L'incontro con il 'diverso' attraverso un'esperienza di lettura: la figura di Socrate nell'Apologia e nel Critone
Si può essere diversi in vari modi: si possono assumere di proposito comportamenti ricercati e lontani da quelli della maggioranza, oppure si può essere rifiutati a causa di una diversità apparentemente inaccettabile se giudicata secondo i criteri di valutazione dominanti nella società.
Quindi si può godere della diversità come di una qualità propria di pochi, oppure, al contrario, si può subirla come una condanna.
Nell'Antica Grecia diversi erano gli appartenenti alla classe degli "aristoi", i ricchi aristocratici: diverso era chi si distingueva dalla massa della gente comune.
Può sembrare strano, a chi si avvicini per la prima volta allo studio della figura di Socrate, che quest'uomo, condannato a morte proprio per la sua estrema diversità, fosse di estrazione piuttosto umile.
Socrate compie infatti una scelta di vita ardua ma appagante: decide di dedicare tutto il suo tempo alla filosofia senza essere ricompensato in moneta sonante come usavano altri filosofi del suo tempo, rinunciando di conseguenza a gloria, ricchezza e potere.
Tra i quattro dialoghi che il suo discepolo Platone gli dedica, mi hanno soprattutto appassionato l'Apologia ed il Critone, che sono, a mio parere, quelli che esprimono meglio la personalità di Socrate, la sua unicità che ne ha fatto un personaggio quasi mitologico, un uomo "benedetto", come lo chiama Platone.
Nella sua Apologia, Socrate è costretto a difendersi dall'attacco di alcuni suoi concittadini che lo accusano di deviare le giovani menti ateniesi e di venerare degli dei particolari, tradendo così la religione della sua città.
In quest'opera Socrate è di fronte alla giuria che lo deve condannare o assolvere: poco a poco si delinea la teoria, che era stata già di Eraclito, degli "svegli" e dei "dormienti".
In questo caso Socrate è effettivamente l'unico sveglio, supportato da un piccola ma fedele minoranza, posto di fronte alla maggioranza degli ateniesi, che invece credono e si vantano di sapere tutto della disciplina di cui si occupano (e non solo), e proprio per questo si chiudono al mondo.
Socrate deve cercare di infrangere il vetro che lo separa da coloro che non vogliono arrivare alla verità più profonda pensando di averla già conquistata, e da coloro che preferiscono vivere nell'ombra, nel buio dell'ignoranza e dell'indecisione piuttosto che intraprendere il difficile cammino verso la consapevolezza di sé stessi.
Socrate è l'unico ad avere il coraggio di ammettere di non sapere, e di conseguenza l'unico ad interrogarsi per arrivare alla conoscenza.
Coloro che pensano di essere già sapienti, si precludono da soli la vera saggezza, avendo la vista offuscata dalla cecità della presunzione. In questo modo rinnegano qualsiasi possibilità di progredire culturalmente e spiritualmente, firmando la loro condanna a morire in una falsa convinzione di onniscienza.
Vi sono poi coloro che evitano la ricerca in quanto possiedono una visione limitata: questa condizione è propria degli strati sociali più bassi, i cui appartenenti non ricercano la conoscenza in quanto soddisfatti ed appagati da un'esistenza tesa al soddisfacimento dei bisogni materiali.
Dunque, i presunti sapienti sono da condannare più veementemente rispetto ai dormienti che vivono in modo più passivo, dato che i primi si allontanano dalla vera conoscenza essendo coscienti che essa esiste ed essendo convinti di esserne già in possesso, mentre i secondi sono lontani persino dal concetto stesso di conoscenza e si accontentano, nella loro ignoranza, del misero appagamento legato alla sfera dell'apparenza.
Riguardo alla vita, Socrate propone dei ragionamenti di una tale limpidezza, che arrivano a turbare chiunque li legga: il lettore comprende la vera indole del filosofo che ha donato l'anima all'arte della sapienza.
Socrate è sicuro che sia meglio vivere una vita breve ma appagante dal punto di vista filosofico, piuttosto che una lunga vita nell'oscura ignoranza, la morte dell'anima.
Afferma di non temere la morte, dato che ciò che più deve terrorizzare l'uomo è il vivere calpestando le leggi della sua religione e della sua città.
Egli giura che mai potrebbe rinunciare alla ricerca continua, mai potrebbe scendere ad un compromesso con la sua coscienza, perché questa è la missione che gli è stata assegnata dal dio che i suoi oppositori attaccano.
Quel demone è la voce della sua stessa coscienza, che sempre lo spinge a seguire la strada più retta, fermandolo prima che egli possa pur lontanamente pensare di dedicarsi alla politica, ambito terribilmente corrotto ed impuro (purtroppo rimasto tale anche dopo le innumerevoli lezioni che la storia ci ha via via impartito).
Questa voce è anche l'incarnazione del dio di Socrate, un dio che egli porta sempre con sé e da cui è guidato nelle sue scelte.
Lo stesso dio spinge Socrate ad indagare nell'animo umano, a pungolare le persone, a far vacillare le loro certezze fino a farle crollare a terra come un effimero castello di carte, e quindi a guidare il suo interlocutore verso la via della verità, senza cercare di convincerlo delle sue idee per fargliele abbracciare, bensì spingendolo verso il parto di un'idea personale.
Mentre tutti i suoi concittadini vivono da dormienti chiudendo gli occhi alla verità, egli è il solo a tenerli ben aperti e denuncia le debolezze causate dalla tendenza a seguire la via più facile verso la soluzione dei problemi, che però non è sempre la migliore né la più sicura.
In particolare Socrate condanna coloro che, spinti dal desiderio di scavalcare i problemi seguendo la soluzione apparentemente più conveniente, tradiscono le proprie leggi.
Rifiuta di evadere dal carcere durante l'attesa della sua esecuzione, perché questo equivarrebbe a tradire tutti i principi che ha faticosamente portato avanti in vita.
La sua sostanziale differenza dagli altri sta nella sua incapacità di vivere come i molti che, rilassando le loro coscienze, volgono le spalle ai principi di legge e religione pur di assicurarsi una vita falsamente tranquilla, ma che in verità è sbiadita e priva di qualsiasi esperienza che la renda degna di essere vissuta.
Preferirebbe morire piuttosto che tradire i principi di rettitudine morale che incita a seguire, ed è per questo che ha scelto di non dedicarsi alla politica, nella quale, per arrivare ad ottenere dei risultati, bisogna agire in modo più illegale dei propri avversari.
Per questo ha deciso di dedicarsi ad un'opera molto più lunga ed ardua, che porti gli ateniesi alla scoperta del bene.
Con il suo agire incorruttibile e contrario al rilassamento delle coscienze, Socrate si è inimicato molti personaggi di rilievo che per questo arriveranno ad accusarlo ed a portarlo in giudizio.
Purtroppo i suoi concittadini non sono stati in grado di comprendere quanto insostituibile fosse il suo ruolo nella società, non l'hanno apprezzato e sono arrivati, per paradosso, a condannarlo a morte.
Socrate, il filosofo più grande, l'uomo più retto, condannato a morte dalla città che amava di più, dalla quale si era allontanato solo poche volte nella vita e sempre per servirla in battaglia.
Dice di non provare amarezza nei confronti dei suoi concittadini traditori, ma cerca di far capire loro che non vanno incontro ad una liberazione da un peso, ma al suo esatto contrario, ad un peggioramento della loro situazione: chissà se gli ateniesi troveranno mai un altro "seccatore" della sua abilità, un altro pungolatore di coscienze assopite.
Questo è, più o meno, quello che si domandano tutti coloro che si tuffano nelle sue teorie per esserne per sempre rapiti: infatti credo che una volta compreso il pensiero di Socrate, esso lasci un segno indelebile dentro di noi, perché la sua limpidezza ed il suo candore sono assoluti e rari se non, come ho già detto, unici nella storia dell'uomo.
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