Che fastidio
"Che fastidio" mormorò Sofia guardando la sua immagine deforme riflessa da un cucchiaio.
Irritante come il prurito del morso di una zanzara. Intenso come i raggi mattutini del sole riflessi sul calmo mare della sua giovane età.
"Che fastidio". Quel brusio di voci e rumori le cresceva dentro lento ma inarrestabile.
Apparentemente silenziosa, Sofia nascondeva quell'infinità indistinguibile di suoni, come una radio mal sintonizzata.
"Che fastidio". Guardando nel vuoto con gli occhi sognanti, Sofia pensava al latteo gabbiano ambizioso, dinamico e spontaneo che ognuno ha dentro di sé.
S'immaginava l'insofferente Jonathan in quella gabbia umana qual era lei, lo sentiva esplorare, cercare cieli profondi, pericolose acque, spazi infiniti.
Il battito delle sue ali corrispondeva al palpito del suo cuore, lo spiegarsi ai suoi sospiri, lo stridere dei suoi versi all'urlo muto del suo disagio.
In questa sintesi di anatomia e di sensi, Jonathan si dibatteva, gridava, gli occhi umidi affamati di sogni la imploravano di non ucciderlo.
"Che fastidio" vederlo roteare libero nell'aria, sfrecciare inarrestabile a velocità impensabili, insistere nelle acrobazie più difficili.
Sentire la sua voglia di riuscire, quella di andare oltre i limiti imposti agli uomini da altri uomini, la voglia di vivere la vita liberamente, senza lasciarsi trascinare dalle correnti.
"Che fastidio terribile sentirsi imprigionata da azioni e pensieri non tuoi". Sapersi destinati a fare della legge dello Stormo la propria religione, condannando i "diversi" solo perché sono in grado di demolire il castello di luoghi comuni diligentemente costruito fin dall'infanzia.
"Che fastidio sentirsi addosso lo sguardo strisciante e compiacente degli adulti riusciti". Tutte queste riflessioni passarono lapidarie nella mente di Sofia, in un grigio pomeriggio invernale, dopo aver terminato di leggere Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.
Amava sognare di essere libera, sarebbe bastata solo un po' di buona volontà per dimostrarlo a se stessa: era solo questione di esercizio.
Inevitabilmente questi pensieri si infransero al ricordo di tutta quella serie di episodi nei quali non era stata libera... condizionata, obbligata, indottrinata, tutto... ma non libera!
Non le veniva in mente neanche una volta in cui si fosse sentita senza pensieri, senza sensi di colpa, senza preoccupazioni.
"Che fastidio" la sua voce riusciva a pronunciare solo questo, tanto era caotico il vortice che si portava dentro.
Avendo intravisto la libertà, aveva compreso quanto fosse finta ed insignificante la vita che la circondava.
Chiuse gli occhi ed immaginandosi il suo cervello lo fece esplodere, potendo dare così tutto lo spazio necessario a quelle emozioni ed a quei sogni repressi che fino a quel momento aveva tenuto nascosti nel suo angolo di libertà: il fastidio si era dissolto.
Sofia s'alzò dalla scrivania e andò da Jonathan perché le insegnasse a volare là dove solo con la fantasia era riuscita ad arrivare.
Oggi Sofia insegna a noi a... volare per essere liberi o... ad essere liberi per volare!
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