Un'esperienza di lettura "Il nome della rosa" di U. Eco
Trovandomi davanti alla copertina di questo libro, mi è sorta spontanea una domanda: che cosa significa il titolo?
Più andavo avanti a leggere e meno riuscivo a capire quale fosse il legame tra titolo e romanzo. Alla fine la mia mente era completamente confusa riguardo a ciò. Ma, riflettendo bene, ho iniziato a intravedere qualche piccolo spiraglio di luce che rischiarava la mia mente, come quando il sole litiga, spinge, strattona, si fa spazio tra gli insidiosi grigiori della nebbia. Ho capito quindi che la risposta era molto semplice, ma al tempo stesso altrettanto complessa. Il titolo ha soltanto qualche legame con il testo (intuibile unicamente mediante complesse trattazioni filosofiche), ma ciò è un fatto voluto, in quanto l'autore si riproponeva di dare un titolo che non focalizzasse l'attenzione del lettore su un fatto preciso del romanzo. Geniale è stata quindi l'intuizione di Eco che ha trovato un titolo intrigante, misterioso, che accende la voglia di scoprire ciò che si trova oltre la copertina. Un'altra caratteristica del romanzo che mi ha particolarmente colpito è la minuziosità con cui è stato trattato il racconto, sia dal punto di vista della vicenda, sia dal punto di vista stilistico. Tutto è perfetto, preciso, calcolato, addirittura anche i dialoghi sono ambientati in uno spazio-tempo, ovvero sono di lunghezze tali da permettere ai personaggi di muoversi in un determinato ambiente.
Ad esempio, se Eco doveva far andare due frati dal dormitorio alla cappella dell'abbazia e il tempo stimato era di circa cinque minuti, egli calcolava un dialogo di quella durata. Così il romanzo si svolge secondo ritmi pressoché realistici e diventa ancora più coinvolgente. Esso è ambientato in epoca medioevale in un'abbazia di monaci benedettini dove viene commessa una serie di omicidi e dove il compito di indagare su questi è affidato a fra Guglielmo di Baskerville e al suo discepolo Adso. La coppia Guglielmo-Adso può forse essere paragonata, sotto alcuni aspetti, alla più famosa Sherlock Holmes-Watson: il primo intelligente, acuto, osservatore, geniale nelle sue conclusioni, il secondo più impacciato, ancora acerbo, ma sempre pronto a imparare, spinto da una grande sete di conoscenza. Quest'ultima parola, conoscenza, è un altro elemento chiave nella lettura del libro.
Essa è rappresentata simbolicamente dalla biblioteca, "casa" di una quantità immensa di informazioni. Ad essa, però, non è permesso a tutti di accedere, anzi, l'ingresso è consentito soltanto a un gruppo molto ristretto di persone, infatti l'informazione è potere. Eco affronta qui una questione ricorrente anche ai giorni nostri: ovvero se è corretto o no valicare i confini della scienza (ovviamente non mi riferisco al non andare più in biblioteca, ma a temi molto più complessi, come, ad esempio, se è giusto indagare sulla clonazione umana).
La biblioteca è quindi rappresentata come un limite invalicabile, una proibizione e poiché tale, forse bramata ancora di più. Talvolta questo desiderio incessante, questo chiodo fisso di ottenere un qualcosa a noi proibito ci offusca la mente e ci spinge a commettere azioni spregevoli, che possono anche andare contro ogni legalità. Però, quando ci pensiamo è ormai troppo tardi e solo pochi hanno il coraggio di ammettere la loro colpevolezza; la maggior parte sta in silenzio sperando che il tempo cancelli l'accaduto.
Nel Medioevo per trovare il colpevole si ricorreva spesso all'inquisizione (come possiamo vedere nel libro): l'inquisitore era una persona scaltra, infima, che estorceva la verità con la forza; nella maggior parte dei casi il condannato non era il colpevole, ma la persona che si dimostrava più debole verso le accuse dell'inquisitore. Essa fungeva perciò da capro espiatorio, da esempio per scoraggiare ogni altro crimine. Solo i più forti e agiati potevano quindi uscire da queste situazioni usando le loro cariche e i loro poteri come un'armatura che li proteggesse dai duri colpi della temibile arma dell'inquisizione. D'altronde, anche oggi le persone ricche che possono pagarsi decine di avvocati riescono sempre a passarla liscia. Anche se si potrebbe andare avanti per ore, vorrei affrontare soltanto un ultimo argomento che ho ritrovato in questo romanzo: la presenza di Dio (chiamato anche Fato o destino) che regola tutto il mondo. Nel libro viene sottolineato particolarmente questo tema, infatti Guglielmo credeva che gli indizi sulle sette trombe dell'Apocalisse e sulla sequenza degli omicidi, fossero ragionati da una mente umana, invece erano soltanto frutto della casualità, quindi sì ragionati, ma da una mente divina.
Vorrei ora concludere dicendo che questo libro mi è piaciuto molto e ho trovato la storia molto avvincente e ben curata, tanto che mi ha tenuto col fiato sospeso per tutta la lettura.
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