Un'esperienza di lettura da "Novecento" di Alessandro Baricco
Chiusi gli occhi... feci un sospiro. Ed ecco, vidi l'immensità riflessa nell'acqua, cullata da un vento leggero. Volarono frammenti d'acqua nell'aria e sfiorarono il mio corpo e mi impregnai di quell'essenza. Accoglievo qualcosa di troppo grande per me. Il solo sfiorare quei frammenti mi faceva comprendere la mia fragilità. Aprii le mani come per intrappolare quelle gocce ma più cercavo di afferrarle più queste si dissolvevano. Mi lasciavano una leggera e momentanea sensazione di freschezza. Scivolavano da me come una musica soave, come trite immagini immerse nella nebbia dove ti riscopri te stesso. Vidi la mia esistenza, vidi il mondo, vidi l'universo intero. Ero un vento affievolito, ero una goccia d'acqua assorbita dalla terra prosciugata e priva di vita. Sentii più forte il rumore dell'acqua, sentii un sussurro echeggiare da quel suono familiare... mi cullavano le onde... mi rimescolavo... musica malinconica di pianoforte... poesia... profumo intenso... poesia... vita... Vidi offuscata l'ombra di una persona riflessa sull'acqua. Era un'immagine nota, che avevo già visto: era Novecento. Era lì, nel suo mondo dominato dalla poesia e dalla musica, un mondo malinconico. Mi guardò con uno sguardo penetrante e profondo come se volesse dirmi qualcosa di importante ma che non riuscivo a comprendere. Cominciò a suonare... mi sembrava di volare, volavo in quel mondo, mi lasciai guidare dalla musica... vidi un campo di fiori con le api che si posavano sopra ogni fiore, anche loro si lasciavano cullare dalla musica. Novecento accennò un sorriso limpido e puro. Era un tutt'uno con ciò che lo circondava, era lui. Sentii un intenso profumo di fiori appena sbocciati... e più nitidamente accompagnato dalla musica, Novecento disse: "Ogni volta finisco in un posto diverso: nel centro di Londra, su un treno in mezzo alla campagna, su una montagna così alta che la neve ti arriva alla pancia, nella chiesa più grande del mondo a contare le colonne e guardare in faccia i crocefissi". Non aveva mai visto il mondo ma lui lo spiava e gli rubava l'anima. Non scese mai dalla nave, per Novecento la terra era una nave troppo grande, un viaggio troppo lungo, una donna troppo bella, un profumo troppo forte, una musica che non sapeva suonare.
Mi feci rapire da quel mondo totalmente diverso dal nostro, così intenso, così infinitamente enorme nella sua limitata dimensione, come i tasti del pianoforte che sono limitati ma dove la musica che puoi creare è infinita. Immaginai allora cosa sarebbe stata la mia vita vissuta lì. Avrei potuto viverci per sempre all'interno di quel mondo che era anche il mio, avrei potuto essere sempre in pace con ciò che era dentro di me, all'interno della mia vita, riuscendo a soffocare il mio apparente essere. Non capivo perché il nostro mondo, invece, fosse così difficile, incomprensibile e infinitamente grande in confronto a noi uomini. Tutto mi sembrava così sproporzionato ma, allo stesso tempo, se avessi vissuto in questo mondo pur così difficile, la mia vita non sarebbe stata limitata ma ricca di sfide, piena di quell'infinito dominato sia dalla gioia che dal dolore. Se facevo questa scelta allora mi arricchivo di quel mistero e diventavo sì complesso ma allo stesso tempo grande. Decisi, con dispiacere, di andarmene, diedi un ultimo sguardo a ciò che mi circondava, alle mie certezze; guardai Novecento negli occhi, anche lui mi guardò, capì che avevo deciso di percorrere un altro cammino, diverso dal suo. Mosse la testa come segno di saluto e poi la riabbassò e riprese a suonare e subito le immagini si offuscarono e la musica delicatamente si interruppe.
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