Melissa P. Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire
Sentivo il solito mormorio della televisione provenire dal salotto. Era una di quelle domeniche in cui sembra che il tempo non voglia più passare, ma ad un tratto quel mormorio cominciò a diventarmi più chiaro e sentii un programma televisivo trattare di uno strano libro. Pareva che stessero discutendo un film porno più che un libro, tanto che l'autrice fu accusata di non averlo scritto per mano sua (si sosteneva che fosse troppo preciso e ricco per le esperienze che poteva avere una ragazza di quell'età). Infatti, rimasi scioccata quando capii che l'oggetto dello scandalo era nato dalla penna di una diciassettenne, ma nonostante le svariate note negative concentrate per lo più sulla parte sessuale, decisi che quel libro dovevo leggerlo. Quella ragazza, quei suoi occhi, mi trasmetteva serenità; nulla di quello che i grandi opinionisti dissero in quella situazione aveva potuto farle perdere anche un minimo di quella sua soddisfazione, la stessa che per tutto il tempo le era rimasta scritta sul volto.
Perché aver scritto un libro che stava ricevendo tante critiche la riempiva comunque di orgoglio? Come faceva a soli diciassette anni a restare così lucida di fronte a tutte quelle accuse? Perché avrebbe dovuto esporsi a tal punto da scrivere un libro se le cose di cui questo tratta, che a detta di molti sono vergognose, non fossero state vere? Queste domande richiedevano assolutamente una risposta. Dopo una vera e propria caccia al libro, lo trovai e mi gettai subito in una profonda lettura.
Per la protagonista e autrice tutto nasce dalla sua prima volta, quando capisce (o si illude di capire) che gli uomini non vogliono conoscere il profondo di una donna, non sono capaci di amare ignorando il corpo. Per questo lo concede a chiunque lo chieda, per questo si dà sperando che qualcuno, guardandola negli occhi, si accorga della sua sete d'amore.
Piacere, voglia di fare l'amore, delusione e inadeguatezza, sesso, ricerca dell'amore, ancora sesso, ma alla fine amore, quello tanto desiderato che l'aveva fatta cadere in un vortice di solitudine e di indifferenza verso se stessa.
La sera dello stesso giorno in cui comprai il libro l'avevo già finito. Nel cuore mi era rimasto un senso di dolce malinconia. Quel libro mi aveva conquistata perché era riuscito a farmi vivere: avevo sofferto e desiderato, ero disgustata e affascinata, avevo odiato la vita e avevo amato. Non so perché ma ho provato invidia per quella ragazza, forse perché Lei (che non posso chiamare in nessun modo se non Lei) era riuscita ad assaporare i mille gusti dell'esistenza, aveva colto ogni sfumatura del mondo, riuscendo così ad apprezzarne tutti i più piccoli piaceri.
Anch'io le sentivo. Sentivo le mani dei suoi mille uomini scivolare su di me come scivolavano sul suo corpo solo, lasciando quell'odore di sporco e di estraneo che non si lavava mai. E il disprezzo per se stessa cresceva, ma la convinzione che solo così poteva essere apprezzata era più grande. Sentivo la sua solitudine e la severità con cui si giudicava. Solo quando la sera Lei si pettinava e si sedeva davanti allo specchio per togliersi quella maschera di trucco che la nascondeva dalla sua anima, provavo un senso di sollievo che mi faceva sperare in un futuro migliore. Il suo pettinarsi i capelli e lavarsi il viso mi faceva capire come Lei odiasse quelle mani straniere e quell'odore indelebile che come coltelli affilati le trafiggevano il cuore e che in quel modo cercava di togliersi di dosso. La mia sofferenza cresceva, ma era avvolta da un velo di speranza che mi proteggeva. Sì, mi proteggeva, perché frenava l'istinto che avevano le mie mani di chiudere quel libro, così duro e indifferente da fare paura.
Più andavo avanti a leggere più il timore diventava protagonista: Lei era sua schiava. La paura della solitudine, la paura di non trovare mai qualcuno che fosse capace di amarla, la paura che se un giorno avesse smesso di soddisfare i desideri sessuali degli uomini si sarebbe ritrovata sola, sopprimeva i suoi sogni. Questa paura però mi arrivava sempre un po' sfocata. Quando leggevo, se trovavo brevi frasi o anche una sola parola che descrivevano la sua gioia, seppure momentanea, mi sembrava di vedere là, dietro quelle mille e mille parole, due grandi occhioni scuri che sorridevano alla vita, e tutte le pene sembravano svanire.
Ho provato odio verso la sua famiglia, fatta di silenzi e di fantasmi; l'ho disprezzata più che quelle mani. Non posso capire come una madre, o comunque una persona cara, non possa riuscire a leggere attraverso l'espressione di una figlia un dolore così intenso e così velato che distrugge piano piano ogni illusione. Padre a parte, che dall'inizio del libro dimostra chiara indifferenza alla vita della figlia, l'orrore più grande l'ho provato verso l'atteggiamento apparentemente interessato della madre di Lei, che con domande superficiali riguardo le giornate dalla figlia, crede di essere presente nella sua vita, non accorgendosi dei gravi problemi che Lei stava affrontando. Può sembrare un controsenso, ma mentre la situazione di quella ragazza mi provocava sdegno nei confronti di una famiglia così assente, ero sollevata perché avevo capito quanto sono fortunata ad avere una famiglia che mi fa sì cadere, ma che al momento giusto sa tendermi una mano e aiutarmi a risalire. Forse a Lei quell'aiuto è mancato, forse se fosse stata protetta da quel solo scudo che è la famiglia, avrebbe capito prima che cosa è amare ed essere amata.
L'indifferenza della famiglia ha messo in luce la sua doppia vita: riusciva infatti ad essere due persone diverse in casa, quando era così tranquilla da non far nascere nella madre alcun dubbio sul suo atteggiamento, e nella vita lontano da casa, dentro e fuori dai letti di quei troppi uomini che l'avevano toccata. Questo mi disorientava, Lei mi trasmetteva il suo lato oscuro, mi faceva dubitare delle sue intenzioni, facendomi riflettere su di me e sulle persone che mi stanno accanto e pensavo che chiunque può essere due persone, ma io non me ne sarei mai accorta. Mi sentivo smarrita quando leggevo quelle righe e sentivo scivolare via ogni certezza che fino ad allora la vita poteva avermi dato.
Ma poi il lieto fine arriva, e uno sguardo riesce a salvarla. Melissa è salva. Finalmente è riuscita a trovare quell'uomo che guardandola negli occhi, si è accorto della sua sete d'amore, e come un'oasi nel deserto, è apparso ed è riuscito a dissetarla. Mi accorgo solo ora che è la prima volta che parlo di Melissa chiamandola per nome, tutte le altre volte l'avevo chiamata soltanto Lei, usavo un semplice pronome personale, generico. Forse credevo che quel nome, Melissa, meritasse molto di più che qualche mano lungo il corpo o una famiglia distante come la sua, e solo quando ha trovato la dignità verso sé stessa, il vero amore, la vera essenza della vita, allora potevo urlare al mondo che Melissa esiste e crede nella vita e nell'amore.
Quando finii di leggerlo capii; capii ogni cosa. Tutto nel libro ruotava intorno a quella affannosa ricerca dell'amore, non al sesso come molti credono: quello è solo la conseguenza di un suo bisogno, di una sua delusione (c'è chi si butta nella droga e chi nel sesso). Infatti, la stessa spensieratezza, la stessa luce negli occhi che vidi quel giorno alla TV, li avevo rivisti fra le pagine finali di quel libro: era fiera e soddisfatta di aver trovato l'amore e la certezza della felicità e niente e nessuno poteva distoglierla da questo suo felice pensiero e da questa sua immensa fierezza.
"Ho concluso il mio viaggio dentro il bosco, sono riuscita a scappare dalla torre dell'orco, dalle grinfie dell'angelo tentatore e dei suoi diavoli. E sono finita nel castello del principe arabo, che mi ha attesa seduto su un cuscino soffice e vellutato. Mi ha fatta spogliare dalle mie vesti logore e mi ha dato abiti da principessa. Ha chiamato le ancelle e mi ha fatto pettinare, poi mi ha baciato sulla fronte e mi ha detto che mi avrebbe osservata mentre dormivo. Poi, una notte, abbiamo fatto l'amore e quando sono tornata a casa ho visto i miei capelli ancora lucenti e il trucco intatto. Una principessa, come dice sempre mia madre, così bella che anche i sogni vogliono rubarla".
Quest'ultimo paragrafo del libro mi ha commosso. Credo che sia l'unico senso del libro: l'amore è per lei l'unica salvezza; e quando l'ha trovato è stato come vivere un sogno; non si vergognava più di guardarsi allo specchio perché il suo viso riflesso non erano più il ricordo di qualcosa di sporco e di estraneo a lei, ma il luccichio dei capelli e il trucco dietro al quale non cercava più di nascondersi specchiava solo ciò che di più bello la vita le aveva regalato.
Il suo desiderio di afferrare quel sentimento che è l'amore, imprendibile, sfuggente. L'illusione di trovarlo in molti letti, in molti corpi. L'ingenuità, la segretezza, il dolore, l'umiliazione. Tutta la sofferenza che aveva caratterizzato la sua vita, era svanita con uno sguardo, l'unico che poteva salvarla: era quello dell'amore.
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