Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
6ª edizione - (2003)

L'incontro con il diverso attraverso un'esperienza di lettura Esperienza di lettura con le poesie dei poeti africani contro l'apartheid

23 marzo 1960

Vorrei raccontare la storia di Mbodji, un uomo, un amico, un negro.
Spero non sia la solita storia che avete sentito raccontare tante e tante volte, ma sento la necessità di raccontarla dati gli ultimi avvenimenti di cui Mbodji si è reso tristemente protagonista a Sharpeville. Ma prima mi presento, sono un vecchio e vivo a Parigi, dove la mia famiglia si è sistemata da tempi remoti a causa della turbolente situazione nella nostra terra. Con occhi esterni cerco di vedere, analizzare e capire quello che ho appreso dalla televisione, quel poco che hanno detto e tento di ricostruire la mia vita con Mbodji. Mbodji era sempre stato un diverso, un diverso tra i diversi, fin da quando lo conosco, cioè fin da quando siamo bambini... assieme abbiamo fatto tutte le scuole, elementari, superiori e il primo anno di università. Poi qualcosa cambiò. Qualcosa che ci travolse da fuori, che ci tolse il respiro e che segnò in un modo o nell'altro le nostre vite. Ma come descrivere Mbodji? Era... era diverso, capace di tutto. Non riuscivi a rilassarti quando eri assieme a lui, temevi sempre di venir invischiato o trascinato in qualche losca e strana avventura. Quando eravamo all'ultimo anno di liceo le domeniche non le passavamo come tutti a casa a studiare, o con gli amici, no! Noi andavamo nella zona di Montmartre con gente tra la più impensabile a bere, fumare folleggiare e discutere di tutto quello che ci passava per la mente. Eravamo invidiati dai nostri amici "normali", e io me ne beavo, ero fiero e pieno di ammirazione per quell'amico, quasi un fratello così strano, geniale e affascinante che voleva me proprio me al suo fianco, io così timido e chiuso... Mbodji sembrava non ricordarsi mai del colore della nostra pelle, della nostra inevitabile diversità rispetto ai nostri compagni; io ne ero totalmente sottomesso e questo forse è quello che più mi ha reso diverso da Mbodji... non riuscivo a divertirmi come faceva lui perché temevo che dal nulla sbucasse qualcuno che ci ricordasse la nostra diversità e ci proibisse la normalità. Passavamo ore stupende nei locali da bohèmiens senza pensare alla scuola, alle famiglie e al mondo che ci circondava; la realtà del Sudafrica era qualcosa di totalmente estraneo alle nostre vite, lontano anni luce, come l'idea che potessimo esserne coinvolti direttamente. Così passavamo i nostri giorni nel più totale disinteresse nei confronti dell'esterno, protetti dall'inavvedutezza così disgraziatamente giovanile! All'università io scelsi di fare medicina e Mbodji filosofia, più vicina all'anima e alla mente, come diceva lui. Niente sarebbe dovuto cambiare nelle nostre vite, erano così belle, piene e unite! In Sudafrica invece la situazione stava diventando ogni giorno sempre più intollerabile per i neri nelle Homeland e nelle baracche, le uniche case che si potevano permettere nelle loro stesse città; senza diritti e senza dignità ormai sembravano destinati all'estinzione, come le bestie... e ancora la situazione peggiora... Non eravamo destinati a restare nella bambagia tutto il tempo: uno dei nostri amici, una delle infinite sere passate nei locali a Montmartre, buttò tra il fumo delle sigarette una domanda che ci cambiò completamente: "ma voi due che cosa ne pensate della situazione nella vostra terra? ". Quale situazione? Cosa sta succedendo?
Ormai non potevamo più rintanarci nelle nostre vite: dovevamo sapere. Come al solito Mbodji si sentì più profondamente colpito e ferito dalla nostra ignoranza e si appassionò con tutta l'anima alla questione, credo che questa "spinta" gli sia stata data anche dai suoi freschi studi di filosofia impregnati di dignità, di uomo e di perché. Io più calmo mi limitavo ad approvare le mosse del mio amico anche se mi sentivo molto preso anch'io dalla situazione. Mbodji ed io ci iscrivemmo al circolo che era nato tra le viuzze di Montmartre, che si riuniva settimanalmente per discutere della condizione dei negri in Sudafrica. Un ricordo molto vivido che ho della mia giovinezza è proprio legato a uno di quegli incontri. Era sicuramente sera forse addirittura le dieci o giù di lì perché la riunione stava per concludersi, quando entrarono in sede alcuni tipi che non sembrava avessero buone intenzioni; tutti robusti, avevano in mano dei bastoni dal compito inequivocabile... Il ragazzo che presiedeva l'assemblea, un bianco, chiese con tono preoccupato che cosa volessero e alla loro risata di scherno in risposta, Mbodji non poté trattenersi e si rivolse loro con tono di sfida intimando di andarsene. A quel punto non so per quale motivo particolare, ma cominciò la rissa più violenta a cui io abbia mai assistito, anche se devo dire che per mia fortuna ho assistito a poche risse. Cercai di tenermene fuori quanto più possibile, anche se fu inevitabile prendere e distribuire qualche pugno ben assestato. Riuscii a identificare nel groviglio centrale un paio di gambe coperte dai pantaloni di Mbodji e tentando di prendere meno botte possibili riuscii a portare in salvo il mio amico prima che arrivasse la polizia mentre dentro il locale non accennava a diminuire la violenza. Mbodji ancora furente voleva tornare dentro a "...finire di sistemare la questione", ma il buonsenso ebbe la meglio e ci incamminammo nelle stradine contorte piene di odori e di musica. Era la prima volta dopo giorni che io e lui parlavamo faccia a faccia del Sudafrica e io mi sfogai completamente. Gli parlai dell'orrore che mi ispirava quella situazione, dell'incredulità che una cosa del genere potesse realmente esistere e della nostra impotenza di fronte a tutto questo... Ma qui - mi disse Mbodji - mi sbagliavo. Lui aveva un'idea già da tempo. Povero Mbodji... se avessi immaginato, se avessi pensato cosa sarebbe potuto succedere... Con crescente eccitazione mi espose il suo progetto. Aveva deciso di andare là, in Sudafrica o in veste di giornalista o di studente e poi cercare di capire cosa stesse succedendo lì veramente, in diretta, senza il filtro dell'informazione, cercare di fare qualcosa di utile e fruttifero per la gente! come eravamo giovani! come ci aggrappavamo facilmente ai sogni! ci sembrava che il mondo fosse nelle nostre mani, che potessimo realmente cambiare la storia, il corso degli avvenimenti! che illusi, che giovani... Non feci nulla per distogliere Mbodji da quel pensiero. E perché avrei dovuto? Dopo tutto anch'io ci credevo, ma non avevo il coraggio né di ammetterlo né men che meno di pensare di andare lì anch'io. Anzi, nel periodo seguente lo aiutai a preparare tutti i documenti necessari, a consolare la famiglia, a informarsi quotidianamente con scrupolosità di qualsiasi minima notizia, protesta, manifestazione, sciopero che c'era in Sudafrica. Così siamo arrivati all'aprile del 1959 e Mbodji se ne stava andando, chissà per cosa, chissà per quanto tempo, chissà se l'avrei mai più rivisto.
Il 14 aprile 1959 alle ore 10 e 40 minuti accompagnai Mbodji all'aeroporto. Prima di imbarcarsi il mio più caro amico mi pregò di ricordarlo, qualsiasi cosa sarebbe successa e di continuare credere in quello che avevamo fatto, ma io commosso non gli diedi tanta retta, lo presi un po' in giro per questa sua pomposità. Come mi sbagliavo...
L'aereo partì poco dopo portando via per sempre l'unica persona che avesse davvero contato nella mia vita.
Mbodji mi ha scritto spesso e io ovviamente ho risposto ad ogni sua lettera. La situazione che lui mi raccontava era così diversa da quella che ci avevano detto! Vivere nelle Homeland non è semplicemente una distinzione geografica, era una distinzione politica, razziale e disumana! I neri non hanno diritti politici, sono vietati i matrimoni misti e ovviamente non possono ricoprire nessuna carica pubblica! E Mbodji se ne era andato a vivere proprio lì, nella tana del lupo!
In questi ultimi tempi le lettere di Mbodji si sono fatte sempre più rade (anche se ora mi chiedo in che modo sia mai riuscito a spedirmele), fino a quando ho appreso due giorni fa di sfuggita la notizia della strage di Sharpeville, nella quale sessantanove neri sono stati uccisi mentre protestavano pacificamente. Con il cuore in gola e un triste presentimento ho atteso altre notizie che specificassero l'identità almeno di qualche persona, che chiarissero i motivi di una reazione tanto brutale da parte dei militari, ma inutilmente. Verso sera però ho ricevuto una chiamata da una voce femminile che eroicamente tentava di trattenere il pianto. Era la sorella di Mbodji che mi avvisava gentilmente che suo fratello era uno dei neri ucciso dal fuoco dei bianchi, mentre con altre persone manifestava pacificamente contro la discriminazione razziale di cui erano vittime i neri, i diversi nel Sudafrica.
Cosa dire di più? Ho perso un amico, un fratello, il cui unico peccato era quello di essere nero. In un batter d'occhi, in un lampo di sparo, è caduto; l'attimo è passato e la vita si è recisa...


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010