Cyrano De Bergerac di Jean-Paul Rappeneau
di Marco Caniato
Menzione d'onore
Perdona l’istinto, caro lettore,
la penna fugge, trabocco d’ardore;
luce che scalda, un dolce abbraccio
la notte si sfalda ed io mi caccio
lassù nel ciel, a prender la luna
e parlar di chi ha poca fortuna.
Di Cyrano la storia forse conosci,
del Guascon le gesta giungon le voci,
pochi ricordi, un pugno di versi,
poesia e poeti ormai dispersi.
Ma forse il sole non è tramontato,
il fuoco puro ancora è rinato,
perché l’utopia mai si arresta,
mai si placa o china la testa;
la spada la notte ancora squarcia,
un naso fatato ti tocca la guancia.
Lassù, in alto, nel cielo, vicino alla stella di Omero e di Achille, di Don Chisciotte e di Socrate, c’è un piccolo punto luminoso, insignificante, ma che brilla gagliardo, quasi duellando con i colossi che gli stanno attorno, ai quali somiglia per piccoli particolari, mantenendo comunque una propria originalità, un carattere unico e indomabile, splendido e solitario.
Cyrano è poeta, Cyrano è sognatore, ma la lotta lo chiama e accetta l’onore di incrociare la spada con chi avanza, non è un vile e il naso tocca, punge e danza, affossa lo stolto, il ruffiano e il signore, non si lascia comprare, se non dall’amore.
La storia infinita, uguale, ma sempre diversa di un cuore che batte furioso per una donna, ancora si ripete, ma per lui questa passione non è debolezza, bensì forza, sorgente di purezza e di coraggio, quasi fosse un cavaliere giunto dalla cortese Camelot nell’ipocrita Parigi; Petrarca per purezza e Achille per vigore, ma con quest’ultimo condivide, ahimè, l’errore: non il tallone, bensì il naso lo blocca, non un troiano ma il verbo scocca la parola che per lui è freccia letale, gli specchi non vuole, il suo viso è fatale. Spadaccino senza macchia né paura, scaltro di lingua e di intelletto, è veramente un eroe da romanzo, ma a lui non basta; vuole essere di più, vuole la perfezione assoluta, vuole raggiunger anche quella bellezza che a lui è preclusa a causa di uno scherzo di natura: come il suo animo si eleva sopra quelli di chi gli sta appresso, così il suo naso eccede, sproporzionato, e gli rammenta la propria umanità.
Singolo destino, l’amore in lui è tanto casto e puro che aiuta l’avversario a conquistare Rossana, la splendida amata, forse l’unico altro personaggio proveniente da un mondo diverso, formato da semidei puri e fantastici, caduto per sbaglio in una realtà che non gli appartiene; ma così come il cugino, anche lei ha un difetto: la passione la disorienta totalmente. Infatti confonde gli amanti, non riconosce le voci, è incredibilmente perspicace in tutto tranne che in ciò che le sta a cuore: scopre gli inganni, li tesse a sua volta, ma non vede, come una volta che oscura il cielo sopra la testa, l’aria è calda, aria di festa, sente l’amato che sta vicino, crede sia notte, invece è mattino.
Cristiano, lo splendido, muore tra le sue lacrime, tra dubbio e tormento: sa di esser tra braccia che, se sapessero, stringerebbero qualcun altro; sa di esser un "prestafaccia", come un parassita che gode i frutti fatti maturare dall’abilità di un altro e, anche se questo non si ribella, ma anzi lo incita, si rode per la colpa di privargli i giusti meriti.
Cristiano è guerriero, Cristiano è amante, ma non eroe e non è bastante, volto d’angelo e cuore focoso, per lei ci vuole il favoloso: il parlare d’amore, di luce infinita, l’inchiostro di sangue che tinge una vita che lotta perfetta pe’i soli suoi occhi, a parlare con lei, che passi le notti.
Cristiano è umano, non crede alla poesia, o, meglio, la considera un ricamo, un dono, purtroppo necessario, affinché le donne si lascino baciare dai loro paladini; si rode e si interroga una, due, dieci volte sul perché non basti il suo fascinoso aspetto, ma ci voglia qualcosa di più, qualcosa di cui è assolutamente sfornito. Possiede sì un discreto spirito, ma solo per motteggiare un avversario a duello, sicuramente non per corteggiare una fanciulla; destino gramo, destino crudele, chi ha lo sguardo non ha le vele per cavalcar fortuna, il vento soffia, ma neanche una è parola per lei adatta e la sì ben fatta bocca non si lascia avvicinare, anche lui è a metà e non può amare.
Cristiano e Cyrano, Cyrano e Cristiano, le due metà si tendon la mano, voce tonante aspetto da Apollo, ora si può sfiorar il collo così tanto e a lungo sognato, un desiderio è realizzato, ma uno è umano e l’altro no, e il primo da solo nulla può contro il suo fato: colpito annaspa, è senza fiato, quello che mai manca all’uomo coerente, che denuncia, attacca e di nulla si pente.
Cyrano e Cristiano tentano un azzardo, tentano cioè di ingannare i pretendenti di Rossana, senza esitare ad usare anche sotterfugi. Purtroppo tutte queste macchinazioni si avvicinano troppo a ciò che è comune abitudine per i nobili e da loro disprezzato perché considerato pieno di ipocrisia e falsità: sono troppo vicini ad usare gli inganni contro cui hanno sempre combattuto e per questo vengono puniti; nessuno dei due è un personaggio di facciata a favore dell’altro, ma comunque rimangono troppo dipendenti tra loro e soprattutto colui che è meno abituato ai colpi di coda della sorte è costretto a chinare il capo.
Cyrano rimane, Cyrano resiste, il braccio è forte e vita persiste come quel suo grande fervore, mai si arrende né perde l’umore: attacca i teatranti, ladri e signori, vive per anni tra contese e dolori, solo il sabato per lui è gaio, l’amata vede e cambia il suo saio in velluto da festa, non deve sapere che null’altro gli resta che il sorriso di lei, ma a lui va bene e digiuna per sei giorni prima di incrociare il dolce suo sguardo, questo lo sfama e lo tiene gagliardo.
Cyrano ormai è totalmente solo: anche i suoi antichi compagni di un tempo non son più così vicini: il poeta fornaio lavora in un teatro; altri autori gli copiano le opere impunemente; molti suoi compagni sono morti da Guasconi sul campo di battaglia. Ormai è solo, ma non si scoraggia e continua a seguire l’unica condotta di vita che conosce, cioè persiste nel punire i prepotenti e a raddrizzare torti, conservando, quindi, la propria coerenza. Questa è la sua vita ed è comunque illuminata dalla vista settimanale di Rossana, ora in convento, che piange ancora il suo amato Cristiano, "l’uomo perfetto".
Cyrano continuerebbe, probabilmente per sempre, ad esser paladino e giustiziere, continuerebbe, insomma, a far brillare un barlume di luce divina, di giustizia imparziale su questa terra, sempre più corrotta e bugiarda. Sarebbe, con ogni possibilità, immortale: infatti, come una lanterna che brilla perenne, purché la si ricarichi regolarmente, così lui per l’eternità duellerebbe, magari sempre più malconcio, ma sempre con quel vigore indomabile fornitogli dalla visita settimanale al suo dolce sole.
Ma, purtroppo, Parigi è invidiosa, ipocrita e ruffiana, non crede ai sogni e prova ad infrangerli; così manda uno, cento ed infine mille e mille incubi che ingabbiano il libero e lo affrontano. Questi, come la loro mandante, colpiscono alle spalle, sono pazienti, aspettano i giorni e i giusti momenti per affondare la lama, per finire il volo del prode gabbiano, ormai troppo solo.
Il suo volo favoloso, la sua utopistica ricerca della verità e della giustizia lo portano ad incontrare quella triste signora dalla quale ha già mandato miriadi di farabutti e mascalzoni di ogni risma. Questa, quasi per riconoscenza, ha come pietà e gli concede di rimanere ancora nella terra dei vivi per qualche istante, o meglio gli concede di restare in una specie di limbo dove Vita ed Eternità, sebbene si incrocino, non interferiscono, lasciando al fortunato attimi di pura libertà, cioè privi di vincoli legati alle ansie di una o alla paura dell’altra.
Ma proprio la morte per lui è amica, trova conforto e lo nutrica con dolci lacrime dal viso di lei, dell’oggetto del suo vorrei; da quella per cui ha dato il suo cuore, riceve, infine, anche l’amore.
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