da Senofonte
Alcibiade, non ancora di venti anni, chiese: "Dimmi, o Pericle, potresti insegnarmi che cos'è la legge?"
"Non desideri davvero una cosa difficile Alcibiade se vuoi conoscere la natura della legge. Ebbene, sono leggi, in generale, quelle prescrizioni che il popolo riunito propone, dopo averle approvate, determinando quanto si deve o non si deve fare".
"Poiché insieme sorte c'è toccata
che ognuno esprima forte la sua idea. Non io certo potrò giudicarla,
le leggi si formeranno col volere del Popolo.
e ora dunque, se forti e giusti come dite di essere, ed io certo in questo credo
esprimetevi nella vostra magnificenza in leggi oneste e buone
che sappiano unire la vedova al fanciullo
e che possano farvi ottenere il giusto compenso,
perché sarà l'approvazione se dimostrazione di cuore e di magnanimità
saprete dare alla gente".
Così disse e l'assemblea tutta in giubilo ridente restava, fin quando, ammaliato dalle soavi parole del capo, un giovane di bell'aspetto che in quella orazione, come gli altri del resto, non aveva scorto una captatio benevolentiae, così cominciò, senza indugiare:
"Certo io credo, che giusta sia la nostra decisione,
per questo vi dico, la legge qui insieme scriviamo
e ora, una volta per tutte,
le nostre membra diverse e amiche rendiamo
così migliore di certo sarà la nostra esistenza qua" (non fate caso alla rima, sic)
Ma impetuoso e deciso rispose a lui il primo
"Noi forse dovremmo, tu questo ci dici,
tutti quanti pensare e scrivere, su di una tavoletta,
le nostre innumerevoli richieste e decisioni?
E forse noi dovremmo, il cielo ce ne scampi!,
trovare un punto comune di ognuna di queste e tradurle in obblighi e doveri e divieti
a fine di pubblica utilità?
Come può la tua arroganza vile e ingiusta credere che tra tutti questi
nobili uomini non ci siano sufficienti idee per rimanere su codeste panche una vita intera?
o forse tu credi, complice con qualcuno, di poter ammaliare gli altri
imponendo la tua sola parola e prevaricarla su quelle, certo ancor più nobili, degli altri?
Allora tu indubbiamente insulti il popolo e non credi nella sua totale uguaglianza con le figure di rilievo
anzi, più diritti ha il popolo stesso di chiunque altro, la sua parola è la Decisione stessa.
Ma se tu questo ignori, credendoli stolti e sprovveduti, tanto da affidare a te le sorti del loro destino ti sbagli, perché hai trovato dinanzi chi ha intenzione di proteggerli e di consigliarli.
Gente, questo io vi dico. Avete udito le parole di quel balordo
e ora il nostro tempo non perdiamo con lui
che tanto verrà allontanato e punito dagli dei, che dall'alto ci scrutano immortali.
Poiché io credo nella vostra lungimiranza
e so, al contrario di quello scriteriato,
che tanti mestieri a casa con le mogli
e pei campi dovete compiere
io certo questo rammento
è per ciò che vi propongo di affidare a me
la scrittura delle leggi, che possano proteggerci da tali scellerati!".
"E se il tiranno che domina la città propone ai cittadini quanto bisogna fare, anche questo è legge?".
"Sì, tutto quanto propone il tiranno, signore della città, si chiama legge".
"E la violenza", chiese Alcibiade, "e l'illegalità, che cos' è, Pericle? Non è forse quando il superiore, senza persuadere l'inferiore, ma facendogli forza, lo costringe ad agire secondo che a lui piace?".
"Mi pare", disse Pericle.
"E tutto quel che il tiranno fa compiere ai cittadini con le leggi che propone e non per forza di persuasione, non è illegalità?".
"Certo" disse Pericle "e ritiro che sia legge quanto il tiranno propone, senza persuadere".
Dopo la lunga arringa di risposta si sedette e osservò l'assemblea. La gente rimase ammutolita per qualche minuto, dopodiché affidarono a lui la trascrizione di ogni legge. Avrebbe potuto scrivere qualsiasi cosa, importante non era la sua equità o meno, ma convincere le gente di avere un assoluto bisogno di quelle leggi giuste o ingiuste.
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