Un'esperienza di lettura
Non ho mai apprezzato gesti che contenessero i concetti di rigidità, definitezza, inevitabilità. Mi hanno sempre spaventata e inquietata. D'altra parte, quest'addio non posso proprio rimandarlo. Provo a convincermi che non sarà doloroso, anzi: voglio bearmi di questo congedo, sapendo che sarà l'ultimo, grande, perfetto gesto che condividerò con lui. Eppure non riesco a mettere a tacere la paura: mi sussurra di non fidarmi, di scappare via, di non rendere quel gesto ufficiale, di chiudere gli occhi e fingere di non vedere, non sapere, e forse non accadrà mai. Non può accadere. Davvero da questo momento lui prenderà le sue decisioni lontano da me, senza che io ne sappia niente? Non sei pronta a sopportarlo, bisbiglia seducente la paura. Non sei pronta a sopportare il fatto che lui viva senza che tu lo sappia.
Non è forse stata proprio la curiosità a far nascere il nostro idillio? Così l'ho conosciuto: sono entrata invadente nella sua vita un giorno, quasi per caso, vagamente attratta da quel poco che mi avevano detto di lui, dal poco che avevo visto. Mi sono ritrovata a sbirciare impaziente dal buco della serratura della sua esistenza, catturata dalla scintilla di irrealtà, di immortalità che sprigionava attorno a sé come un'aura; forse ha irradiato un poco di quell'eternità anche nella mia stanza disordinata, nel mio piccolo mondo distratto. Quel calore mi attrae come il canto di una sirena, lontano da lui tutto sembra tenue e distorto. Quando me ne separo, poco alla volta una sofferenza silenziosa ma tenace inizia ad insinuarsi dentro di me, nella mia pancia, sulle mie spalle, nelle mie orecchie. Sento che lui sta andando avanti senza di me, e mi ritrovo derubata di qualcosa di prezioso che però non conosco. È un tormento questa strana sensazione di impotenza.
Non voglio liberarmi del mio personaggio di carta e inchiostro, della mia idea condivisa, sfaccettata, magari imperfetta. Malgrado non sia stata concepita dal corpo, ma dalla mente; partorita da una penna, incarnata in un oggetto prosaico – eppure al tempo stesso terribilmente sacro – come un libro, è riuscita a risucchiarmi nella sua vita, nel suo mondo parallelo, brulicante di vita; attraverso le pagine si è fatta strada per venire a sussurrare nel mio orecchio parole scritte e pronunciate per me, solo per me.
Non voglio abbandonare la mia sirena, la mia luce, solo per placare la mia sete di compiutezza. Non lo fare, mi tenta una voce insidiosa. Perché perderlo?
Ma lui è lì, più accattivante e attraente delle mie sciocche paure. La sua voce gradualmente cambia, s'incrina, commossa quasi quanto me: ormai ho capito che si appresta a sparire per sempre. Ma come posso rimandare, sapendo che salutarlo per sempre è l'unico modo per dare un senso all'esistenza che ho spiato per tanto tempo? Mi getto sulle pagine, bevo ogni parola come un'assetata, mi estraneo totalmente dalla mia vita per rituffarmi nella sua, che tiene i miei occhi incollati alla carta, che mi fa stringere i fogli come se fossero l'unica cosa che vale la pena stringere. Esulto, e piango, grido, rabbrividisco, ridacchio da sola come una bambina, felice che sia lui ad accogliere le mie speranze e a darmi in cambio delle risposte.
Assaporo sulla lingua il gusto della sua voce più autentica e profonda per un istante appena, prima che all'improvviso si spenga, lasciando un silenzio pieno di significato e di parole, ma insieme così vuoto e sordo. È finito.
La realtà piomba sulle mie spalle senza preavviso, e d'un tratto sento di nuovo le pagine lievemente ruvide sotto i polpastrelli, il profumo sottile dell'inchiostro, i rumori di una vita che non si è mai fermata.
Inutile tornare a sfogliare febbrilmente le pagine trascorse, pregne di parole già pronunciate e già udite, sì, una volta vissuto il libro è così diverso, si sentono gli occhi che l'hanno percorso, il suo suono è meno ampio, più preciso e familiare.
Non m'importa, insisto a tornare sulla strada già battuta, divoro quegli attimi con un'avidità smaniosa sempre più inestinguibile, perché l'ebbrezza di afferrare dettagli che prima avevo perso svanisce, mentre prende piede la consapevolezza che, purtroppo, la finestra si è chiusa.
Quello che potevo godere è passato, è dietro le spalle. Non c'è più nulla da desiderare. L'ingordigia ormai è passata, posso solo indugiare nel ricordo o desiderare il nuovo, l'impossibile. Perché razionalmente lo so, che quell'attimo d'intesa perfetta, di comprensione reciproca e totale non tornerà, che un addio è per sempre. E che ora ricordare e immaginare saranno le uniche cose che mi legheranno a lui. Passato e futuro.
Adesso il presente è mio.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni