Lettera al giovane Holden
Caro Holden,
devo confessarti una cosa: ti ho detto una bugia.
Temevo che tu mi rifiutassi, così ti ho detto che sei stato l'unico di cui mi sono innamorata.
Invece, dopo essermi innamorata di te a 14 anni appena compiuti, si sono aggiunti anche Alex (di "Jack Frusciante..."), Dean Moriarty (di "On the road"), Guido (di "Due di Due") e Uto (di "Uto"). Però tu sei unico e speciale, forse perché sei stato il primo. Forse chissà perché. E forse per questo tuo essere "speciale" il nostro incontro è stato bellissimo.
Viaggiavo su quel treno, rannicchiata sul sedile dall'aria non immacolata, auricolari e libro, voltata verso il finestrino, ben armata per difendermi dall'esterno, in un vano tentativo di cancellarmi e sparire. Ma sbirciando da sopra il libro, ho incontrato un paio d'occhi e lo sguardo prolungato che ci siamo scambiati ha fatto perdere ogni attrattiva al mio piccolo mondo privato. Ho spento la musica che continuava imperterrita nel suo ritmo, ormai solo fastidioso. Ho chiuso il libro, ormai solo parole vuote e inchiostro e carta.
E ti ho sorriso.
Ero sicuramente bella come sarei se fossi in un libro, altrimenti non mi avresti sorriso a tua volta, né mi avresti detto Ciao!. Sapevo di conoscerti benissimo ma finché non hai detto il tuo nome, tendendomi una mano, non avevo ancora capito.
Probabilmente sul treno eravamo gli unici passeggeri, altrimenti quando, con stridio di freni, si è fermato a Central Park, gli altri avrebbero protestato. Un percorso un po' strano per le ferrovie lombarde...
Mi hai preso per mano e siamo scesi e devo aver certamente dimenticato la valigia nel vagone (distratta come sono!), ma non riesco a ricordare dove stessi andando, né perché.
Mi hai portato al laghetto, ghiacciato, circondato di alberi ingioiellati di bianchi cristalli. Era notte, rischiarata da una sottilissima falce di luna. E sebbene fosse tutto coperto da una soffice coltre di neve, non faceva per nulla freddo. Avevo un vestito senza maniche, leggero, color della notte e i piedi scalzi. Abbiamo camminato sulla superficie gelata ed è stato allora che li ho visti. Centinaia di pesci piccoli, congelati, stretti nella morsa del ghiaccio. Era uno strano spettacolo, non so se comico o dannatamente tragico. Comunque mi sono messa a piangere, o meglio: grosse lacrime mi rotolavano sulle guance e mi gocciolavano addosso. Perché improvvisamente mi era venuta una malinconia terribile e mi sentivo proprio un pesce, intrappolato senza possibilità di muoversi. Volevo liberarli ma il ghiaccio sembrava cristallo infrangibile e, tastandolo, non lo sentivo nemmeno freddo (altrimenti dubito che avrei resistito a lungo vestita in quel modo...); ti ho chiesto - Holden, aiutami - e sono certa che l'avresti fatto, se mi avessi sentito. Invece eri tornato sulla sponda e ti guardavi intorno. Cosa cercavi, Holden? Ho lasciato i pesci e ti ho raggiunto, per paura che te ne andassi senza di me e, appena sono arrivata, hai fermato un taxi. Lo guidava un afroamericano, con i dreds lunghissimi, che ballava guidando. E faceva ballare anche l'auto.
Questo mi ha tolto di dosso ogni residuo di malinconia e abbiamo cominciato a ridere.
Guardavamo la gente fuori, che camminava per la strada frettolosa, ansiosa, preoccupata, arrabbiata, stressata; sembravano così ridicoli e stupidi, che non potevamo fare a meno di scoppiare a ridere. Il tassista aveva una risata contagiosa e grassa e quella macchina era piena di oggettini e cose inutili o dimenticate o messe lì per qualche strano motivo.
A raccontarla adesso sembra l'epopea di una psicolabile, però non c'era niente di più naturale del ridere nella macchina ed essere allegri o dell'essere terribilmente tristi al laghetto. Non posso spiegare il motivo, perché non è detto che esista. Era così e basta, o no?
(Holden mi manchi tantissimo, vienimi a salvare dal grigio della vita di tutti i giorni...)
Il tassista ci ha scaricato davanti a Ernie. Quando è ripartito, ogni voglia di ridere a crepapelle è scomparsa. Probabilmente era lui che attaccava l'ilarità ad ogni cosa. Proprio non ce lo vedo depresso e incazzato; forse, anche quando piange, continua a ridere dal profondo. Chissà.
Comunque, vedi che la sera tardi non capitano solo taxi schifosi? Oppure è l'eccezione che conferma la regola, non so, non prendo mai il taxi perché costa troppo e di solito mi danno un senso di vuoto.
Siamo entrati da Ernie tenendoci per mano (non immagini quanto è bello sentirsi la metà di una coppia, è strano a dirsi, ma ci si sente... interi!) e il buttafuori ci ha squadrato con occhio severo; probabilmente non rispondevamo ai suoi canoni di clienti ideali: avevamo un po' l'aria di due pazzi un po' felici.
Poi però ci ha fatto entrare, avrà riconosciuto che sei fratello di D.B. Dentro c'era un sacco di gente, tutta pigiata ed elegante, tutti che fingevano di essere qualcun altro.
Ci siamo seduti in un angolo e vedevamo il "grande" Ernie suonare nel buco fra due teste di clienti, ma chisseneimporta. Abbiamo ordinato da bere da una cameriera scortese e in quel buio caldo e denso di voci, odori e suoni mi sentivo a mio agio, come sotto una coperta. Parlavamo urlando per sentirci anche se eravamo vicini e abbiamo chiacchierato un po' vagamente. Non si può fare una vera conversazione quando devi urlare - Come? - ad ogni frase, e tu lo sai.
Quando siamo usciti eravamo un po' brilli e stufi di quel pallone gonfiato di Ernie e di tutta quella gente entusiasta.
E forse questo è stato il momento più bello in assoluto perché ci siamo seduti per terra, appoggiati contro un muro, vicini vicini, tenendoci per mano. E abbiamo iniziato a parlare di quello che sentivamo veramente e tu eri proprio Holden e io ero proprio io. Mi hai commosso raccontandomi di Allie o di quando hai spaccato tutti i vetri del garage e mi hai fatto toccare la cicatrice. Poi mi hai parlato della tua famiglia, tutte quelle cose che non avevi ancora mai detto, e di tutte le scuole in cui sei stato. Io ti ho raccontato invece dei miei e di dove vivo e del mio liceo e dell'occupazione che abbiamo fatto. (Quest'ultima cosa ti ha incuriosito parecchio, riusciresti a immaginare Pencey occupata?).
Poi siamo passati a parlare di noi stessi, come ci sentiamo di fronte al resto e come gli altri ci percepiscono e tante cose che non avrei mai pensato di rivelare a nessuno, né di saper esprimere. E se qualcuno avesse sentito i nostri discorsi, non avrebbe mai pensato che ci fa schifo tutto e non ci piace niente, o magari sì, perché tanto agli occhi degli altri c'è sempre qualcosa di irrimediabilmente sbagliato.
Non so se tu ti fossi mai aperto così a qualcun altro (forse a Jane, non riesco a non essere gelosa di lei!) ma penso di no, perché in fondo le persone più esibizioniste e egocentriche, nascondono dentro un sacco di problemi e bisogno d'affetto: ma si fa fatica a scoprire questo loro lato nascosto. Io (che però non sono esibizionista, ma quasi il contrario) certe cose non le riesco a chiarire nemmeno con me stessa e invece nel parlare con te riuscivo a tirar fuori quanto c'è di nascosto in me e ci capivamo alla perfezione. Mi sembrava che tu mi conoscessi meglio di me stessa, ma forse era solo un'impressione.
Siamo stati lì, ogni tanto ci fermavamo un po', in silenzio, non imbarazzato, ma come in quei momenti in cui delle parole non c'è nemmeno bisogno e intanto è arrivata l'alba che ha colorato di rosa pallido il cielo. Ci siamo incamminati per una strada lunga e entrambi conoscevamo la sua destinazione: dove vanno le anatre quando il lago ghiaccia. Però non ci siamo arrivati, perché (come sempre nei momenti importanti) il tempo era terminato.
Mi hai dato un bacio e mi hai regalato il guantone di Allie. Poi, mentre ci lasciavamo, mi hai fatto quella domanda e io ti ho mentito. Scusami, Holden. Però non potevo dire no, perché tu sei diverso da tutti gli altri e speciale.
Chissà se stai ancora camminando su quella strada, quasi quasi ti ci vedo e vorrei raggiungerti, però ho capito adesso: quella è la tua strada, mentre io ne devo trovare un'altra tutta mia.
Ti voglio bene Holden, mi manchi! Chissà se racconterò a qualcun altro quello che ho confessato solo a te...
Forse.
Con amore.
Sylvia.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni