Morte
Era successo quello che temeva. Da ormai sei anni. Quest'ultimo periodo l'aveva passato in continua angoscia, temendo che il telefono squillasse e le comunicasse la notizia "tuo nonno...". E la mattina di domenica era successo. Non era stato il telefono ad avvisarla, ma ancor prima delle sue parole, lo sguardo di suo padre, il viso, distrutto, segnato. Si era avvicinato a lei e aveva detto: "il nonno è andato". Dove? Voleva rispondere lei. Dove può essere andato, visto che non riusciva a muoversi dal letto? Silenzio nella mente e nelle parole. Tutta la mattina e il pomeriggio dalla nonna con i parenti. Lacrime. Sorrisi di incoraggiamento "mi spiace, ma forse è meglio così". Per chi meglio? Per voi che così non vedete più il nonno in quelle condizioni e non sentite più quel lieve senso di colpa nel guardarlo e pensare: "Dio mio, ma quello è mio padre?". Poi finalmente era arrivata la notte. E lei era sola. Finalmente poteva urlare in silenzio tutto il suo dolore. C'era la luna. Luna piena. La stessa luna che suo nonno guardava nel deserto, sotto le stelle nelle sue spedizioni di caccia. Lei la guardò. La luna sorrise e cominciò a parlare.
"Perché mi guardi? Mi fissi così? Sei forse un poeta che cerca l'ispirazione guardando il mio volto bianco e vecchio? O sei una sognatrice, innamorata di qualcuno?".
"Non sono nulla di questo, Luna, sono una bimba triste e sconsolata, che oggi ha visto per la prima volta la morte in faccia".
"Ah! La morte! Quante volte da quassù ho osservato la gente che moriva, nel suo letto, per strada, nei boschi, impiccata, avvelenata, pugnalata! Ormai la morte non mi colpisce più! Ma chi è morto?".
"Una persona vecchia e inutile al mondo, ma che rappresentava tutta la mia vita, una persona unica e speciale. A te può non dire nulla Luna, perché sei fredda e senza amore. Tu non hai mai amato e non puoi soffrire, nemmeno davanti alla morte".
"Non ci scommettere bimba! Anch'io soffro davanti alla morte, e davanti a te che soffri! Ma ti prego, raccontami, raccontami quello che provi adesso, quello che hai provato. Se mi commuoverai ti racconterò anch'io una storia".
"Dimmi cosa vuoi sapere esattamente, io ho troppi pensieri per la testa e quando sarei a metà del mio racconto il Sole avrà già preso il tuo posto e sarebbe inutile raccontarlo a lui, che ha tanto da fare!".
"Beh! Dimmi cos'hai provato guardando tuo nonno. Non ti preoccupare, vai avanti".
"Beh dunque. Pensavo tante cose guardando il CORPO di mio nonno, bada bene, non MIO NONNO, il suo corpo. Sono convinta infatti che quello sul letto non fosse lui, ma qualcosa che lo rappresentasse, che l'aveva rappresentato in vita. È una sensazione stranissima che non so esprimere a parole!".
"Ti capisco, non è facile, ma va avanti, probabilmente ti aiuta a capire e a buttare fuori tutto".
"Sì, hai ragione. Dicevo: era come se avessi capito che il corpo non è che la prigione di qualcosa che c'è dentro di indistruttibile, chiamalo anima, chiamalo "essenza di nonno" tutto quello che vuoi. Però osservando quel corpo sul letto, immobile, bianco e freddo, mi sono detta: Non è tuo nonno questo! Tuo nonno è quello che era dentro di lui.
La morte dunque è solo una formalità. È come se l'anima di mio nonno si fosse ribellata a quel corpo malato e sia uscita, libera!".
"È molto giusto quello che dici, e soprattutto appropriato. Ho vissuto a lungo io! Ho visto uomini delle caverne che si uccidevano, ho visto fondare grandi città, ho visto erigere splendidi templi e abbatterne altrettanti! Ho sentito parlare tante volte della morte, molte volte l'ho vista e una in particolare ti voglio raccontare. Ma tu dimmi, hai terminato il tuo racconto?".
"Sì, solo un'ultima cosa...".
"Dimmi".
"Mi sono chiesta: se l'anima è uscita dal corpo, dove sta ora?".
"Ottima domanda! Cosa ti sei risposta?".
"Mi sono detta che secondo me l'anima era lì con noi e si stava divertendo a vedere il suo corpo in quelle condizioni. E sono convinta che ci fosse veramente accanto a me quando ho salutato il nonno per l'ultima volta. Sono convinta che sia qua anche adesso accanto a me mentre ti parlo.".
"Bimba! Spero tu abbia ragione, e spero che la storia che ti racconto ora ti aiuti a capire la morte, a conoscere tutti i suoi aspetti.
Dunque, il mio racconto si svolge tanto tempo fa, quando ancora gli eroi erano sulla Terra, e le passioni dominavano gli uomini. Si svolge lontano lontano, oltre il mare, oltre le terre, in una città chiamata Troia.
Immagina la scena. C'è un giovane, splendido, possente, grandioso, sulla riva del mare, che piange".
"Achille".
"Achille, ma non interrompermi. Achille piange, e nello stesso tempo sta parlando al mare, sta parlando alla sua mamma. Mille e più sentimenti si agitano nel suo cuore, ma io c'ero e ho sentito tutto, così come te lo racconto
"Madre, madre mia! Dove sei?! Vieni a consolare tuo figlio, nel dolore più grande che si possa conoscere! Ettore ha appena ucciso il mio Patroclo! Madre mia dove sei!?".
(a quel punto una voce, come un canto è uscita dal mare)
"Figlio mio non piangere!".
"Ah! Se potessi avere Ettore qui, adesso!".
"No figlio mio! Sai bene quale sarebbe il tuo destino se uccidessi Ettore!".
"Non m'importa! Sai cosa ho scelto. Sai quello che voglio dalla vita. Non potrei mai vivere senza aver vendicato Patroclo, senza aver ridato alla polvere ciò che le appartiene".
"Perché vuoi morire, figlio? Perché darmi un dispiacere così grande?".
"La morte non mi spaventa, madre. La morte è il solo modo per restare immortali. Se questo mi porterà alla morte, e sia! Non vivrò mai un vita da coniglio".
"Ma non si tratta di una vita da coniglio! Si tratta della vita in sé, delle sue passioni! Svegliarsi col sole che ti bacia, amare, soffrire, anche odiare, ma sentire ogni cosa dentro di sé, tu abbandoneresti tutto questo?".
"Sì madre, e lo sai bene. Non mi interessa la ricchezza o il divenire vecchio e saggio, conosciuto per tutta la Grecia. Non voglio che si dica di me: 'Achille, il vecchio saggio che si scordò di vendicare un amico!'. Di me si dirà: 'Achille, l'eroe morto per vendicare il suo amico'. Ecco quello che voglio madre!".
"E io che ho cercato di fare di tutto, pur di salvarti da questa guerra inutile! Vedo che non sei cambiato ed è col cuore gonfio straziato che pur ti devo dire che sono fiera di te. Se vuoi il tuo destino e sia, vado da Efesto per farti forgiare delle nuove armi".
"A questo punto arrivò il Sole che gentilmente mi invitò a coricarmi e lentamente ci scambiammo di posto sicché io non ho mai sentito come si concluse il dialogo. Ecco, anche questa è morte anche se diversa da quella che hai affrontato tu".
"Diversa sì, ma pur sempre morte, quindi sofferenza".
"Sì, hai ragione, ma sofferenza per chi? Per chi resta o per chi va?".
"Beh, per chi resta. Chi va probabilmente va in un posto migliore, chiamalo Paradiso, chiamalo Nirvana, Limbo... non importa, l'importante è che sia libero dal corpo e dalle passioni".
"Come dalle passioni?".
"Le passioni ti rendono uomo. Soffri, ami, odi, piangi. Un'anima non può, altrimenti non sarebbe felice. L'uomo è infelice di natura perché è prigioniero".
"Non saprei, sai? Se l'anima non avesse passioni non sarebbe felice, perché secondo me l'uomo è felice per natura perché ha le passioni, sentimenti, anche nel dolore è felice, perché vive e prova qualcosa".
"Probabilmente hai ragione tu anche se non so come tu faccia a dare un giudizio sugli uomini dal momento che non sei uomo".
"Bimba, io osservo e studio. Ma il Sole scalpita per rubarmi il cielo. Sii felice piccola, perché tuo nonno ora lo è".
"Spero tanto!".
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