Pioggia mentale dalle vergini di Klimt
Leggere, scrutare ed ascoltare credo siano il privilegio del minuzioso e raro spettatore dell'arte e, come ogni opportunità élitaria, da considerarsi un vanto, un broccato in una corte di stracci.
Se con ampie ali d'albatro il lettore rotola sulle frasi, si sporca di acquarelli nelle vesti di osservatore, tenta d' imprimere in sé una pellicola e, nudo uditore, cede stanco il passo al piede della musica , è perché ha accettato un patto segreto con l'autore.
È questo il surreale piacere dell'assistere all'arte, poiché in qualsiasi forma si esprima, essa crea nuovi piccoli universi vibranti che sfilano su equilibri fantastici ma paradossalmente stabili. Molto più stabili della precarietà razionale. È lì, lungo quei sottili gomitoli che piano si srotolano, che bisogna abbandonarsi a quel patto dal silenzio implicito e credere, credere che sia vero, senza pretendere dimostrazioni: i nuovi reami che l'arte fiorisce e sfiorisce sono verità indimostrabili. Finzione letteraria. Interpretazione pittorica. Immedesimazione acritica. Karma uditivo.
In ogni caso si scala il pendio della menzogna, poiché il mondo surreale dell'arte è questo: fili di machiavellica menzogna.
Io sono minuzioso e raro spettatore dell'arte. Sono ipocrita, nel senso greco e teatrale del termine, quando partecipo emotivamente alla trama di un libro bohémien, al racconto di un quadro cubista, quando credo e vivo i percorsi di un lungometraggio, la voce di un'opera per clavicembalo. Io, lettore della parola, lettore del suono, lettore dell'immagine e del movimento, apprendo dall'autore quell'istrionica arte di affidarsi totalmente alla bugia del sipario. Il sipario custodisce attimi che vivono solo nella complicità del pubblico.
"lettore...ipocrita
lettore, tu, mio simile, fratello!"
(Baudelaire - I fiori del male)
Mai ho adorato tanto essere ipocrita come nell'osservare i quadri di Gustav Klimt, un uomo che di sé diceva di valere solo in qualità di artista e che ordinava di guardare nei suoi quadri per soddisfare ogni curiosità sul suo conto.
Amo e mi soffermo sovente su Le vergini, in particolare.
Lattiginosi corpi di donna, giovani membra e volti incantevoli dormono fra gote rosate.
E a questo punto ha inizio la pioggia.
Sono morte quelle fanciulle. Sono state soffocate dai colori della vita che, come bolle concentriche e rotelle a spirale, le hanno travolte nel vortice (si tratta di rotelle esperte perché la mano di Klimt le ha tracciate, e sono il motivo più potente per ricorrenza nelle sue pitture).
Quelle fanciulle hanno davvero corpi incompleti, dilaniati dalla morte nelle loro parti mancanti, non è solo l'illusione data dalla sovrapposizione delle tinte: sono realmente incompleti come è incompleta l'innocenza di una donna.
Riposano, le fanciulle riposano, non sono morte. Si sono assopite dopo una corsa fra prati d'orizzonte, dai quali hanno trascinato, aggrappati alle loro caviglie sottili, stuoli di rilucenti corolle. Fra essi si sono adagiate esauste.
È un'unica fanciulla nelle 5 fasi del suo sonno.
No, sono 5 fanciulle distinte e si amano fra loro.
Klimt le chiama vergini.
Vergini proprio in virtù del loro reciproco amore infantile.
No, vergini ormai solo su quelle vergini palpebre mai dischiuse, sigillate da antico tempo su volti intonsi e freschi. Si, vergini solo lì, perché nascondono i loro corpi e solitamente, per natura umana, non si nasconde che la vergogna. Finte vergini dunque, vittime di una rigida e artificiosa morale, che hanno trovato rifugio fra le sfumature di una natura remota e primordiale, laddove l'etica non condanna ancora.
No, ora mi pare di vedere che sono naufraghe di ricchi velieri caduti in disgrazia e che dormono sull'acqua fra le loro sete elaborate. Attorno, angoli di mare scuro.
C'è buio aldilà della purezza di una vergine.
Invitanti contrasti cromatici. Come: proibizioni e desideri. Come: sogno nel sonno e morte. Come: fanciullezza androgina e sinuosa, materna identità di donna.
Lineamenti delicati, senza un intento realistico tracciati.
In tutta questa menzogna artistica posso dire di trovarmi smarrita ed ingenua, curiosa, ancora più che consapevole ipocrita. Ed è un caso eccezionale per cui non perdo mai l'abilità di sorprendermi.
Mossa da un istinto naïf non ho neppure bisogno di instaurare il patto, credo come se già possedessi la verità di questo dipinto nei suoi profili infiniti, ai quali di volta in volta mi affido, perché quest'arte muta con la mia metamorfosi. Perché è qui che sono privilegiato lettore e solo qui che tutto questo mi è concesso.
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