La panchina
Già da qualche minuto l'anziano signore aveva preso posto sul lato sinistro della panchina. I fili d'erba si piegavano al passaggio del vento, mentre un giovane sole cercava di riscaldare la pungente aria di marzo. Pochi metri più in là giungeva la vecchina, lentamente, sostenendosi col bastone. Si trattava di un immancabile rito, nato dalla quotidianità e consacrato dall'abitudine.
La signora arrivò finalmente a destinazione e, sospirando, dopo aver abbozzato all'uomo un mezzo sorriso, si sedette al lato opposto della panchina. Come sempre. Appoggiò il bastone e sfilò dalla testa la tracolla della borsa, mostrando un vistoso ciondolo rettangolare. Mise le mani conserte sul grembo e sospirò ancora.
I due anziani rimasero lì, in silenzio, a guardare i passanti. Non una volta si erano rivolti la parola, eppure nessuno dei due sarebbe mai mancato all'appuntamento. Erano complici, consapevoli che in quel momento i ricordi di entrambi si riversavano sul mondo circostante e la realtà si mescolava alla memoria. Poi, ognuno tornò per la sua strada. Come sempre. L'indomani l'uomo si presentò puntuale alla panchina. Ma la signora non venne. Così il giorno seguente e quello successivo. La signora non venne.
"Tutto stanca", pensò il vecchio e se ne andò. Eppure nessuno dei due sarebbe mai mancato all'appuntamento. Sotto la panchina il vento sollevava le pagine di un vecchio giornale piegato in quattro. Spiccavano, sulla carta stropicciata, grossi titoli coperti in parte dagli altri fogli:
FINE DI UN MIT
SCOMPARSA LA
C'era anche una foto, ma il vento non soffiava abbastanza per scoprirla completamente e se ne scorgeva soltanto un pezzettino. Soltanto un ciondolo rettangolare.
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