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5ª edizione - (2002)

Apologia di Socrate

Il documento più ricco, dal quale possiamo attingere notizie sul processo contro Socrate, è appunto l' Apologia di Socrate, scritta qualche anno dopo la causa da Platone. Non possiamo però considerare questo libro come una fonte oggettiva, perché Platone si propone di celebrare Socrate, essendo stato suo discepolo.
Le accuse rivolte a Socrate sono varie, ma sostanzialmente se ne ricavano due:
- Perde tempo a indagare sul cielo e sulla terra.
- Corrompe i giovani e crede a divinità nuove introdotte da lui.
Quella che si ritiene ufficialmente è la seconda, perché è stata presentata dagli accusatori.
Socrate comincia la sua difesa dichiarando che nonostante i suoi accusatori abbiano parlato in modo pomposo e appariscente, non è detto che dicano la verità. Al contrario: lui parlando semplicemente dirà sicuramente cose vere, come si addice ad un buon oratore. Poi si rivolge ai giudici esortandoli a non far caso a come si parli, ma a cosa si dica.
Egli si presenta alla difesa negando di fare ricerche naturalistiche, che per alcuni apparivano come mancanza di fede negli dei e quindi contrarie ai principi della polis, ma di cercare di verificare, attraverso molte indagini presso politici, poeti e artigiani, la tesi dell'oracolo di Delfi, secondo la quale lui era il più sapiente. Interrogando queste persone ritenute sapienti, utilizzando la propria ironia e l'arte della maieutica, capisce che costoro non sono affatto saggi. Così egli scopre il significato dell'oracolo: lui era sapiente perché si era reso conto di non sapere. L'odio contro Socrate accresce anche perché i suoi discepoli continuano questa ricerca tra coloro che si sentivano saggi, smascherandoli e sminuendoli.
Difendendosi dall'accusa di corrompere i giovani, fattagli da Meleto, incolpa il suo accusatore di non sapere cosa sia l'educazione dei ragazzi e che comunque non li corrompe, ma se lo facesse, lo fa involontariamente.
Quindi dice che, prima di lui, le teorie sul cielo e sulla luna erano state pronunciate da Anassagora e che i demoni, ai quali secondo loro crede, sono comunque figli degli dei. Cercando di discolparsi, reputa un grosso errore la sua eventuale condanna a morte, in quanto lui è un dono di Dio, essenziale agli Ateniesi per stimolarli, come fa un cavaliere con un pigro cavallo, e uccidendolo faranno un'offesa allo stesso Dio.
Dice che non entra in politica perché chi combatte con la giustizia deve essere un privato cittadino. Continua sostenendo che non ha mai impedito a nessuno di ascoltarlo, non ha mai chiesto denaro per parlare e che, se quelli che lo hanno interrogato o ascoltato sono diventati ingiusti, non è stato di certo per colpa sua, perché non ha mai promesso di insegnare e mai ha insegnato.
Continua la sua difesa interrogando retoricamente i giudici sul perché quelli che sono stati corrotti, secondo gli accusatori, da lui non si sono ribellati.
Socrate si è rifiutato di impietosire i giudici perché non sarebbe stato onorevole né per sé, né per la città e la sua grande lealtà lo porta addirittura a invitare i giudici a giudicare sempre secondo legge e non secondo pietà.
Dopo l'autodifesa, Socrate viene giudicato colpevole e condannato a morte. Come prevede la prassi gli chiedono come voglia essere punito, ma lui, un po' ironicamente, risponde con una ricompensa: essere mantenuto dallo Stato, in quanto benefattore dei cittadini. Poi si rivolge a quelli che l'hanno condannato e dice loro che gli capiterà una cosa molto più grave di quella che hanno fatto a lui. Infine si rivolge a coloro che hanno votato per l'assoluzione dicendogli di confrontarsi perché per lui la morte è un bene e così è per tutti coloro che fanno del bene in quanto gli dei si prenderanno cura di quello.
In verità la questione per cui venne condannato è molto complessa. La polis si fondava sulla democrazia, sull'eguaglianza e sulla libertà di tutti a partecipare alla vita politica. Invece Socrate vedeva questa come una forma di dominio di incompetenti. Egli aspirava ad una classe preparata intellettualmente e moralmente selezionata che potesse guidare lo Stato.
Probabilmente le accuse rivoltegli nascondevano uno stratagemma per far soccombere le sue idee che incutevano una paura non indifferente.
Mi ha molto colpito la sua morte: non ha mai chiesto pietà, è rimasto sempre sereno e anche se poteva scappare o andare in esilio non l'ha fatto.
Infatti voleva portare rispetto per le leggi della polis, non voleva fare cose moralmente scorrette e prima di tutto non voleva tradire la propria coscienza.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010