esso si dirigeva verso quell'unica direzione, la sola direzione dettata dal cuore da quasi tre anni, la strada che un tempo aveva accecato la solitudine, sconfitto l'insicurezza e torturato la quotidiana monotonia. Tutto si manifestava spaventosamente nuovo e sconosciuto, qualsiasi cosa assumeva "un non so che di speciale", anche ciò che era abitualmente conosciuto e perciò rassicurante. Cosa poteva momentaneamente estraniarmi dall'alternanza del mio più profondo Amore e del mio più lacerante dolore? Cos'era mai in grado di strapparmi via da quelle memorie, ancora attuantesi e realizzantesi? La risposta giunse improvvisa come quel casuale incontro: l'essere umano. La razionalità più radicata, fu quella la mia temporanea soluzione. Questa pace discontinua, concessami dalla Natura occasionalmente, era solo un altro piccolissimo, ma essenziale dono dopo il Miracolo. L'aveva creato per me, penso (e lo credo davvero!) solo per me. E a tale proposito sono quindi costretta ad essere certa dell'onniscienza di un Essere, perché in tutta la sua eccezionalità, una sola Sua caratteristica rientra nella regola: l'essere qui. È impresa ardua, anzi disumana poter spiegare "cos'è" quel Dono, un Dono celeste, Che era capace d'innescare in me un continuo moto, che spaziava incessantemente tra la positività e la negatività delle infinite sensazioni. Come posso esprimere ciò che risiedeva in me? Impossibile! Come descrivere il deserto con solo uno dei suo infiniti granelli, che pur nella sua essenzialità, non può ritrarre l'immensa e indubbia profondità di una distesa sabbiosa. Sarebbe come insegnare ad un bambino la coincidenza dell'abisso più profondo con la vetta più elevata (quale bugia più grossa!). Che cosa aveva fatto della mia vita quel Vivo Ricordo? Una scacchiera: ogni bianco perfetto quadrato mi mostrava la luce, che subito dopo veniva intrappolata, vinta e devastata. Più luminosa e raggiante quest'ultima era, più spaventosa, buia e angosciosa si esprimeva la nera nebbia. E gli anni scorrevano via. Il mio viaggio continuava perpetuo, tutto mi era assolutamente indifferente, anche le affinità più ovvie, ma io ricercavo, in un'attesa paziente ed incessante, Qualcosa già regalatomi. Orizzonti infiniti si disegnavano davanti a me, reali e surreali o forse solo ideali. Su strade incerte avrei dovuto camminare, migliorando il mio essere, ma postuma all'abbandono, mi muovevo incerta, raccogliendo offuscati e periodicamente piacevoli segnali. Più questi si manifestavano consumati dall'esperienza, dal tempo, dalle vicissitudini, più c'era da imparare, nascosta io da occhi comuni. Vivevo quindi tutta tesa al raggiungimento della perfezione, che, avvicinandosi sempre più, mi mostrava come, invece, solo in parte ero. Nessuno mi ha mai conosciuta davvero, forse neanch'io conosco me stessa, l'unica certezza è il mio fine: concretizzare e plasmare (insieme) il concetto. Aspettavo paziente implorando il Cielo che mi ascoltasse, e intanto coglievo il colore della roccia ridente e il luccichio di una perla angosciata, che la vita periodicamente mi proponeva, ritratti nell'opera. Venivo responsabilizzata: dovevo interpretarla per saper cogliere poi la giusta visione della realtà espressa. Riservavo comunque a me medesima l'ultimo giudizio. Ma come il viscoso miele, che in un barattolo capovolto abbraccia le intere pareti, non dimenticando neanche il più minimo spazio e a queste si appiccica insistente, così io, immersa in quel ricordo che mi obbligava giornalmente a continuare il mio viaggio, non mi accorsi di una forte, improvvisa, violenta e travolgente esplosione. Meravigliosamente la bolla di sapone scoppiò d'incanto e tra quelle braccia trovai il significato dell'esistenza(che solo in parte avevo conosciuto), l'affinità eterna, la completezza dell'unica opera d'arte originaria.
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