Condannata a causa della troppa sofferenza
Troppe poche volte ho pensato che tutto ciò che gli autori hanno sempre scritto: romanzi, testi di canzoni, opere teatrali, sceneggiature cinematografiche... sia stato ispirato dalla vita reale, quella che ci passa sotto gli occhi tutti i giorni.
Ultimamente però mi sono resa conto di come questa possa condizionare il nostro modo di dare giudizi, di pensare, di dare opinioni. Ho sempre considerato il mondo del cinema in particolare e tutto che esso produceva come qualcosa di lontano dalla vita quotidiana, dalla mia realtà. I soggetti e le tematiche trattati, i finali banali e scontati, quelle storie a volte tanto tragiche, a volte tanto piene di gioia da essere considerate da una persona comune banalmente delle storielle.
C'è stato un film però che mi ha fatto riflettere riguardo al fatto che l'unica cosa banale era il modo di giudicare quello che vedevo, il mio modo affrettato di considerare i fatti ritenendoli troppo estremizzati per poter essere reali.
La verità è che qualsiasi regista ha attinto dall'esperienza, anche solo da un'idea che ha avuto magari mentre leggeva il giornale, per produrre un film. Ho capito che se quello che mi mostrano non è mai capitato a me non è detto che sia per forza ridicolo o inverosimile.
Questo film che mi ha indotta a ricredermi è "Monster", sinceramente non conosco il regista, so solo che la protagonista è una fantastica Charlize Teron, premiata con l'Oscar come miglior attrice protagonista nel 2004 e Cristina Sofia Ricci è l'attrice non protagonista, molto brava anche lei devo dire.
Tutto il merito di questa mia maturazione però non va solo al film, importante è la mia lettura precedente di un libro intitolato "Serial killer, storie di ossessione omicida", scritto da Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi, che raccogli varie storie di pluriomicidi. Leggendo tra queste pagine ho avuto l'occasione di conoscere la storia di questa donna: Aileen Carol Wuornos, una vita tragica, caratterizzata da tanta sofferenza cominciata da quando era bambina e portata avanti fino a martedì 9 ottobre 2002, alle nove e quarantasette della mattina quando viene uccisa con un'iniezione letale.
Credo che non sia possibile descrivere ciò che ho provato parlando solo del film o solo del libro poiché i due si compensano. So per certo che senza aver le prove concrete, trovate nel testo, che ciò che stavo vedendo era successo, che potesse esistere tanta tristezza, rabbia, angoscia, paura in una persona sola, non avrei mai pensato fosse vero. Tutto ciò era troppo lontano da me, dal mio mondo. Consideravo già grande la mia sofferenza o la mia rabbia per le piccole cose, che superficialmente non riuscivo a capire quello che potesse avvenire all'infuori di questa mia campana di vetro.
Durante la visione del film la mia mente era confusa, non riuscivo a dare giudizi razionali, erano troppe le emozioni che si affollavano nella mia testa.
Incredibile era la capacità dell'attrice di rendere così bene la finta indifferenza che regnava nella vita di Aileen, che mostrava mentre uccideva le sue vittime, mentre tentava di cancellare il suo passato insieme alla vita degli uomini che aveva tra le mani.
Non ero obiettiva, come non riesco ad esserlo tuttora ripensando a lei, perché giudico sempre più negativamente quella che dovrebbe essere la giustizia che l'ha condannata a morte solo come una spietata assassina. Io continuo a ricordare una persona che ha sofferto tanto, che andava arrestata certo, ma ascoltata, aiutata, una donna con tanti problemi, molto più grandi di lei da non riuscire a controllarli. Continuo a considerarla un essere umano con un cuore, dal momento che è riuscita a farsi amare da un'altra persona a cui donava tutto l'affetto di cui era capace.
Non credo che quello che ho provato io osservando il film si possa capire senza aver letto la storia della donna per intero. In esso infatti non viene affrontato molto profondamente il tema della sua infanzia, determinante per capire la sua storia, il suo atteggiamento verso la vita e verso tutte le situazioni che si trovava di fronte. Si rischia di considerarla così come ha fatto il governo americano: una donna senza scrupoli. Sarebbe l'errore che ho sempre fatto io: cadere nella superficialità di uno spettatore banale con un po' di voglia di guardare un thriller.
Questo film non è un semplice giallo. Non è neanche un racconto sulla storia di un'omicida. Dal mio punto di vista è uno spunto per riflettere su tantissime tematiche, la vita di questa persona tratta talmente tanti argomenti tutti insieme che è veramente difficile scindere le mille emozioni che colpiscono lo spettatore.
Mi è risultato inevitabile sentirmi amareggiata e in parte anche arrabbiata alla fine del film, conoscendo la sorte a cui la donna era destinata, probabilmente conoscendola già il mio sentimento pietoso nei suoi confronti cresceva durante tutto lo svolgimento del film.
Nel frattempo ripensavo anche a quale sarebbe stata la reazione che l'avrebbe aiutata di più. Non credo possa essere né la cattiveria e la superficialità nel valutare i fatti che il tribunale ha avuto, ma tantomeno la pietà che provo io nei suoi confronti.
Ripassando tutte queste mie emozioni mi chiedo se la realtà attraverso il film non sia stata distorta ai miei occhi che mi mostrano solo una donna afflitta e non una serial killer, ma non riesco a non criticare il pluriomicida più grande: lo stato, che al pari di lei si è preso il diritto di togliere a delle persone un dono enorme quale quello di vivere.
Riflettendo in maniera lucida credo che l'elemento più utile ai fini del mio ragionamento e che ha sviluppato così tanto i miei sentimenti sia stata la bravura, oltre che dell'attrice, anche degli scrittori del libro. Entrambi infatti hanno saputo trasmettere in maniera perfetta la vita di Aileen, senza dare giudizi o commenti, né negativi, né positivi. Essi si sono attenuti ai fatti, anche se nonostante ciò si può leggere un sottile sarcasmo amaro nel valutare la pena afflitta ad una persona sicuramente disturbata e angosciata.
Nel 2002, dopo l'inizio dei vari appelli, Aileen scrive una lettera alla corte suprema: "Sono una che odia seriamente la vita umana e vorrei uccidere ancora".
Quello che mi chiedo io è come possa una persona odiare tanto la vita, quanta sofferenza deve aver provato e come degli altri esseri umani, a mente fredda, possano ritenersi "giusti" applicando ciò per cui la condannano.
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