L'incontro con il "diverso" attraverso un'esperienza di lettura
La guerra è una realtà che spesso noi umani creiamo e poi fingiamo non esista. Spesso ragioni politiche o ideologiche spingono uomini dotati d'intelletto a compiere atti sanguinosi e temerari contro altri uomini. L'uomo come diceva il buon Platone è un'animale razionale e a seconda che prevale una parte o l'altra compie azioni razionali o bestiali.
Io credo che in ogni uomo ci siano queste due parti, una moderata e calcolatrice, l'altra irruente e feroce. In ogni epoca storica si è vista prevalere la seconda. Leggendo l'opera di Arrigo Petacco intitolata L'Esodo sono venuta a conoscenza di una realtà, che prima mi era sconosciuta, a me vicina per tempi e luoghi. Ci troviamo infatti in Italia e precisamente in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia negli anni del dopoguerra. Leggendo il libro ho potuto constatare che in un luogo vicino a me in un tempo che quasi definirei contemporaneo uomini hanno deliberatamente ucciso uomini, donne e bambini per poi seppellirli nelle foibe. Io le foibe le ho viste e davvero non pensavo potessero contenere italiani uccisi. Uccidere in nome della guerra o meglio celare dietro alla motivazione "causa di guerra" la voglia di uccidere è nascondere a se stessi il male che ci spinge a tanto. Dai racconti di guerra dei miei nonni io sapevo cosa volesse dire la guerra ma non solo quella fatta di morti, di spari e di carri armati bensì quella fatta di fame, di soprusi e di terrore. Il libro riporta fatti che per troppo tempo sono stati celati e occultati da ragioni politiche.
La guerra mi è apparsa in queste pagine come una sorta di nebbia che pervadeva tutto e tutti. Infatti in stato di guerra a molti paiono legittimate la proprie cattiverie, i soprusi, le violenze. In caso di guerra gli uomini vuoi per difesa vuoi per predominio vogliono dimostrare di essere i più forti, vogliono sopraffare gli altri per rendere manifesta la loro forza sugli altri. La guerra mi è parsa in questa vicenda come una ragione di dominio. Ogni uomo vuole essere un vincitore e vuole avere fama. Ma si può essere considerati importanti, forti e vincitori innanzi alle foibe colme di cadaveri? Si può vincere a discapito delle vite umane? Si può violentare donne e bambini per dimostrare la propria supremazia?
La risposta, unanime dovrebbe essere no. La ragione dice no. L'uomo spesso però dice sì.
In guerra non c'è nulla di giusto o di sbagliato, non esiste un limite al Bene o al Male. In guerra tutto viene giustificato dalla condizione.
Spesso noi partecipiamo al dolore altrui anche profondamente ma non possiamo ben capire, a mio avviso, cosa provano gli uomini che vivono la guerra. Spesso la paura, la rabbia e il senso di impotenza spingono gli uomini a compiere azioni atroci. Con questo non voglio legittimare la guerra anzi ma capisco bene che in caso di guerra tutto viene sfalsato, la ragione non viene più usata perché ci si trova in una condizione di disordine generale.
Lo stato d'animo di un uomo in una città in guerra è diverso da quello che vive un uomo in stato di pace. La realtà è diversa e le reazioni sono diverse.
Purtroppo le guerre sono mosse e iniziate da ragioni economiche, politiche, religiose, territoriali...
Gli uomini poi si investono di queste ragioni e per difendere queste uccidono.
La violenza e la guerra non potranno mai essere giustificate e comprese ma saranno sempre vissute e subite.
Ma chi subisce la guerra? La risposta è tutti. Infatti carnefici e vittime sono in mano al monstrum guerra che legittima e invita a ogni sorta di nefandezza. Colui che uccide e chi è ucciso sono entrambi vittime: il primo si snatura e il secondo ne paga le conseguenze.
Spesso gli uomini con un'arma in mano si sentono più forti, più protetti e per questo si permettono di violentare donne indifese e bambini incoscienti. Prendersela con le parti più deboli è un dato caratteristico di ogni guerra.
Io leggendo l'opera mi sono trovata ancora una volta triste testimone di una vicenda terribile dove io non ho potuto fare nulla. Questo senso di impotenza è lo stato che pervadeva anche le vittime di questo triste periodo. Per questo posso dire di sentirmi vicina a loro. Certo non potrò mai capire la loro angoscia, le paure per le proprie cose e i propri figli ma posso capire la loro triste rassegnazione. Innanzi alla guerra ci sentiamo impotenti, deboli, vacillanti.
Leggendo un libro come questo capisco anche che alcuni autori (Primo Levi dapprima) hanno tentato attraverso la diffusione mezzo stampa di opere-testimonianza come questo libro di essere attivi, di allontanare da se stessi quella terribile sensazione di impotenza.
La scrittura è un mezzo davvero efficace per liberarsi dal ruolo di spettatori e per diventare coprotagonisti della vicende descritte.
Diffondere queste tristi verità è innanzitutto un dovere verso coloro che hanno vissuto quei momenti e poi un modo per lasciare ai posteri un insegnamento di vita.
Se un opera come questa riuscisse anche a far scattare dentro ai carnefici e a coloro che hanno volutamente celato questi fatti ai più il rimorso o il più piccolo pentimento forse i morti di allora non sarebbero stati uccisi invano. Purtroppo però chi ha ucciso non si è mai pentito e anzi una volta scoperto ha sempre cercato giustificazioni ai suoi gesti.
Mi piacerebbe un giorno leggere un'opera scritta non dai vinti di guerra o da studiosi di un dato periodo bensì da un uomo pentito del suo comportamento. La storia non è fatta né dai vinti né dai vincitori solo dai fatti.
I fatti parlano chiaramente ora sta a noi interpretarli nella giusta chiave e imparando dal passato potremo cercare nel futuro di non ripetere gli stessi gravi errori.
Le guerre ahimè continueranno ma spero almeno che le persone più intelligenti capiscano che nulla legittima la guerra se non la guerra stessa e una volta eliminata questa non ci sarà più alcuna ragion d'essere per la medesima.
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