Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
1ª edizione - (1998)

Il lettore, vento, aria ed io

 Sul fatto che fosse speciale non avevo mai avuto dubbi.
Dalla mattina in cui l'avevo conosciuto, subito l'avevo pensato, forse per via dei suoi occhi, di come guardava la gente, le cose, e, ora più che mai, lo pensavo, mentre, mangiando rotelle di liquirizia e bevendo succo di ananas, sentivo le parole che pronunciava accarezzarmi dentro.
Non erano parole sue, ma di uno di quegli incantatori di persone che mi aveva fatto conoscere, parole che uscivano da uno di quegli strumenti che con lui diventavano magici, uno di quei libri.
L'avevo conosciuto a una di quelle visite a tal museo, che fai alle Elementari, poi anche alle Medie e, quando arrivi a farla anche al Liceo, sei così annoiata che, per uno strano effetto, una specie di allergia, diventi cieca agli oggetti messi in mostra.
Anche lui conosceva come me quel museo a memoria e fu inevitabile il ritrovarsi in fondo al gruppo e prendere a parlare.
Parlando cominciammo a scherzare, scherzando cominciammo a ridere, ridendo cominciammo a conoscerci.
La cosa più chiara di lui era che sapeva farmi ridere, fino a star male da quanto stavo bene.
Da quella mattina continuammo a cercarci, era come se ci chiamassimo, io avevo bisogno di essere allegra, lui di farmi stare così. Nei brevi cambi dell'ora nacque la nostra amicizia, tra un compito di fisica ed una spiegazione di storia, tra un'esercitazione di chimica e un'interrogazione di latino, parlavamo e ridevamo, per tutto, per niente, perché eravamo insieme. Ciò che continuava ad attirarmi, però era lo sguardo che usciva dai suoi occhi verdi, quello sguardo che leggeva nelle persone, leggeva dentro.
Nelle lettere per le mie amiche e negli scritti per me, mi divertiva chiamarlo "Il Lettore" e non sbagliavo a dargli questo nomignolo. Lui era il Lettore per antonomasia, divorava libri su libri di tutti i generi, di tutti i periodi, di tutti gli autori. Dopo aver imparato a leggere i libri, imparò a leggere le persone. Era naturale, diceva lui, questo collegamento. I libri gli avevano insegnato a leggere dentro i personaggi e lui aveva trasferito questa capacità sulle persone che lo circondavano. Si divertiva a farlo, leggere dentro, era diverso, nuovo, lo fece anche con me.
Poi decise di insegnarmelo e da lì nacquero le nostre "serate di lettura". Veniva da me, dopo cena, ci mettevamo in cucina, mangiando e bevendo eravamo capaci di finire un libro in due ore.
Leggeva lui più spesso, a volte anch'io, non aggiungevamo commenti, né facevamo considerazioni, leggevamo le parole degli autori come fanno tutti, eppure era diverso, sentivo che lo era perché era più profondo, più vero.
"Le rotelle sono finite" dissi io "Anche il libro. Vado a casa, ho molto sonno" "Anch'io" "Anche questa volta il libro non è servito". "Non è vero, un po' mi sento meglio".
Il Lettore si alzò e andò via, io mi buttai sul letto e mi addormentai subito, sentendomi pesante, quasi da deformare il materasso: Era Un periodo duro, per me e per gli altri che mi erano intorno, difficilmente riuscivo a sorridere, persino il Lettore, seppur continuava a farmi ridere, non riusciva però a rendermi serena.
Il fatto era che avevo perso qualcosa di grande e di bello e non potevo più averlo indietro, il fatto è che avevo perso mio nonno.
Era accaduto un giorno che non me l'aspettavo, era malato, stava male, ma io continuavo a vivere in quell'idea di immortalità della famiglia che un bambino si crea senza rendersene conto e nella quale fermamente crede, finché non gli capita di capire che non è così.
Sarà stato che ero ancora immatura, o che la morte non l'avevo mai vista, ma la scomparsa di mio nonno mi aveva fatto tanto male.
Quel che era peggio, era che non riuscivo a capire che lui fosse morto, non potevo immaginarlo e questo mi faceva star peggio. Di lui non riuscivo a parlare, non ero capace nemmeno di scrivere, così tenevo tutto dentro, dove mi sentivo graffiata.
Il Lettore mi propose e mi lesse una serie di libri dai toni leggeri, che potevano apparire adatti ad una situazione come la mia, ma non lo erano per il mio animo turbato, disordinato e difficile.
Un paio di giorni dopo il Lettore mi assicurò, durante un cambio dell'ora, di aver trovato il libro giusto e la sera si presentò con un fascicoletto di piccola dimensione, una trentina di fogli battuti a macchina e tenuti insieme da fili colorati che passavano per le fessure ai lati dei fogli.
"È un racconto breve" dissi io "No, al contrario, è un romanzo così lungo che ho dovuto dividerlo in fascicoli più piccoli per poterlo trasportare" "È quello giusto?" "Vedrai, è quello adatto. Ci sono due soli personaggi: uno è Vento, l'altra è Aria e viaggiano insieme per il mondo.
Aria è tranquilla, silenziosa; a Vento, invece, piace scherzare con lei, giocarci insieme, renderla speciale e divertente. Senza Vento, Aria è triste, senza Aria, Vento proprio non può esistere".
Così il Lettore mi presentò questo nuovo racconto, che era stato tramandato a voce per anni in una piccola tribù indiana, una storia tramandata gelosamente da capo in capo e, alla fine, raccolta da un europeo probabilmente più civile di certi altri che l'aveva un po' cambiato, senza però peggiorarlo.
Mi fu facile innamorarmi subito di Vento e Aria, seguirli nei loro viaggi in posti misteriosi e meravigliosi, provare le loro emozioni, le loro sensazioni.
Quando il Lettore andava via, ora, mi sdraiavo sul letto e mi sentivo leggera, continuando a seguire Vento e Aria nel loro migrare perpetuo.
Alla mattina parlavo con il mio amico Vento e Aria, ripetevamo pezzi e poi passavo il pomeriggio e i miei vari impegni aspettando solo la sera di ritrovarmi, il Lettore, Vento, Aria ed io nella cucina di casa mia.
Era bellissimo guardarlo leggere, così come lo era chiudere gli occhi ed immaginare le scene.....Immaginare un mare verde e blu e azzurro e nero, calmo da sembrare un telo.
Immaginare sopra di lui un cielo turchese che sprofondava nel mare in un abbraccio infinito.
Immaginare gabbiani bianchi con le ali d'argento brillare al sole caldo e penetrante.
Immaginare centinaia di bambini correre per un fiume, ridere e gridare, fare giochi e scherzi.
Immaginare mandrie di cavalli liberi galoppare, facendo a gara con il vento per una prateria.
Immaginare un deserto infinito e prezioso come l'oro, vellutato ed affascinante come una creatura misteriosa spaziare infinito davanti a me. Immaginare lupi muoversi agili per le foreste cariche di foglie e di magia. Immaginare donne vestite di veli colorati danzare alla luna ed innalzare canti pieni di amore e di vita. Immaginare la pioggia che cade senza sosta sui campi in fiore, il rumore delle gocce che si sfiorano, che ti sfiorano e ti bagnano. Immaginare le stelle a miliardi, i cieli che mutano e sorprendono. Così, piano, senza accorgermi, il sognare mi portava a pensare di meno a mio nonno.
Il Lettore lo sapeva fin dall'inizio, per questo il suo libro questa volta era così lungo, perché mi ci sarebbe voluto tempo per ritornare di nuovo serena. Lo sapeva bene, lui, che una persona ora non sarebbe stata in grado di ridarmi la pace, di medicare quel graffio; ma sapeva anche un'altra cosa: che un libro avrebbe potuto farlo. Perché mi aveva insegnato ad amarli e a viverli e, attraverso di loro, mutare i miei stati d'animo. Per questo li chiamavo strumenti magici, perché su di me operavano come incantesimi, facendomi uscire dalla mia vita quotidiana per portarmi altrove, sempre, però, sempre insieme a lui, al mio amico. Quell'amico che stava diventando qualcosa di più per me e ne avevo paura e lo volevo. Non capivo se ciò, però, fosse causato dal libro di Vento e Aria, dal fatto che il mio rapporto con loro fosse così stretto da farmi desiderare di assumere nella mia vita tutte le caratteristiche delle loro, che di amore parlavano, che di amore si nutrivano, che di amore avevano costituito la loro unione. Ma il non capire cosa provavo per il lettore non mi importava molto, perché, comunque, stavo bene così. "Sto bene" quando sentii queste parole rimbombare nella mia testa e per tutto il mio corpo, provai un brivido. Stavo bene. Con Vento e Aria avevo viaggiato lontano, mi ero allontanata dal mio mondo, dove ero riuscita a guarire e ora potevo tornare indietro.
Il Lettore lo sapeva, già prima che glielo dicessi, ma lo sapevano anche Vento e Aria, perché il loro libro era finito, non avevo più bisogno di loro, mi bastava, ora, il ricordo.
Quella sera non leggemmo nulla, il lettore ed io, parlammo solamente.
La mattina dopo trovai una busta sul mio banco, la presi e ne lessi il contenuto con curiosità, anche se già sapevo chi fosse il mittente.

Ora Vento e Aria sono andati via, tu non avevi più bisogno di loro, così i due si sono avventurati in un viaggio per un luogo troppo lontano perché le nostre fantasie li possano seguire. Ma io non sono andato via, sono qui con te. Non ti sei accorta, amica mia, non ti sei mai accorta che le parole di quel libro erano le mie parole e che non era vera la storia degli indiani? Ogni mattina ti studiavo, ti leggevo e capivo di cosa avevi bisogno, poi scrivevo per te un nuovo viaggio di Vento e Aria e ogni frase nasceva da un lungo studio, ognuna messa nel modo giusto per darti serenità.. Non ti sei
mai accorta? Per quasi un mese ho scritto parole su parole per vedere tornare il sorriso sul tuo viso, l'allegria nel tuo corpo. Non essere mai triste, amica mia. Per mano, seguendo Vento e Aria, ti ho portato nei luoghi dove tu, per sempre, potrai trovare tuo nonno. Ti faceva star male non il fatto di non riuscire ad immaginare che lui fosse morto, ma il non sapere dove fosse andato. Ora lo sai, è nel mare, nell'alba e nel tramonto, nei gabbiani, nei sorrisi, è in tutto ciò che è bello e che ti fa felice. Cercalo lì, cercalo nel vento, nell'aria, cercalo con me. Ed ora, come il mio libro ti ha riportato il tuo carattere gioioso, fa che un tuo libro porti questo sentimento agli altri.
Scrivi, amica mia e con il tuo libro sogna
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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010