Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
1ª edizione - (1998)

Un'esperienza di lettura

 Prendere un libro. Sfogliare le pagine. Cercare di assimilare i concetti, che danzano fuggevoli davanti ai miei occhi. Tutti automatismi che risultano pesanti alla mia mente poco allenata alla lettura. Non so se la colpa è mia, se è della scuola che non mi ha insegnato ad appassionarmi alla letteratura. In ogni caso, tutte le volte che prendo un libro in mano, il mio sguardo corre nostalgico allo stereo il cui volume vorrei alzare al massimo; la mente si rivolge alla musica che mi piacerebbe mettere e da cui farmi avvolgere chiudendomi in un caleidoscopio di emozioni. Oppure vorrei accendere la televisione, dove le immagini scorrono veloci, scattanti e attive, dove i concetti da apprendere vengono proiettati nella mia mente senza sforzo.
Aprire un nuovo libro è motivo di ansia, la noia mi coglie puntuale, attesa e anticipata, già dalla prima pagina, la mente vaga sdoppiata fra il non senso dello scritto e tutte le cose che vorrei fare in quel momento. Mi sento arenata fra le parole, incastrata in un labirinto di lettere dalla decifrazione lenta e penosa. Lentamente e penosamente comincio la mia scalata fra quelle pagine, mentre le dita della mano destra palpano il bordo del libro, per vedere quante pagine mancano, per valutare per quanto tempo la sofferenza si protrarrà ancora.
Queste le mie emozioni nel sentire il peso del nuovo libro che devo leggere. Senso di non interesse che mi percorre in lungo e in largo.
Anche questo giorno non è diverso, la copertina mi sfida dalla scrivania gridando il suo titolo enigmatico a tutta la stanza: Il nome della rosa. La mia mano pesa di inerzia quando gira la prima pagina, l'attrito della volontà rende ogni gesto più difficile.
Leggere di fatti accaduti sette secoli fa, mi lascia una sensazione di estraneità, mi chiedo a cosa serve, mi domando perché mi vengono fatte leggere queste cose. Dove inserire e come utilizzare tutte queste informazioni è un problema che non prendo neppure in considerazione.
Con sospetto faccio la conoscenza di Adso da Melk e Guglielmo da Baskerville; con risentimento mi aggiro insieme a loro in uno scenario estraneo, in un tempo che non sento mio; mentre dallo stereo gli "Aqua" stridono con la loro musica elettronica, i bassi sostenuti che muovono la mia mano a tempo. Un tempo che sa di moderno, attuale sapore di discoteca e divertimento, cose su cui la mia mente si posa senza fatica, ci si adagia staccandosi dalle pagine ed io, a malincuore, devo fare forza per concentrarmi in ciò che ho davanti. La tensione si fa meno pesante con il procedere. del racconto, mi distendo e lascio che il libro si racconti da sé; non ci metto passione, ma seguo lo svolgimento della vicenda con passiva inerzia, come una strada da seguire per arrivare a destinazione: l'ultima pagina.
Il primo gesto insolito lo faccio senza pensarci, guidata da un'esigenza automatica, dal doppio imperativo "rumore, disturbo": ho spento lo stereo. Un istante prima ero lì a leggere, sinceramente distaccata e poco coinvolta, di come uomini ambiziosi hanno corrotto un'istituzione millenaria come la Chiesa, un istante dopo mi sono alzata, portandomi dietro il libro! E ho troncato a metà la voce dei Backstreet Boys. Nel silenzio della mia camera posso sentire il cinguettare degli uccelli intorno al monastero benedettino, il vento che passa tra le foglie, in un'epoca in cui i rumori prodotti dall'uomo non hanno ancora soffocato del tutto quelli della natura, non è spiacevole. Ed eccomi ancora con Adso e Guglielmo, mentre appare all'orizzonte lo spettro del delitto, in un luogo che dovrebbe essere dominato dal timore di Dio. Su questa contraddizione mi soffermo, su questo punto di contrasto che mi sembra così simile alla mia vita, che non è mai bianca o nera, ma soprattutto fatta di sfumature più chiare e più scure che non riesco mai a dividere bene, e quelle bianche non le trovi mai dove dovresti, mentre quelle nere le trovi sempre dove non ti aspetteresti. Con questi pensieri vado a cena riflettendo, per una volta, su quello che ho letto. Una cosa che non ho mai fatto: la rielaborazione di quanto letto; riavvolgere il nastro mentale e riconsiderare i fatti e creare collegamenti, soprattutto creare collegamenti con ciò che mi circonda. Può un libro ambientato settecento anni fa dirci qualcosa di utile al giorno d'oggi? Non ne sono ancora convinta, ma non appena finita la cena, ho tutta l'intenzione di sporgermi nuovamente su quella finestra di passato e scoprirlo.
Così rieccomi in camera, con il mio modo sbattuto di stare sul letto, sono affondata totalmente nella lettura. Lo stereo spento, in netto contrasto con il mio stile, la dice lunga su come Eco è riuscito a tirarmi dentro la storia. Leggo di libri antichi e di pazienti monaci, che per secoli hanno diligentemente trascritto il sapere dell'umanità. Un sapere enorme, praticamente infinito per la mia mente e, con Guglielmo da Baskerville, riesco a condividere l'amore per questo sapere, sento la tristezza che mi pungola pensando che, in tutta la vita, non potrei apprendere che una piccola parte di tutto questo sapere.
È mia madre ad entrare in camera per dirmi che si è fatto tardi. Tardi vuoi dire che è mezzanotte e mezza, ed io sono qui dalle nove. Ma dire qui non è corretto, perché la mia mente ha viaggiato insieme a Guglielmo, Adso, l'abate Abbone, Severino l'erborista, Bencio, Berengario e tutti i personaggi che dalla carta si sono levati per raccontarmi, anzi per farmi vivere, le vicende dell'abbazia. A questo penso nel buio della mia camera: che per una volta sono stata dentro il libro; non sopra, non due occhi che scorrono dei simboli, ma personaggio insieme agli altri. A volte Adso, a volte Guglielmo o qualche altro monaco, potevo aggirarmi non vista fra di loro e dentro di loro, sentivo i personaggi, vedevo le loro azioni, potevo gettare supposizioni su colpevoli e moventi; perché già dentro di me si forma l'immagine di un colpevole e brucio dalla voglia di vedere se ho ragione.
Abilmente, intorno a loro, si tesse la storia della società di allora; lo scritto mette in luce corruttori e corrotti, denuncia infamie di ogni tipo, dove i soldi e la lotta per il potere, sono cause sufficienti per calpestare ogni ideale. Mentre solo i semplici come Adso credono ancora negli ideali che coprono questo marcio. Vicende che posso seguire parallele anche sul telegiornale della sera, altri nomi, altri mezzi di coercizione, ma la stessa brama, probabilmente la stessa luce sinistra e ingorda degli occhi che fissano la telecamera, sicuramente gli stessi sorrisi da predatore che nascondono trame e secondi fini. Prima di addormentarmi mi domando: "sette secoli e l'uomo non ha imparato niente?".
Il mattino dopo, andando in autobus a scuola fra gli spintoni degli altri ragazzi, sono fuggita di nuovo all'abbazia e ne seguo le vicende con foga da assetata, non mi risparmio nemmeno a lezione, tengo il libro sotto il banco e continuo a muovermi fra le losche vicende di un'abbazia del 1327, muovendomi con il sagace Guglielmo fra i muri della chiesa, i passaggi segreti e l'intricata planimetria della biblioteca-labirinto. Nei momenti in cui sono costretta a fare una pausa e chiudere il libro, torno a visitare ciò che è successo e le emozioni che mi hanno invasa. Quello che mi sta succedendo, è che sento i personaggi come vivi, sento le loro paure, le emozioni, la gioia e il dolore, ho intuito la profonda sconvolgente emozione di Adso che scopre il sesso, il suo turbamento diluito nell'amore per la ragazza che si delinea sempre più vivido in lui. Quella spina nel cuore che si accresce di giorno in giorno e pilota la mente verso l'oggetto di questo sentimento, mentre ci si dice che passerà, e poi è ancora lì magari più forte, a farti sentire che quel legame non si spezzerà mai e ne rimarrai prigioniero per sempre. Vedo il giovane incastrato in questa tenaglia di situazioni contrastanti, incompatibile il suo amore e il suo sacerdozio, sono lì con lui a soffrire; perché quante volte ci troviamo a dover fare i conti con la coscienza? Mi commuovono i tentativi di Adso di conciliare il desiderio con la sua religiosità, quante volte anche noi ci troviamo in precario equilibrio fra quello che vorremmo con tutte noi stesse e ciò che la ragione, le regole o le convenzioni ci sconsigliano?
Se non fosse stato per la mia amica, avrei perso la fermata dell'autobus; ormai le vicende del mondo esterno sono slittate in secondo piano. Non mi rimane che correre a casa per riprendere la lettura. Il pranzo velocissimo e poi di nuovo sul libro, anzi dentro.
Sono di nuovo insieme ai miei amici... e nemici, attraverso le loro paure e le loro brame. Brame diverse, motori che girano nell'anima di ognuno di noi. Chi è mosso dalla lussuria, chi dall'amore, qualcuno dalla sete di conoscenza, altri dalla paura della verità. Chi comanda e non vuole che le cose cambino e chi è comandato e vorrebbe ribaltare l'ordine delle cose. Così scopro che ognuno di noi è un piccolo mondo. Per molti sarà una cosa scontata, ma io non l'ho mai sentita così vera come adesso: siamo tutti chiusi nelle nostre menti, sentiamo solo le nostre esigenze e poco ci curiamo degli altri. Ci volevano queste pagine per sentire le angustie degli altri, così lontane dal mio cuore, ma così simili alle mie.
Corro veloce sulle pagine e le dita della mano toccano ancora il bordo del libro, ma non per la fretta di finire, ma per calcolare quanto durerà ancora questo viaggio. Perché è di questo che si tratta in fondo, di un viaggio, in altri tempi, in altri paesi e nel cuore di tante persone.
Come tutte le cose anche questo viaggio finisce. La fine dell'ultima pagina mi lascia un po' di amarezza dentro, forse per la fine non proprio lieta del racconto, la distruzione della biblioteca e la morte della bella fanciulla di cui Adso da Melk non saprà mai il nome. Ma ancora posso dire che il romanzo è stato fedele alla vita, che non ci garantisce quasi mai un lieto fine. È questo che penso mentre sto sul letto, con il libro finito fra le mani. Tutti i libri sono frammenti di vita, pensieri di uomini che hanno lasciato la loro esperienza scritta. Uomini che hanno preso ciò che stava muto nella loro testa e nel loro cuore, ce lo hanno donato, rendendoci partecipi di un pezzetto della loro anima. È una fortuna per noi che possiamo accedere a tutto questo, farne tesoro anche per la nostra vita.
Qui nella mia camera scopro la tristezza che ci coglie alla fine di un libro, che è la stessa a conclusione di una bella avventura. Per calmarla, per riempire il vuoto che l'ultima pagina porta con sé, c'è solo una cosa che posso fare e la faccio subito, senza pensare: mi alzo dal letto e prendo un altro libro.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010