Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

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Se non avessimo spazio e tempo con il loro infinito intrecciarsi che cosa sarebbe di noi?

 "...Only three words... Will you for me?"
La segreteria sembra un disco rotto, il messaggio si è interrotto qui. La stanza è buia e silenziosa, quasi sera: devo aver dormito molto, il viaggio mi ha stancato e poi non avevo nulla di meglio da fare. È strano come si cerchino delle scuse alle proprie debolezze. Avrei anche continuato il mio sonno, ma mia moglie è rientrata dal lavoro, d'improvviso: ha abbandonato la borsa sulla poltrona del soggiorno, ha richiuso la porta con una spinta, poi ha appeso cappotto e sciarpa, una lana morbida e scura e ha levato le scarpe. Poi è entrata in bagno e ha aperto il rubinetto perché la vasca si riempisse d'acqua calda. È stato lo scroscio dell'acqua a svegliarmi - Com'è andato il viaggio? - ho domandato in tono neutro. Sono anni che non mi chiama più "tesoro". Tempo fa, qualche volta, lo faceva. Ho mugugnato qualcosa e mi sono alzato.
Nonostante non abbia fame preparerò qualcosa per cena: insalata, due uova, si contenterà.
Non so fare altro.
- Stasera ho un impegno di lavoro per cena, ho appena il tempo di cambiarmi - mi dice attraverso la porta chiusa del bagno. Farò tardi - aggiunge.
Bene: fine dei preparativi. Niente cena. Tanto più che non avevo fame: posso farne a meno.
Ride: io so... entrambi sappiamo: io di lei, lei di me. È stata una buona moglie, per lo meno quanto io sono stato un buon marito: non ho nulla da rimproverarle. No, una cosa soltanto: non sa fare il caffè. Ecco, ora rido anch'io.
Mia moglie è uscita, e tutto è di nuovo silenzio. Puckie mi guarda interrogativamente con il guinzaglio in bocca: Puckie è il nostro cane.
Mio e di mia moglie? No, mio e suo. Viene da Londra, come lei, bianco, peloso, docile, una bestia che non abbaia mai, nemmeno ai gatti. Me l'ha affidato, è un pegno fra di noi, non un dono. Un giorno o l'altro, appena saprò fare a meno di lei, glielo restituirò.
- Su Puckie, andiamo - dico al cane che mi trotterella al fianco, famigliarmente, lasciandosi placidamente mettere il guinzaglio. Ha occhi vacui, sta cercando di dirmi che non resisterà ancora a lungo. L'aria è fredda. Tutto sa di neve.
Istintivamente ho alzato il bavero della giacca. Puckie si rotola insensibilmente per terra, prima che possa fermarlo.
- No, Puckie, un'altra volta! - Ora dovrò lavarlo.
Si è alzato subito e ha ripreso la sua aria di fedele cane dallo sguardo sciocco.
Sento nuovamente la segreteria. Ha chiamato Paolo, vuole i primi capitoli del libro, poi mi darà l'anticipo: lei non l'ha ancora fatto, solo quel laconico messaggio.
Sarà con suo marito. Ora i loro rapporti sono come i nostri, forse un po' formali: sono buoni amici, ogni tanto escono insieme. Mi ha detto che è un bell'uomo.
Chissà cos'avrà deciso per noi?
So già che aspetterò la sua telefonata tutta la notte.
"Only three words... Ti chiamo quando arrivo - l'ha detto in italiano non posso aver capito male - Will you wait for me?"
Ha una bella risata dolce, sommessa, nemmeno ubriaca ha alcunché di sguaiato... vacuo... Ecco si! Gli stessi occhi di Puckie, che guardano il mondo con un disinteresse docile e pacato, ma vivo, terribilmente vivo, ha due occhi che fanno paura.
Ci stavo pensando proprio poco fa mentre ascoltavo i messaggi.
"Will you for me?" certo, ma quanto?
Nemmeno quando ero adolescente e spasimavo per Angela, la ragazza più carina del liceo, che di angelo aveva il nome e le fattezze, mi comportavo a questo modo.
Lei non è nemmeno bella, non fraintendetemi, ha qualcosa che la supera, che la rende preziosa ai miei occhi: lei è mia.
Squilla il telefono.
Deve essere lei, mi alzo lentamente e con sicura noncuranza, che non sappia quanto desidero sentirla. L'ho sempre fatto. Solo le donne intelligenti capiscono: mi lascia giocare perché tanto sa di vincere. Mia moglie non è così: lei adora le dichiarazioni, con me era scostante, quando l'allontanavo, bisbetica, quando discutevamo, eppure non era perché ci tenesse a me: agiva in quel modo per semplice puntiglio, per dimostrarmi quanto fosse ragionevole e civile lei, e zotico ed ignorante io.
Finalmente rispondo al telefono: era mia moglie. Voleva avvisare che si sarebbe fermata fuori questa notte.
Ecco, fra noi è caduto anche l'ultimo pudore, l'ultimo sottilissimo velo. Del resto ha sempre saputo che non sono d'accordo con i falsi moralismi. Ci è comodo vivere insieme: nessuno di noi due ha diritto di lamentarsi, noi non abbiamo costruito nulla, dunque non abbiamo distrutto nulla.
Puckie si è trascinato fino al divano con la ciotola fra le zanne. Be... forse è un po' esagerato definire "zanne" i canini di Puckie. Deve avere fame. Vado in cucina.
Toh: il frigorifero è vuoto. Forse più tardi uscirò. Ci devo pensare seriamente.
Cerco delle scatolette, ma non ne trovo. Finisco con il dargli del riso scotto e dei bocconcini di arrosto. Se ha fame gradirà ugualmente: non è mai stato un cane dai gusti difficili.
Puckie dorme tranquillo, l'aria si è rasserenata e non fa più freddo.
Ho fatto bene ad uscire. Che pensi lei dove sono e cosa faccio, io ho esaurito le idee e la pazienza. Avrei voglia di bere, ma è tutto chiuso.
Che cos'altro si può aspettare da uno squallido martedì sera? Ben inteso, non questo in particolare, o perché i martedì sera siano squallidi.
Fumerei una sigaretta, un gesto fanciullescamente rassicurante, se non avessi smesso ormai da un po'.
È l'unico desiderio di mia moglie che abbia mai esaudito nel tempo in cui, ancora, provavo piacere nel compiacerla.
Può apparire strano, come dicono i nostri figli, ma quella fase l'abbiamo attraversata anche noi: è una rotta obbligatoria, fortunatamente non tutte le coppie naufragano nella nostra isola. Pensavo che avrei potuto anche darle il numero del cellulare, che porto sempre con me, ma se non l'ho fatto... No nessun motivo inconscio, sarei bugiardo e non è nella mia natura: semplicemente, anche se aspetto che chiami, non volevo che mi trovasse.
Volevo avere la certezza di poterla avere in ogni istante, ogni qualvolta l'avessi desiderata, ma ambivo ad essere per lei null'altro che una figura evanescente, un qualcosa che svincolasse la mia oberata coscienza da ulteriori responsabilità, che fosse lei per me, docile come Puckie, e non io per lei.
Non so...non so più.
Io scrivo, amici miei, io scrivo: è la mia natura. Il mio destino. È tutto ciò che so fare.
Scrivo perché altrimenti le parole mi morirebbero dentro, lacerandomi la carne, e odierei le attese più di quanto non faccia ora. Odierei le attese ed odierei lei perché non è con me. Forse è meglio che ricominci a fumare.
Fa più chic, l'aria da cinico distratto.
L'appartamento è sempre più silenzioso, il telefono ha squillato poco fa, pochi secondi prima che aprissi la porta, io non mi sono affrettato.
"Will you wait for me?"
Alla sua voce non si riesce a resistere, ma io sinceramente non lo so più.
Ho bisogno di pensare.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010