Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
2ª edizione - (1999)

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di Giulia Brivio
Menzione d'onore

Caro ragazzo dall'altra parte del mondo,
ti scrivo dall'Italia, oggi è il 31 marzo 1999. Ieri ho visto la Guerra.
Mi stava guardando, ma non aveva occhi.
Udiva il battito del mio cuore, ma non aveva orecchi.
Mi sussurrava, sospirava parole, che ancora non riuscivo a comprendere, ma non aveva bocca.
Non aveva un volto.
Immobile. Maestosa. Indomabile.
Sono le mie prime sensazioni nel vedere la Guerra. Credi di essere il primo ad aver ricevuto la notizia dello scoppio della guerra in Italia?
Ti sbagli. Eppure non è uno scherzo: l'ho vista veramente e sono stata ferita dalle sue armi spietate.
Ero appena entrata nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, dove era stata allestita una mostra delle opere di Picasso degli anni dell'apogeo in Italia (dal 1937 al 1953).
Vidi il corpo di un uomo che giaceva a terra, con una smorfia di dolore sul viso e in mano un bastone spezzato. Gli zoccoli pesanti di un cavallo morente lo stavano schiacciando. Un toro balzava sopra di loro. Forme ritagliate, strette in uno spazio privo della sua terza dimensione.
Si sporgeva in avanti il volto di una donna, profilo che si allungava spropositatamente fuori dalla finestra. Lo sguardo impaurito della donna tentava di raggiungere il corpo straziato dell'uomo e dell'animale, ma l'atrocità della scena lo allontanava.
Accadeva lo stesso a me.
Ficcavo gli occhi in quelle carni spezzate e deformi, provando sul mio corpo la loro sofferenza. La brutalità del toro picchiava contro il mio cuore, affaticava il mio respiro e stringendo i pugni contro tutto quell'odio sentivo le mie mani raggelarsi. Scompariva ogni persona accanto a me, crollavano le pareti della grande sala e ogni rumore, anche il più forte, non poteva coprire il frastuono di quella guerra che ora gridava la sua crudeltà nello spazio infinito del mio animo.
Stordita non potevo abbandonare tutti quegli uomini. Uomini che lottavano, esultanti nella vittoria, piangenti nella sconfitta... uomini che combattevano la propria terribile guerra. Ero disarmata e vulnerabile, perché l'ondata di distruzione che la guerra portava con sé si stava infrangendo sulle solide scogliere del mio mondo tranquillo, dei miei giorni sereni, senza martiri, senza eroi. Non l'avevo mai conosciuta prima, se non attraverso i nostalgici ricordi del nonno, così lontani e inoffensivi. Quelle linee si proiettavano in me schizzando fulminee in una prospettiva che non disegnava lo spazio ma fissava i suoi punti di fuga nel mio cuore, uno dei tanti possibili punti di vista.
Ora mi trovavo di fronte alla sorprendente energia dell'arte di un uomo che affermava: io non cerco niente, non faccio che mettere il più possibile d'umanità nei miei quadri. C'erano dei mesi in cui ero, come tutti, ossessionato dalla minaccia della guerra, posseduto da questa angoscia e da quest'odio, e dalla voglia di combattere l'angoscia e l'odio.
Ora vedevo l'uomo che con la sua forte mano imprimeva un segno sul foglio bianco. Rapido ne tracciava un altro. Ed un altro ancora, più incisivo. Su quelle linee coraggiose scivolavano veloci i miei occhi, confortati da calde lacrime. Veloci si susseguivano le mie emozioni, spumeggianti cascate di timore e stupore. Penseresti mai di arrivarle così vicino? Di sentire il suo amaro sapore?
Toccavo il suolo spagnolo, terra ardente e cielo infuocato da grandi passioni. Passioni che neppure la Guerra aveva potuto strappare all'uomo. Passioni che un artista aveva reso invincibili ed eterne. Passioni e gloria. Avrei voluto inginocchiarmi al cospetto di quell'uomo che con la sua arte aveva conservato e custodito, gelosamente e caparbiamente, la vita del suo popolo e del suo paese.
Lo Studio per composizione di Guernica come una bestia feroce mi era saltato addosso e mi imprigionava le braccia; stringeva e scuoteva il mio capo perché rimanesse desto e non sfuggisse, non scordasse.
Impossibile ignorarlo, non credi? Ma oltre alla violenza percepivo il fascino di un'esistenza profonda ancora adesso brillante come il riflesso del sole sull'acqua. Sole che mai sarebbe tramontato oltre la linea dell'orizzonte. Ammiravo l'uomo che mi aveva spaventata con le sue immagini di guerra e che mi aveva consolata con la speranza e la vittoria. La vita.
Come finisce un'esperienza simile? Andarmene e chiudere le porte della grande sala? Rimanere immobile in contemplazione per sempre?
Caro amico dall'altra parte del mondo,
forse tu conosci la guerra perché le sei vicino, forse non ti interessa perché è troppo lontana, forse... ma cosa avresti fatto?
Io non sono ancora uscita da quella grande sala e probabilmente non la lascerò mai.
Memoria di una guerra, di un uomo, di una donna, di un cavallo e di un toro. Guernica.

 


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010