Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

Un'esperienza di lettura

Parlare di Pushkin non è cosa semplice: lui, il grande genio della letteratura russa, che nei personaggi delle sue opere ha sempre voluto mettere un po' di sé, della sua società, della vita a corte così come degli odori che si respiravano nelle campagne attorno a Mosca e Pietroburgo...
È quello che ha fatto anche nell' "Eugenio Onieghin": dalla crescita spirituale di Tatiana, che da fanciulla ardente e sognatrice diverrà savia, serena, e ferma in mezzo alla vanità e menzogna convenzionale del mondo che gravita attorno alla corte imperiale, alla figura del povero Lenskij, il giovane idealista che sperava di cambiare il mondo nel suo ingenuo fantasticare, fino ad Eugenio stesso, con il quale Pushkin sembra quasi essersi voluto rappresentare. Lui, tutt'altro che sognatore o cantore del dolore universale; lui, tutt'altro che un riformatore del mondo, ha una congiunta visione serena delle cose, di tutto dà un sano, pacato giudizio dettato dalla ragione, attraverso cui è anche in grado di discernere il vero dal falso, il reale dall'illusorio, come l'autore stesso aveva probabilmente imparato a fare grazie allo studio di opere illuministe, prime fra tutte quelle di Voltaire.
In Eugenio non c'è nulla di titanico, tutto è ridotto alla media statura umana; egli non ha alcuna virtù creativa, è egoista, indifferente al bene come al male, in preda al demone dell'accidia, ed è cosciente di questo. Non è il classico eroe pieno di pregi, ma un essere con molti difetti, così vicino a noi che non possiamo fare a meno di rispettarlo, se proprio non riusciamo ad amarlo.
Ma entrare a far parte della storia non significa solo immedesimarsi nei personaggi: significa anche lasciarsi andare, sprofondare nella neve che imbianca quei passaggi fiabeschi ma così realistici al tempo stesso, respirare i profumi dei boschi e delle campagne, delle strade affollate del centro di Mosca e dei saloni da ballo della nobiltà pietroburghese. È difficile restare indifferenti al frenetico susseguirsi delle vicende: ci si sente protagonisti, magari incipriati e profumati, seduti in uno dei salotti alla moda di un ricco palazzo al cospetto dello czar... È difficile non comprendere la debolezza di Olga davanti ai corteggiamenti di giovani ussari in divisa, o non condividere l'apprensione e l'agitazione della signora Larin di fronte al dilemma della scelta del vestito che sua figlia dovrà indossare la sera del ballo... Così come non si può non comprendere l'invaghimento di Tatiana, circondata dai fasti e dai pettegolezzi della società aristocratica, per il carismatico Eugenio, rappresentante si di quella gioventù per bene, sempre annoiata e insoddisfatta della vita quale era quella russa del pieno ottocento, ma così diverso al tempo stesso da tutti gli altri: senza sogni di gloria, senza pretese di cambiare le cose, orgoglioso ma anche uno che non ha perso di vista i valori dell'amicizia - e in questo momento lo vedo ancora incredulo, in ginocchio al fianco di Lenskij, dopo il duello che lo ha privato dell'amico di sempre - e della famiglia - sapere che la sua indole non gli potrà mai permettere di essere un bravo marito e un padre affettuoso, lo induce a non ingannare Tatiana ma a rifiutare suo malgrado il suo amore senza illuderla.
È su questi valori, sulle debolezze che lo caratterizzano, che Eugenio costruisce la propria forza. E la trasmette: a chi queste debolezze è cosciente di averle, come a chi ha la presunzione di esserne immune. È attraverso questa affinità, in mezzo ad alcune apparizioni fiabesche, ai cavalli e alle slitte, agli abiti di lusso e agli scintillii di corte, che ci si perde in quel mondo incantevole che era la Russia degli czar, dove anche amore e disperazione, frivolezza e senso del dovere riescono a convivere trovando il posto che meritano.
E si scopre che sotto la patina di un racconto mondano viene invece a delinearsi in tratti austeri il vero senso della vita.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010