Film, romanzo: "Io non ho paura" G. Salvatores; N. Ammaniti
Io non ho paura. Questa frase è sicuramente una delle più dette quando si è piccoli, per dimostrare agli altri che non siamo inferiori a nessuno, mentre si gioca al buio a "nascondino" o di fronte ad un pericolo maggiore come un salto piuttosto lungo per superare un fossato, ed è anche il titolo di un film di Gabriele Salvatores di qualche anno fa. Questo film, tratto dal libro di Niccolò Ammaniti, scritto nel 2001, è senza dubbio uno tra i pochi che è riuscito a farmi emozionare ed a coinvolgermi particolarmente pur non avendo una trama misteriosa e ricca di effetti speciali. Tutte due le opere, sia quella cinematografica che quella letteraria, sono riuscite a trasmettermi dei messaggi importanti ma anche molto diversi tra loro, pur trattando la stessa storia. Il romanzo di Ammaniti mi ha fatto pensare per vari motivi; la vicenda si basa sul racconto di un uomo, il narratore nonché protagonista, che ricorda una sua avventura capitatagli all'età di nove anni, negli sperduti campi di una regione del sud, che non viene mai nominata ma che ricorda molto la Sicilia per la descrizione del paesaggio. Michele Amitrano scopre un buco nel terreno in cui viene custodito un bambino della sua età, rapito dai genitori di Michele e dalle altre famiglie di Acqua Traverse. Michele in un primo momento lo crede morto, ma in seguito diverrà per lui un amico segreto e misterioso nella monotona vita di campagna. Tutto il romanzo si basa principalmente sul rapporto dei due bambini, e sulla sua liberazione, sulla fuga dai genitori per salvarlo dalla morte e sul rapporto del protagonista con la famiglia e i suoi pochi amici.
Gli amici appunto sono uno degli elementi che mi hanno fatto riflettere, il rapporto di Michele con loro, si basa, come quello di tutti i bambini, sul gioco, sui segreti e sulla voglia di mettersi in mostra per non essere da meno degli altri. Michele però, è un bambino diverso, sembra quasi più grande dei suoi coetanei, infatti spesso trova noiosa una partita di calcio in cui è costretto a fare il portiere, e, con un atto molto coraggioso certo non da bambino di nove anni, decide di fare lui la penitenza quando non gli tocca, piuttosto che permettere ad un'amica di far vedere la "fessa" in quanto avrebbe sofferto senz'altro più di lui nel compiere la penitenza. Questo rapporto mi ricorda tanto la semplicità della vita infantile, senza preoccupazioni o timori, in cui conta vivere alla giornata senza fare grandi progetti per il domani. L'episodio che mi ha colpito perché mi ha fatto riflettere sulla incapacità dei bambini di riflettere sulle conseguenze dei loro gesti pur di ottenere ciò che piace, è stato quello in cui il protagonista decide di rivelare il suo segreto al suo migliore amico, per giocare con un'automobilina, il quale a sua volta, pur avendo giurato di mantenere il segreto, rivela tutto ad un adulto che in cambio gli avrebbe fatto provare a guidare un''automobile. Dopo un momento di odio tra i due bambini però la questione si è risolta grazie al regalo di una macchinina da parte del bambino "traditore" a Michele. Questo episodio sta a significare che i bambini non sanno valutare l'importanza dei grandi segreti degli adulti anche se al momento sembrano eccitanti dando più importanza a ciò che ottengono in cambio rivelandoli salvo poi pentirsi. Nel racconto proprio "la vergogna di aver sbagliato" mi sembra spinga il protagonista ad affrontare il rischio dir liberare il ragazzo in pericolo di vita.
Un altro aspetto interessante è quello dell'ignoranza. L'autore è riuscito a metter in evidenza, la differenza di cultura tra i due bambini, Michele e quello sottoterra Filippo, che provengono da due mondi completamente differenti. Michele vive in una specie di villaggio, isolato dal resto del mondo da vastissimi campi di grano, composto da quattro case e nient'altro. Filippo invece è un bambino molto ben istruito proveniente da una ricca famiglia di Pavia. La prima differenza si nota quando Filippo dice a Michele di aver sentito il fischio di orsetti lavatori vicino a lui; Michele non essendo a conoscenza dell'esistenza di questo animale, non prende seriamente le parole del bambino, e chiede al padre se sa cosa sono, ma anche il padre come il resto della famiglia non ne è a conoscenza. Un altro episodio che conferma la situazione di povertà, ignoranza e miseria del posto in cui vive Michele si nota quando il protagonista domanda a Filippo se la città da cui proviene, Pavia, si trova in Italia. L'ultimo e forse più evidente segno del livello culturale di Michele si nota quando il padre lo minaccia di fare il bravo , altrimenti gli zingari l'avrebbero rapito. Michele però non sapendo chi, o cosa siano gli zingari, si immagina dei piccoli nani malefici che fanno del male alla gente.
Un altro aspetto interessante è quello riguardante la famiglia, e i rapporti umani tra gli adulti. Nell'opera gli adulti, hanno quasi una doppia vita, infatti davanti a ai figli sono sempre gentili, premurosi e severi quanto basta, mentre tra di loro sembrano delle persone egoiste che vogliono prevalere sugli altri per fare una figura più che decorosa davanti colui che ha rapito il bambino, l'uomo del nord, interpretato da Diego Abatantuono. Nelle loro riunioni private, tutti si sentono delle persone furbe, intelligenti e potenti e vogliono sempre aver ragione, non considerando forse l'aspetto più importante che li penalizza maggiormente, quello di essere persone poco consapevoli di come gira il mondo, a causa della loro vita sedentaria e monotona nel bel mezzo della campagna. Questa differenza si nota soprattutto nei dialoghi con l'uomo del nord, il quale già non è una persona molto istruita ma è comunque nettamente più a conoscenza su come affrontare una situazione del tutto particolare come un rapimento. Infatti tutti gli adulti alla fine sono burlati da un bambino sognatore di nove anni che, con la sua sete di conoscenza e la sua voglia di scappare da un mondo a parte, riesce a liberare il bambino da solo ed a incastrare tutti gli adulti.
Anche il rapporto tra Michele e la famiglia è molto strano, infatti il protagonista sembra molto attaccato alla madre mentre invece prova una quasi indifferenza nei confronti del padre, forse a causa delle sue lunghe assenze di lavoro in giro per l'Italia. Questo scarso rapporto tra i due forse è il motivo per cui Michele riesce a salvare il bambino; infatti la sua disobbedienza, e la sua forza interiore riescono a farlo andare oltre i sentimenti e lo portano a compiere una missione impossibile come quella di liberare Michele, a costo di non vedere più i genitori.
Insomma questa opera, sia quella di Ammaniti, sia quella di Salvatores, mi hanno fatto vedere la vita in un modo differente, infatti credo che la volontà di compiere un bel gesto che può aiutare un'altra persona a star bene, o in questo caso a sopravvivere vada oltre ogni sentimento, anche a costo di rimetterci qualcosa noi, come l'allontanamento momentaneo dei genitori, perché credo che la soddisfazione finale dopo aver aiutato qualcuno non possa essere paragonata a nessun altra.
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