Quelli che ben pensano
Avrei potuto trattare centinaia di argomenti differenti, forse più interessanti o che fanno più tendenza, quelli sui quali i media ricamano soprattutto in questo periodo nel quale l'umanità intera è sconvolta da tragici eventi come la scomparsa di Papa Giovanni Paolo II, ma attraverso questo saggio voglio dare l'opportunità a coloro i quali lo leggeranno, di provare a capire noi giovani d'oggi, l'incolmabile solitudine che ci assale e la paura di sbagliare nelle nostre scelte.
Spesso, troppo spesso, con parole leggere e superficiali persone che hanno ormai dimenticato cosa significhi essere giovani, ci giudicano scansafatiche, o più semplicemente incapaci di vivere. Quante volte ho letto articoli di importanti personaggi che ci accusano di essere una generazione di perdenti, quasi di falliti già a priori!
Prescindendo dal fatto che sia davvero seccata da questo, tengo a sottolineare che quanto sostenuto dagli esperti è vero solo in piccola parte.
Credo che i giovani d'oggi, in realtà, ardano di passioni, ma il problema di realizzare i propri sogni è situato nella paura di soffrire ed in quel grande senso di solitudine che rosicchia lentamente, giorno dopo giorno, ogni singolo centimetro quadrato del nostro essere, come fosse l'alieno (il famoso alieno di cui parla Oriana Fallaci) che mano a mano distrugge, stermina la capacità di agire, o meglio reagire al convulso passare degli eventi, delle sensazioni, delle emozioni.
Si tratta di una solitudine dipendente totalmente dal non sentirsi mai integrati, nemmeno in un gruppo, legata al senso di trovarsi sempre e comunque nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Una solitudine da rapportare all'isterismo dei nostri anni, nei quali l'importante è correre, non fermarsi davanti a nulla poiché quello che ci è stato insegnato, in fondo, è che the show must go on e non c'è tempo per quello che senti, quello che provi, ma che soprattutto vorresti vivere.
Sono anni dove a nessuno importa chi sei e perché esisti:la cosa fondamentale è il tuo ruolo e in che modo esso può essere sfruttato, ma non certo per costruire qualcosa di positivo.
Nella logica di questo strano gioco, dove un uomo non è più essere pensante bensì macchinario da utilizzare da coloro i quali hanno un obiettivo da raggiungere (personaggi politici inclusi), la sola regola è esser scaltro, cercando a tutti i costi di schiacciare i propri simili mettendo da parte l'umanità e qualsiasi scorcio di sentimento.
L'imperativo è vincere, sostiene sarcasticamente uno dei tanti "uomini del rap italiano"dei nostri giorni e sono pienamente d'accordo con lui.
Non è certo la filosofia sulla quale vorrei fondare la mia esistenza, ma più mi guardo intorno e più sono costretta ad ammettere a me stessa che è così.
È una caramella troppo amara da masticare, una di quelle che ti lascia un sapore forte in bocca, talmente forte da provocare dentro una reazione rabbiosa, un urlo soffocato in gola, un ruggito potente, da pantera.
Ma ferita, incapace di agire per paura di rimanere scottata, per paura di perdere un'altra lotta nei confronti di se stessa e del branco di cui è parte.
Eccola trovata, finalmente, la metafora esatta per descrivere la mia generazione:non fallita, non perdente in partenza né fannullona;forse intimorita, da quanto ha intorno, dalla piega che il mondo intero sta prendendo, dove la soluzione più semplice sembrerebbe lasciare che tutto andasse de sé, a rotoli, secondo volontà divina.
Questo è il nostro errore:rimanere così arresi davanti a quanto sta accadendo, credere a priori che non esista soluzione e che anche se da qualche parte ci fosse, nessuno la prenderebbe in considerazione.
D'altra parte è quello che tutti gli adulti hanno tenuto a farci presente almeno una volta nella vita. . "ma sì, che ne capisci tu che sei nato ieri!".
Perché? Per quale motivo tutti tendono ad avvolgerci nell'ovatta?
Io voglio poter capire, agire, rischiare. Non voglio mi sia negata questa possibilità.
Non voglio rimanere passiva mentre chi comanda distrugge la realtà all'interno della quale devo vivere.
La paura è tanta, ma se non fossi convinta che l'uomo sia comunque una creatura dotata di pensiero anche se in alcuni casi abbastanza diffusi non sembrerebbe, probabilmente non avrei tutta questa voglia di non darmi per vinta nella strenua ricerca della bellezza della vita, della sua verità.
E come me tante tante altre persone capiscono l'importanza di ciò.
Ci sono momenti in cui mi sembra di soffocare, di morire nei dogmi che il circolo vizioso della società ha imposto, momenti in cui mi sento così sola e spaesata da non riconoscere nemmeno più me stessa, ma la mia intenzione è quella di dimostrare anche attraverso questo breve saggio che i giovani del mio tempo hanno voglia di fare, di cambiare, perché no di sbagliare, di esistere.
Abbiamo sete di ideali, di sogni da realizzare e di felicità.
Alcuni trovano questo tesoro nella fede, altri nel campo sociale, nell'arte.
Noi non siamo dei vinti, né vogliamo essere etichettati tali così gratuitamente.
Nell'era del massimo sviluppo della tecnologia, dei telefonini e delle play-station, non ho intenzione di essere travolta da ciò che mi circonda, bensì di esserne parte attiva e possibilmente provare a modificare quel che non funziona nella sua interezza.
Voglio poter amare la vita in tutti i suoi aspetti, senza dover essere continuamente essere giudicata da chi ha la superbia di credere di possedere il "sapere universale", senza dover sempre dimostrare a qualcuno quanto valgo, se non a me stessa.
Voglio poter essere libera di commettere i miei errori senza avere intorno giudici fittizi che provano ad impedirmi di soffrire, voglio poter vivere le mie esperienze, la mia vita senza dover essere sottoposta al commento del sistema che ti prende e t'introduce in un vertice dal quale non si esce.
Voglio, inoltre, avere il tempo di pensare, al quale ho sacrosanto diritto. Mi piacerebbe non perdere di vista gli elementi davvero importanti della mia vita, mi piacerebbe non dover sempre giustificare le mie scelte, in quanto sono libera, fautrice del mio destino, chiaramente portando profondo rispetto nei confronti dei miei simili.
Mi rendo conto, però, di avere troppe pretese e che spesso non si può ottenere tutto ciò che si desidera dalla propria vita, ma ho approfittato di quest'occasione per mostrare a voi che mi state leggendo che i giovani non sono morti.
La motivazione del nostro apparente disinteresse, di questo rimanere anonimi, sta anche nella mancata informazione, o meglio in un'informazione giostrata da coloro i quali traggono vantaggio dal prodotto diffuso.
Che futuro si profila, con queste premesse?
Che generazioni nasceranno con questo disastroso preludio?
In una realtà in cui tutto appare già deciso, tutto perfettamente calcolato, ma soprattutto progettabile da un'elite estremamente ristretta che ruolo possiamo giocare noi?
E che posizione investiranno i nostri figli?
Quanto gli sarà tolto?
Per quanto il male dell'oligarchia dovrà distruggere la comunità?
Per quanto ancora si dovrà subire l'effetto della solitudine, della paura di non farcela a raggiungere i propri obiettivi convinti che il miglioramento della vita non dipenda solo ed esclusivamente da noi ma dagli eventi che ci attorniano?
Con queste poche righe ho voluto evidenziare quanto i ragazzi della mia età che rappresento desiderino effettivamente costruire, poter fare e dire.
Di certo io non sono l'eccezione, anzi, m'identifico nella regola.
A volte basterebbe soltanto fermarsi ad ascoltare.
In conclusione ringrazio coloro i quali hanno offerto anche a me la possibilità di esprimere quanto credo attraverso una forma d'arte tanto importante quanto affascinante.
Inoltre ringrazio chi mi ha letto, ascoltato e quantomeno ha provato a capire con tutta la volontà possibile le idee di un'adolescente come altre che ama scrivere ed ha usufruito di questo mezzo per mostrare il proprio pensiero.
Ilaria.
Sono intorno a noi, in mezzo a noi in molti casi siamo noi a far promesse senza mantenerle mai,
se non per calcoli,
il fine è solo l'utile in mezzo all'impossibile
la posta in gioco è massima, l'imperativo è vincere
e non far partecipare nessun altro, nella logica del gioco la sola regola è esser scaltri
niente scrupoli o rispetto verso i propri simili
perché gli ultimi saranno ultimi se i primi sono irraggiungibili.
sono tanti, arroganti coi più deboli e zerbini coi potenti, sono replicanti,
sono tutti identici, guardali, stanno dietro a maschere e non li puoi distinguere.
come lucertole si arrampicano e se poi perdon la coda la ricomprano,
fanno quel che vogliono si sappia in giro fanno,
spendono, spandono e sono quel che hanno.
sono intorno a me, ma non parlano con me, sono come a me, ma si sentono meglio.
come le supposte abitano in blister full optional con cani oltre i 110 decibel
e 6 nani manco fosse Disneyland.
Vivon col timore di poter sembrare poveri,
quel che hanno stentano e tutto il resto invidiano, poi lo comprano,
in continua escalation col vicino costruiscono: parton dal pratino e vanno fino al cielo,
han più parabole sul tetto che S. Marco nel Vangelo
e sono quelli che di sabato lavano automobili che alla sera sfrecciano tra l'asfalto,
medi come i ceti cui appartengono,
terra terra come i missili cui assomigliano.
tiratissimi, s'infarinano, s'alcoolizzano e poi s'impastano su un albero,
nasi bianchi come "fruit of the loom" che diventano più rossi di un livello di dumm.
ognun per sé e Dio per sé,
mani che si stringono tra i banchi delle chiese alla domenica,
mani ipocrite, mani che fan cose che non si raccontano altrimenti le altre mani chissà cosa pensano,
si scandalizzano,
mani che poi firman petizioni per lo sgombero,
mani lisce come olio di ricino, mani che brandiscon manganelli, che farciscono gioielli,
che si alzano alle spalle dei fratelli,
quelli che di notte non si può girare più, quelli che vanno a mignotte mentre i figli guardan la tv
che fanno i boss, che compran class
che son sofisticati da chiamare i n. a. s.
incubi di plastica, che vorrebbero dar fuoco ad ogni zingara,
ma l'unica che accendono è quella che dà loro l'elemosina ogni sera,
quando mi nascondo sulla faccia oscura della loro luna nera.
sono intorno a me, ma non parlano con me, sono come me, ma si sentono meglio.
(dalla canzone Quelli che ben pensano di Frankie HI Nrg)
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