Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
8ª edizione - (2005)

Nella dimora del vento (da "The Waste Land" di Thomas S. Eliot)

I. Città irreale

Il sole e i suoi raggi entrano flebili nella stanza,
fendono l'opaco grigiore dell'alba umida di pioggia;
lui sta, ora, in piedi, affacciato alla grande finestra
e l'immenso spazio si apre agli occhi -
assopito e deserto, estraneo.
La notte e la carezza dell'oppio lo tennero al riparo dalla luce,
lo coprirono con un manto lieve, lo cullarono nell'oblio:
lui voleva, cercava la dimenticanza.

Un beau ciel d'automne si staglia innanzi al suo sguardo:
i binari dei treni corrono come cavi elettrici attraverso la città
e le torri svettano, là ad occidente: vestigia di civiltà sepolte.
Il limitare di una qualsiasi metropoli:
Londra, Parigi, Berlino.

E compie i gesti meccanici, con le lunghe dita nervose,
i gesti consueti di ogni giorno; si siede al tavolo, fissa
un punto inesistente. Il vuoto della stanza lo attraversa.
Ma non è ancora inverno, quando fuggirà al Sud.

Moltitudine, una moltitudine fluiva per le strade e già il suo viso si confonde
con gli altri, già ne ho perso le tracce, già dimentico quel viso familiare.
Moltitudine, moltitudine.

E nemmeno più il respiro potevo udire, né incrociare i loro sguardi -
e la nebbia era troppo fitta per poter udire il suono del loro passo.
Quelle tenui figure si dissolvevano man mano nella grigia foschia.

Moltitudine, moltitudine,

Perdu dans les soleils mouillés
De ces ciels brouillés

II. Il mercante di Smirne

Sotto la nebbia scura di un'alba d'inverno,
impaziente l'attendeva.
Sentiva il desiderio bruciargli gli occhi e la gola,
si aggirava per le piccole stanze,
mentre la città (irreale) pulsava di morte poco oltre la sua vista -
ostile eppure indifferente

...i suoi abitanti si abbandonano a danze sfrenate,
ritmate dal silenzio delle sparatorie...

Ancora, ancora l'attendeva. Le nove...
Ecco, ora è arrivata: l'attesa è finita. La città muore, là fuori, annegata
nelle nubi, sprofondata nei secoli, soffocata dalle sabbie. Nemmeno la cattedrale,
le sue guglie e i suoi demoni, che straziano e artigliano il cielo, resteranno più.
Solo vibrazioni, che neppure io avvertirò più, sempre più deboli, sempre più lontane...

...e poi più nulla.

L'immagine di lei si sovrappone ad un'altra, si sfoca e si restringe e il foulard
intorno al collo è un velo davanti al suo sguardo e solo sentendo la vita in lei,
solo sentendola, riesce a vederla, a riconoscere il viso che tanto sognava e voleva.
E sempre più per poterla ricordare, sempre più per potersene ricordare e
ricordarsi di sé.

China, il viso fra le braccia, il pianto della notte non si è ancora asciugato;
fuori la campagna dormiva, avvolta dal freddo del mattino; i campi incolti,
immense distese di terra scura, e i prati e i boschi e il fiume
esalano l'odore dell'autunno. Tutto è avvolto da una quiete irreale.
Lei aspetta, aspetta di vederlo passare, aspetta che si fermi al cancello,
la porti via, la porti con sé.

Ma lui è vecchio, malato, non può fare nulla per lei, così diceva sua madre,
non può essere lui.
E quando, l'ultima sera, mentre ancora erano insieme, d'improvviso,
senza nemmeno accorgersene, lui era morto, la notte e il silenzio
avvolgevano la casa isolata e non serviva gridare o piangere,
non serviva aiutarlo o guardarlo ancora.
"Te l'avevo detto", così disse sua madre, quando lei tornò, quella sera.
Sì, te l'avevo detto, sapevo come sarebbe andata.
Lei,
vecchia avvizzita,
osservò la scena e predisse il resto.

III. La chiave e la prigione

La strada di terra battuta si inerpica sulla costa,
di fronte il fiume circondato dai cipressi,
a sinistra l'argine che digrada fra i prati
e piega a destra verso un boschetto:
lì, il cimitero e il mausoleo.
Le foglie e l'odore dell'erba avvolgono ogni cosa,
il sole penetra appena nell'umida frescura del pomeriggio,
che sembra farsi viva e presente -
tangibile.
Una brezza leggera muove le nostre vesti,
instabili
e i passi sembrano affondare nell'erba umida,
che ne copre e attutisce il suono.
E senza fretta raggiungiamo la collina che guarda ad Oriente
e l'aria tersa allarga l'orizzonte
fino alle montagne, lontane,
che improvvise si stagliano di fronte a noi.
Il vento porta mille sussurri passando fra i rami
e si può sedere e ascoltare
il canto dell'erba e delle lapidi.

Tu, uomo, che tanto saggio sei non vali e nulla varranno
i tuoi affanni e le pene,
le battaglie e le imprese,
i desideri e i pensieri
e l'eterno transito delle immagini che vedi intorno, nulla varranno.
E di te non resterà memoria, ma oblio
non tributi o allori.
Oblio.
La fortezza sta per cadere, ora, dopo millenni;
non erano le orde dei tartari a minacciarla
o le armate turche alle porte di Costantinopoli.
Né le gesta o i dolori resteranno di te -
tu che nel mondo vivesti con la carne e col sangue
e del sangue sporcasti il terreno
dopo le gioie, gli affanni, le pene.
Oblio.

Ma volgendo il viso tra le fronde -
ascoltando il respiro
e trattenendo il calore dentro di sé
dimenticò le grida e i sussurri.
Ora, per la prima volta, tutto era scomparso;
e avvertiva il cielo e la terra intorno a sé,
l'aria e il tramonto rossastro.
Li sentiva
in sé.
Sentiva
sé.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010