Storia di cento giorni
Lui era un vecchio spazzino ringiovanito dai continui colpi della sua ramazza curiosa, consunta anch'essa, ma sempre al lavoro. Avanzava nel freddo mezzogiorno di metà ottobre, guardando torvo il sole e poi la strada, cercando il momento in cui questa avesse iniziato a brillare più di un diamante o di un vetro o di un prisma e poi puntare a terra e quindi ardente con la sua scopa scavare tra quei ciottoli opachi e granuli frantumati dello sterrato; e ancora si fermava, rideva e beveva un concentrato succo di limone senza piangere.
L'altro era un bambino dalle guance lisce, si incollava sotto gli acanti del parco tra fiori porporini e minuscole foglioline dotte infilzate dalle lunghe lance dell'albero, i suoi occhi si impolveravano tra vecchi libri presi in biblioteca e lenti sporche frangibili, non piangeva, ma sudava parecchio all'ombra di quella affannosa porpora, mentre api sopra la sua testa ne attingevano il succo dolciastro.
Il Vecchio lavorava da un solo mese nel quartiere del grande parco all'angolo con la biblioteca e gli piaceva molto il paesaggio sfumato che a malapena si poteva immaginare dietro i tetti delle case.
Il Bambino passava tutto il giorno nel parco, ma non ne conosceva i colori, la sua sapienza si mescolava tra copertine smorte e fragranti sapori di nera stampa - che lui non gustava.
Il trentaduesimo giorno di lavoro il Vecchio, ballando nella pioggia, arrivò a rifugiarsi sotto ad una tettoia e da lì scorse metà di un grosso ombrello grigio, una scarpina opaca, un libro dal colore smorto.
La siepe gli impediva di vedere altro e lui a passo di danza raggiunse l'acanto tenebroso ed il Bambino che gli disse "io non parlo con gli sconosciuti".
Il trentatreesimo giorno il Vecchio, asciutto, spazzava la fanghiglia e le foglie mute uccise dal vento e dalla pioggia, il Bambino leggeva un libro.
Il trentaquattresimo giorno il Vecchio continuò il suo giro, a mezzogiorno passò davanti al parco con la barba fermentante di limone e guardò la scoliosi saputa del Bambino. Così fece per una settimana, sempre alla stessa ora, sempre lo stesso percorso, ma il quarantaduesimo giorno il Bambino non c'era. Il ramo più basso dell'acanto infilzava curvo i fiori; e il Vecchio pianse, bevendo succo di limone - allora il sole brillava più forte.
Il cinquantesimo giorno il Bambino ricomparve ed il Vecchio gli sedette accanto "Gradisci bere?". "No, i limoni sono aspri". "L'importante è saperli sorbire".
Il Bambino leggeva un libro e il titolo aveva un colore smorto che il Vecchio non poteva leggere, essendo analfabeta.
Il Bambino leggeva un libro e il titolo era Uno, nessuno e centomila. Ogni verità ha solo un valore momentaneo e individuale e ogni pretesa di certezza viene smascherata nella sua falsità...
Il cinquantunesimo giorno il Vecchio non andò al grande parco: c'era festa in paese.
Il cinquantaduesimo giorno la strada era un mucchio di carte e sassi e pozze di olio bollito e un insieme di odori nell'aria spezzati dal gelo dell'inverno, il Vecchio lavorava assorto, il Bambino leggeva un libro con un berretto di lana nero. Poi il vecchio si fermò sopra ad un fosso e si guardò riflesso nell'acqua torbida finché una sparuta anguilla guizzò in superficie e lui vide il suo volto morire e rinascere e rise impetuosamente, bevendo succo di limone senza piangere.
Il cinquantatreesimo giorno il Vecchio portò un bicchiere al parco, lo riempì di limonata, lo mostrò al Bambino: "No, i limoni sono aspri". Il Bambino guardava la sua ombra opaca respirare nel succo mentre il vecchio liberò un fiore porporino dall'albero e lo lasciò planare nel bicchiere, l'ombra sparì, "Ogni pretesa... smascherata...". "Solo che il fiore è morto, l'anguilla no...".
Il cinquantaquattresimo giorno passò un gregge ed i pastori salutavano il Vecchio, poi, vedendo il Bambino con il suo golfino smorto, ridevano e bevevano latte di capra. Le pecore sporcavano la strada, ma il vecchio era felice perché vedeva i suoi amici e perché lo sterco faceva nascere fiori anche d'inverno. "Insozzatori!" commentava il Bambino. "Anche io ti disturbo mentre leggi, ma tu non ti senti infastidito...".
Il cinquantacinquesimo giorno il Vecchio pulì la strada e poi tornò dal Bambino. "Mi insegneresti a leggere?" e il Bambino rise.
Il cinquantaseiesimo giorno il Bambino aveva un grosso livido sullo zigomo smorto e un paio di lenti nuove, il Vecchio era rimasto senza la paga di una settimana, ma avrebbe imparato a leggere.
Il cinquantasettesimo giorno cadde la Prima Neve ed il Vecchio si addormentò sotto ad un abete, dopo mezz'ora il Bambino lo raggiunse. "Domani spazzeremo la Prima Neve e mangeremo castagne e praline".
Il cinquantottesimo giorno il Bambino imparava a spazzare la Prima Neve, mentre il Vecchio leggeva le favole di Rodari.
Il cinquantanovesimo giorno il Bambino leggeva le sue prime favole di Rodari, mentre il Vecchio spazzava il viale con un caldo berretto di lana nero.
Il sessantesimo giorno il Vecchio compiva gli anni e i due giocarono a palle di neve, mangiarono frittelle di frutta con le posate, guardarono un pezzetto di cielo e lessero un libro di Calvino. Alla sera il Bambino aveva freddo ed il Vecchio gli prestò il suo giaccone giallo-azzurro.
Il sessantunesimo giorno il Vecchio parlò: "Ho letto un poema di... Caproni, mi sembra". "Beh si! Caproni, uno dei massimi poeti del dopo-Montale: 1a raccolta 1932 - "Come un'allegoria", ultima "Res Amissa" più versi inediti ed incompiuti. Temi principali delle sue poesie la madre, Genova, il viaggio...". "... Mi aveva colpito l'ultimo verso di "Alba": è assente il sale del mondo, il sole". "Sicuramente una consonanza di grande effetto". "Io penso che forse il sole è davvero un po' sale..." qui si interruppe, guardò il Bambino. "A furia di leggere ti si sono appannate le lenti" gli tolse gli occhiali e li pulì, e così fece tutti i giorni tre volte al giorno e nel settantesimo giorno il Bambino gli regalò un libricino di racconti. "Chi è l'autore?". "Non saprei, ma le sue storie sono davvero belle".
In quell'ultima settimana il Bambino aveva lasciato spesso il proprio albero con i suoi fiori, preferendo i praticelli assolati in cui si sdraiava, gli occhi a diretto contatto con il cielo, annusando i raggi freddi di fine novembre. La sua tessera bibliotecaria era scaduta, la schiena aderente al suolo piano, cantava motti popolari e vestiva di rosso, vermiglio, pampano. Il Vecchio iniziava a vederci meno ed a mezzogiorno si sdraiava tra i croccanti petali rossicci che ormai coprivano il parco, e si piegava a bere succo dì limone fieramente zuccherato, avvolto in un grigio scialle di lana.
Il novantesimo giorno il Vecchio ed il Bambino giocarono a calcio, ma la palla rimase incastrata tra i rami nudi dell'acanto.
Il novantunesimo giorno il Vecchio aspettò il Bambino, leggendo romanzi d'amore, ma rimase solo e così anche il novantaduesimo giorno. Quindi riprese a spazzare il viale ed il novantasettesimo giorno vide luccicare la strada con lo stesso bagliore del sole di luglio e rise mentre mesceva la sua bevanda, lasciò cadere a terra la ramazza.
La notte del novantanovesimo giorno il Bambino si avviò alla veglia natalizia.
Pregava per diventare spazzino, contro il volere dei suoi genitori che per questo gli impedivano di andare al parco dal suo Amico; e lui continuava a leggere sempre più curvo, come un ramo d'acanto che infilzava i fiori porporini.
La notte di Natale, però, poté andare in chiesa e all'alba del centesimo giorno passò oltre il parco, verso casa.
Per terra c'erano vetri rotti, segni di un incidente, e lì vicino una ramazza ed un cappotto. Nella sua tasca il Bambino trovò un libro, l'ultimo libro letto dal Vecchio: "Il Fu Mattia Pascal".
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