Un'esperienza di lettura
"Non ti trattiene l'amore, la destra che un giorno t'ho data, non che Didone potrebbe morirne di morte crudele?".
"Fuggi da me? Ti scongiuro per questo pianto e la tua destra (misera, ormai, nient'altro mi son riservata!), per l'unione nostra, per gl'intrapresi imenei, se qualcosa da te meritai, se qualche dolcezza mai avesti da me; pietà della casa che crolla; lascia questo progetto se vale ancor che ti preghi".
Eneide Virgilio canto quarto vv. 307-308/314-319
Il quarto canto nell' Eneide tratta del triste e travagliato amore tra Enea e Didone, una crudele passione che, da tenue fiammella, diviene fiamma calda ed ardente, destinata inesorabilmente a consumarsi e poi a morire, lasciando solamente nostalgia ed un enorme vuoto nei cuori feriti dei protagonisti.
L'amore diventa ben presto una passione tanto divorante e travolgente da sconvolgere l'orgogliosa e straziata sovrana, la quale, lacerata dal peso delle proprie colpe, disubbidisce ai giuramenti prestati sulle ceneri del defunto marito Sicheo, e si lascia vincere dai propri istinti. Virgilio si concentra particolarmente sulla figura di Didone, la coraggiosa regina cartaginese, che giustifica e comprende, anche se non la identifica né con il suo ideale di regina (per il troppo sfarzo tipico dei regni orientali), né con la tipica matrona romana, perché dominata e spesso sopraffatta da una troppo sconfinata passione.
Tuttavia ella conserva intatta, anche nei momenti di cruda ed incontenibile follia, la sua regalità, e forse è proprio per questo suo aspetto che la si vede primeggiare all'interno della storia, rispetto alla figura statica di Enea.
Didone è un'unione infuocata di ardenti desideri, Enea è freddo, e privo di spontaneità: di fatto le sue manifestazioni di affetto sono fugaci ed ambigue.
Virgilio lo presenta come un automa che agisce in perpetua funzione della missione assegnatagli dal fato.
Inoltre, il poeta non lascia spazio ad una maggiore introspezione psicologica del giovane, che troviamo sfuocato, messo in secondo piano.
In realtà, l'autore si pone la necessità di non far evadere a lungo l'eroe dal suo ruolo di uomo pio, obbligandolo ad una drastica adesione agli ordini di Giove comunicatigli da Mercurio sotto mentite spoglie.
La pietas, infatti, consiste nella totale sottomissione alla volontà degli dei, nell'osservanza delle leggi, nell'onestà, nell'adempimento puntuale dei propri compiti di marito e di padre di famiglia ed Enea incarna in pieno l'ideale romano dell'uomo pio.
Tuttavia l'amore annebbia per un po' la ragione del troiano, il quale, in un certo senso approfitta dei sentimenti di Didone, unendosi con lei e promettendole il matrimonio, pur considerandosi come depositario di una missione fatale.
Dopo il suo tradimento, la donna lo accusa, lo rimprovera, lo supplica di restare o almeno di rimandare la partenza per farla abituare alla solitudine.
Ma il troiano, ligio al volere di Giove, non si lascia convincere né piegare.
Incapace di comunicare tali stati d'animo a chi le sta vicino, Didone soccomberà sotto il fardello della propria anima, logora di rabbia, fragile come il cristallo.
Purtroppo il confine tra fragilità interiore e lucida pazzia è spesso invisibile e del tutto illusorio; il dolore si evolve in azioni malefiche e calcolate.
Didone si uccide, dopo aver mandato terribili maledizioni ad Enea e alla sua stirpe. In questo modo è possibile, per Virgilio, spiegare la rivalità che da sempre intercorre tra Romani e Cartaginesi.
Con il suo ultimo e folle gesto, Didone riscatta completamente ogni sua colpa e si purifica di ogni marchio di immoralità.
Didone appare, quindi, come una donna fuori dagli schemi: è una regina, e per questo non riveste il ruolo che gli antichi attribuivano alla donna comune.
Inoltre, è passionale e combatte per ottenere ciò che desidera, senza curarsi di andare, per questo, contro il fato e contro la stessa volontà divina.
Il mondo antico è pieno di personaggi che, come lei, non intendono lasciarsi imprigionare dai ruoli affidati loro, e che riescono ad emergere e a portare avanti i propri ideali.
Lo stesso Virgilio ci presenta, sempre nell' Eneide, Camilla, donna guerriero dalla straordinaria bellezza, forza e abilità. Ella porta sempre con sé un bastone, munito di punta metallica. Quest'arma, che presenta contemporaneamente il mirto - sacro a Venere - e la micidiale punta metallica - sacra a Marte - sintetizza il fascino ed il fervore bellico che promanano dalla giovane.
In Antigone, Sofocle presenta lo scontro tra due parti della società, inconciliabili tra loro: lo Stato, incarnato da Creonte, ed i sacri vincoli famigliari, rappresentati dalla stessa Antigone. Questa rivendica il suo diritto ad agire secondo la legge profonda della coscienza, che le vieta di lasciare insepolto il corpo del fratello, qualunque sia la giustificazione al divieto che la legge adduce.
La lucida determinazione del suo agire la porta alla più totale noncuranza per quanto dovrà pagare in termini di vita.
Anche in Edipo re la moglie del sovrano, Giocasta, non prestando fede ai vaticini, nella sua risoluzione può apparire empia e ribelle, snaturata figlia del suo tempo.
La ribellione di tali eroine è dettata da motivi morali ed ideali, che risultano incomprensibili a chi le circonda.
Sono EROINE DELIA TRASGRESSIONE, intesa come rifiuto della sopraffazione del potere, in una società misogina che le sottovaluta e, ponendole in secondo piano, le rende succubi.
È triste pensare come, a distanza di venticinque secoli, questa protesta possa ritenersi ancora così estremamente attuale...
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