Da "Il Gabbiano Jonathan Livingston"
Granelli di polvere su questo grande, grandissimo libro. Il primo approccio era avvenuto alle scuole medie, ma al tempo, la mia giovane mente, era troppo immatura per andare oltre la crosta di questa magica storia. Solo di recente, colto da un fremito, da una irrefrenabile voglia di sapere, di leggerla ancora, di capirla fino in fondo, mi sono deciso a riprendere a volare come un gabbiano fra le soavi parole di Bach.
Pagina dopo pagina sentivo un silenzio irreale calare intorno a me; era come se avessi abbandonato il mio corpo, se mi stessi librando nell'aria, alla ricerca del senso della vita. Le parole scorrevano piano e avevano ognuna un significato estremamente profondo: ogni minima cosa era stata accuratamente studiata, ogni espressione aveva un peso raffinatamente calibrato.
D'un tratto, sorpresa e immensa felicità, dentro il mio cuore, nello scoprire di non essere pazzo a ricercare un senso ai miei giorni, di non essere un inutile sognatore nel cercare di arrivare sempre più in alto per tentare di vedere, di capire e poi di insegnare agli altri.
Le parole di Bach narravano i pensieri del Gabbiano, le sue paure, le sue speranze. Narravano la sua sofferenza e la sua rabbia verso l'incomprensione dal mondo e del mondo. Ricreavano le crisi di chi lotta per arrivare alla verità, all'utopia... Un sussulto, un colpo al cuore, una lacrima strozzata in gola. E dentro una voce, flebile: "sono io".
Gli occhi prendono a scorrere più velocemente le pagine, ma inciampano, cadono e cercano freneticamente di rialzarsi. "Mi è sfuggito il senso di questa frase" mi dico tra me "devo rileggerla, DEVO", mentre un nodo alla gola comincia a togliermi il respiro e rende il tutto ancor più onirico.
La forza di andarmene da questo villaggio ottuso, di liberare la mia mente viaggiando nel mondo, di trovare compagni che credano nella mia stessa lotta, che non si accontentino di esistere ma pretendano di vivere. Avrò mai il coraggio di farlo, sarò mai in grado di attuare la potenza di questi miei pensieri di libertà...
Poi, la morte. Volando veloce, velocissimo, il Gabbiano si schianta inesorabilmente contro l'ineluttabile muro della realtà, muore sfracellato contro un masso, che riporta tutto alla normalità, spegne in morte ogni tentativo di andare oltre, di aprire gli occhi, di credere in qualcosa. "Ma io non voglio schiantarmi contro un masso. No, non voglio...". Qualche minuto di silenzio, qualche lacrima che non riesce ad essere trattenuta, e il mio pensiero torna a tormentarmi: "Non mi schianterò. Si è schiantato lui per me, per farmi capire. Devo fare tesoro del suo insegnamento, devo combattere e non fermarmi mai, devo infrangere le barriere che separano il sogno dalla realtà, devo camminare guardando sempre l'orizzonte. Si, l'orizzonte: è questo l'unico traguardo degno di esser definito tale".
Le mani quasi tremavano, ma perseveravano nel loro carezzare le morbide piume del Gabbiano, pagina dopo pagina. Le forti emozioni piano piano avevano sfinito la mia mente, rendendola agitata, motivata e tanto, tanto commossa. Non solo qualcuno prima di me aveva provato esattamente ciò che stavo provando io, ma era addirittura riuscito a catturare queste ineffabili emozioni dipingendole con maestria su candidi manti. Così, arrivo a girare anche l'ultima pagina del racconto e rimango incantato a sfogliare le illustrazioni finali, che ritraggono il Gabbiano volare, libero, felice, finalmente giunto ove nemmeno lui avrebbe mai osato sperare. Chissà, se un giorno volerò anche io lassù...
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