Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
8ª edizione - (2005)

Happy hour Ispirato al racconto "Il canarino" di Katherine Mansfield

 

Tradizionalista come al solito, anche quel sabato Lidia lo consacrò a fare shopping con la sua amica del cuore Diana, "senza quei noiosi dei nostri ragazzi", come si dicevano fra loro ridendo. Insomma, un giorno dedicato a loro stesse in cui potersi lasciar andare a spese folli e avventate, magari comprando vestiti da indossare la sera stessa, in cui si ritrovavano con i loro fidanzati e altra gente a bere drink in qualche locale alla moda.
Sebbene senza ragione, Lidia si sentiva incredibilmente felice quel giorno, fin dalla sveglia, che pure odiava categoricamente. Una sensazione di pace intensa la pervadeva, come se tutto ciò che c'era di brutto dentro e fuori di lei fosse scomparso, lasciando spazio a paradisiache visioni. Una liberazione incredibile, improvvisa e da lungo tempo ambita.
Eppure il tempo là fuori era brutto, lei che era così meteoropatica. Capriccioso e indeciso come un divo, il cielo alternava brevi pioggerelline, nubi minacciose e sprazzi di candida luce autunnale. "Fa le bizze oggi il tempo" disse Diana a Lidia quando si videro. "Eh già, basta che però ci lasci in pace. Non t'immagini quanto io sia felice".
Per Lidia, ogni passo quel giorno era come un volo. Non riusciva a resistere, continuava a sorridere, anche quando magari Diana le raccontava le sue disavventure lavorative. "Che fastidio mi danno i maniaci. Non lo immagini. Guarda un po' se io, che lavoro seriamente, devo rispondere al telefono e sentirmi ansimare direttamente nell'orecchio. Neanche faccio in tempo a dire la solita solfa 'Buongiorno sono Diana, posso aiutarla?'. E non si staccano! Ok, dico io. Vuoi fare 'ste cose, sei libero, ma chiama le linee erotiche, non disturbare la gente che lavora. Mi fanno schifo! Ma...ti fa ridere?". Lidia non poteva fare a meno di sorridere. "No, è solo che ti immagino lì con la faccia schifata che ascolti quelle voci". "Beh, non c'è niente da ridere, credo. Che li sentissi tu quegli ansimi nelle cuffie! Poi ne riparliamo".
Quel sabato, Lidia si limitò negli acquisti. Ci potevano essere mille ragioni, mancanza di cose carine, oggetti inutili e così via, ma la ragione principale era che si trovava alla fine del mese e i soldi erano pochini. In più doveva anche uscire quella sera. Si comprò un rossetto di un colore particolare, mai visto, un disco e un vestitino non troppo caro che trovò assolutamente fantastico. Fin dalla prima occhiata lo desiderò tantissimo. Era come se le parlasse, anche se sarebbe più corretto dire la tentasse. Lidia se lo provò e si vide straordinaria. Era così bello con quelle sue lunghe maniche nere trasparenti e quella scollatura così provocante! Giò diventerà geloso se lo indosso, pensò. Vabbè, però lo prendo anche per lui. Anche Diana le assicurò che quel vestito era bellissimo. "Prendilo tu" le disse. "Non voglio essere tentata. Sto comprando un sacco di cose".
Alle cinque si lasciarono, e ognuna tornò a casa da sola a prepararsi per l'Happy hour della sera. Anche in metro Lidia sentì quell'inebriante sensazione di felicità inesplicabile. Il volto, sereno e rilassato, attirava i commenti delle persone. C'era chi diceva "Guardala! Chissà cos'ha? Deve essere proprio innamorata". I ragazzi più giovani, non potevano fare a meno di notare la sua bellezza radiosa, mentre altri invidiavano quello sfoggio di pace interiore. Lei notò quei commenti, e non poté che sorridere nella mente. Che strano, pensò. Sulla metro sono tutti così sulle loro. Mai nessuno pensa agli altri. Però... quanto mi rende felice!
"Non piangere tesoro... sai, ma Cioffy è... è morto" disse la madre di Lidia, Silvia. Cioffy? Cioffy! No, non è possibile! Il mio Cioffy! "Dov'è? Dov'è?". Lidia volle vedere di persona. Eccolo lì il gatto, riverso a terra, con le zampe davanti allungate, gli occhi chiusi come se dormisse. Nessun respiro veniva però esalato. La sua pancia restava tragicamente piatta. Tutta la felicità che aveva provato fino ad allora scomparve. Il vuoto la prese. "No, no! Perché?". Scostò la coperta che Silvia gli aveva messo su per coprirlo. Iniziò ad accarezzarlo. Il pelo, duro e crespo a toccarsi, le dava una sensazione strana sulle mani. Cioffy, amore.
Era già da un po' di tempo che Cioffy stava male. Soffriva e si vedeva. Non ce la faceva più a saltare, a correre, perfino a camminare. Si muoveva quasi strisciando da un posto all'altro solamente per mangiare e dormire. Lidia sapeva dentro di sé che la morte per Cioffy era vicina, ma non voleva vederla. Per lei era come se quel gatto fosse immortale, e pensava addirittura che sarebbe stato presente al suo funerale, magari vestito tutto di nero e con il cravattino... e invece...
Anche quella mattina lo credeva. Appena sveglia gli si era avvicinata e gli aveva fatto tantissime carezze. Lui le aveva risposto stancamente con delle fusa. "Pigrone!" gli disse. "Neanche voglia di coccole hai". E lo aveva preso in braccio. Cielo, quanto pesava! Solitamente, Cioffy voleva stare in braccio solo quando lo voleva lui, altrimenti iniziava ad agitarsi e a graffiare. Eppure quella mattina non aveva fatto storie, anzi... Era restato tranquillo fra le sue braccia continuando a fissarla con occhi che parevano di vetro, talmente erano lucidi e piangenti. Solamente un'altra volta glieli aveva visti così, ben otto anni prima, e, come allora, anche quella mattina esprimevano spavento, paura, incapacità di capire. Le sue fusa sembravano singhiozzi, i suoi tentativi di muovere la zampetta parevano quelli di un genitore moribondo che cerca l'ultimo abbraccio di un figlio amato. Come sono stata cieca! Annebbiata da quella gioia improvvisa, non era riuscita a capire l'aiuto che Cioffy le domandava. Le diceva "Sto male, aiutami", e lei rispondeva sorridente "Pigrone!". Dovunque si trovi, se in cielo o nel nulla, di certo mi odierà, pensò. Che stupida che sono, stupida. E iniziò a piangere.
Per Lidia Cioffy non era solo un gatto, era molto di più. Si ricordò la prima volta che lo aveva visto. Aveva dieci anni, e sua madre la venne a prendere a scuola. Appena Lidia vide la faccia preoccupata di sua madre, le chiese cosa avesse. "Niente tesoro, sono... ecco, no, non preoccuparti. Passerà". Subito salì l'agitazione nella bambina. Che cosa poteva avere sua madre? Forse il papà aveva fatto qualcosa? Forse lei stessa? No, si disse. Non ho fatto niente. Continuò a rimuginarci sopra fino a casa. Qui la madre le disse: "Ascolta tesoro... Uff, ecco cosa non va. Vedi, purtroppo qui in casa le cose cambieranno un po' ed ecco... sì, sono agitata, va bene?". Lidia si spaventò. Com'era possibile che le cose sarebbero cambiate? Forse papà starà più con noi? Silvia iniziò a girare la chiave, lentamente. A Lidia vennero infiniti nodi alla gola. Ad ogni scatto della serratura il suo cuore iniziava a battere freneticamente, come i tamburi di popoli antichi. Oltre quella porta c'era un cambiamento. Quale, quale? L'apertura della porta sembrava durasse all'infinito. I sospiri aumentavano, le gambe tremavano. E poi, ecco! Tlac! La serratura si fermò. La porta poteva essere aperta. Silvia, tirando un grosso sospiro, disse: "Allora, sei pronta?". La bambina, sempre più immersa in uno stato confusionale ed impaziente, annuì. Ecco quindi la porta aprirsi. Subito Lidia si sentì mancare. Provava paura, tantissima paura. Sua madre gliela faceva salire, con i suoi gesti, le sue parole, i suoi sospiri. Lidia entrò titubante, e sentì chiudere la porta dietro di sé. Il buio non permetteva di vedere nulla, però, anche quando fu accesa la luce, la bambina non notò nulla di particolare. Tutto era al suo posto, in ordine come al solito. Ma ecco udirsi ad un certo punto una vocina acuta e stridente che sembrava piangere. "Miau! Miau!". Sono... sono miagolii! C'è un gatto! Lidia sorrise come la madre. Ma allora era uno scherzo! Ecco qual è il cambiamento! Silvia, prevedendo la possibile domanda di sua figlia, disse: "Lo ha preso papà per te. Lo vuoi vedere?". "Sì! Sì!" rispose entusiasta la bambina. "Dov'è?". "In bagno". Lidia sentiva ancora i miagolii mentre correva per raggiungere il bagno. Aprì la porta e... meraviglia! Dentro la vasca continuava a muoversi una creaturina bianca smarrita, tutta tremante. I miagolii e i vani tentativi del gatto di uscire invasero il cuore della bambina, che non poté, e non volle, trattenere le lacrime che piano piano iniziarono a coprirle gli occhi. Quanto lo aveva desiderato! E ora era lì, proprio di fronte a lei! Iniziò ad accarezzarlo, a chiamarlo micio micio. Poi, tutt'ad un tratto, un nome venne fuori della sua bocca. "Cioffy. Ecco, questo sarà il tuo nome. Cioffy!". "Miau, miau".
Da quel momento iniziò un rapporto stupendo, fatto di mille giochi, coccole, perfino confidenze. Lei vedeva Cioffy come un amico, al quale si poteva raccontare di tutto. Che gioia provava quando, entrando in casa, era accolta da un Cioffy miagolante che correva con le sue zampette storte davanti che facevano ballare tutto il corpo. "Eccomi qui!". "Miao!" Il gatto iniziava allora a passarle fra le gambe, ad appoggiare la testa sui piedi, a cercare ad ogni costo le coccole. "Aspetta" diceva lei. "Fammi prima entrare in casa!".
Ma ci fu un fatto che fece cambiare radicalmente la loro corrispondenza. Ci fu, infatti, un periodo in cui Lidia stava molto male. Cioffy la vedeva soffrire, e faceva tutto il possibile per tirarla su di morale. Un pomeriggio, però, la ragazza si sentì completamente a terra. Un masso la schiacciava, e le sembrava che più lei si muoveva, e più questo peso la opprimesse. A casa da sola non poté resistere. Cioffy, spingendo la porta socchiusa, entrò nel bagno bianco, e vide la sua padroncina inginocchiata a terra, coi polsi appoggiati al bordo della vasca. L'acqua del rubinetto continuava a scendere e a battere contro la plastica, impedendo il crearsi di un silenzio angosciante. Un'infinità di lacrime segnavano il viso di Lidia, che non le riuscì di vedere il gatto avvicinarsi a lei. Egli avvertiva paura e terrore. Cioffy si alzò in piedi in mezzo alle braccia di lei, appoggiando le zampe sui bordi della vasca. Irreale o no, il gatto spinse la sua testa morbida contro il polso freddo di Lidia. Fu in questo momento che la ragazza si accorse della presenza di Cioffy. Lo vide, ma soprattutto lo sentì. Il pelo iniziava a ridare a tutto il giovane corpo quel calore mancante. Entrambi si guardarono. Mai in tutta la sua vita Lidia vide occhi così carichi di sentimento. Essi dicevano: "Cosa succede? Perché ti fai questo? È male, vero? Ho paura per te, per me... non lasciarmi solo... non andartene...". Così lucidi, così bianchi. Lidia vi si specchiava, e vide tutte le sue lacrime. In un lampo, il vuoto fu riempito. Lasciò cadere il coltello nella vasca e abbracciò Cioffy. L'acqua continuava a scorrere...
Ed ora, dopo quindici anni passati assieme, Cioffy era andato via, per sempre. Lidia non ascoltava le parole di sua madre. A lei non importava come Silvia l'avesse trovato morto. Non c'è più e basta! Con le lacrime in volto, Lidia coprì totalmente il corpo senza vita, e si alzò. "Voglio seppellirlo. Domani vado con Giò fuori e... e troviamo un posto. Io, comunque, stasera non esco". "Su, non fare così. Esci un po', così ti distrai. Vedi Giovanni e le tue amiche. Ti tireranno su di morale." Silvia sapeva bene quale fosse il rapporto che legava Lidia a Cioffy: egli aveva fatto molto per aiutare la ragazza quando stava male, molto di più rispetto a tutti i dottori. È stato certamente grazie al gatto che Lidia è riuscita a star meglio, piano piano. Ed ora non voleva che sua figlia si isolasse ancora, ed era per questo che cercava di spronarla. Ci volle del tempo, ma alla fine Lidia si convinse. Di certo Giò e Diana saranno al mio fianco, pensò la ragazza. Silvia volle vedere i nuovi acquisti della figlia, e non poté che notare il vestito nero, e in pratica le ordinò di metterlo. "Guarda che bello che è" disse Silvia. "Già, è vero."
Dopo circa un'ora, Lidia fu pronta per uscire. Erano le otto di sera all'incirca, e fuori stava già scendendo il buio. Un'ultima occhiata a Cioffy, un ultimo saluto, ed eccola fuori dalla porta. Percorse le scale lentamente, aprì il portone del palazzo e si ritrovò all'aria aperta. Un leggero venticello le scompigliò i capelli, ma sembrava non le importasse granché. Lidia vide Giò vicino alla sua nuova auto nera che l'aspettava. Non appena lui la vide, iniziò a battere le dita sull'orologio. "Sei in ritardo, come al solito" le disse. "Scusa, ma oggi non sto bene". Giò si avvicinò a lei con aria grave. "Cos'è successo? Qualcosa di brutto?". "Ecco, è morto Cioffy". Allo sguardo interrogativo di lui, aggiunse: "Il mio gatto". "Oh, mi spiace tanto". La baciò sulla bocca e iniziò ad accarezzarle il viso, per asciugare le lacrime che cominciavano a scenderle ancora. "Su, non piangere. Ora andiamo. Diana e gli altri ci stanno aspettando. Vedrai che stasera ci divertiamo. Però sbrighiamoci, dobbiamo andare fino ai Navigli, da tutt'altra parte da qui". Giò si allontanò ed entrò al posto di guida. Lidia aprì la portiera e, dopo essersi seduta, la richiuse. L'auto fu accesa e cominciò a muoversi lentamente fra le strade di Milano. La ragazza guardava il paesaggio di fuori scorrerle accanto, e notò che forse il cielo si era deciso sul da farsi: avrebbe fatto cadere a terra milioni di gocce. "Inizia a piovere, maledizione!" disse Giò. "Non ci voleva". Azionò i tergicristalli.
L'odore di menta del deodorante dell'auto misto a quello della plastica iniziava a dar fastidio a Lidia. Si ricordò di quando lo aveva comprato con Giò: lei gli aveva consigliato quello alle rose perché più dolce, ma lui aveva riso. Era un profumo "scioccamente femminile" come lo aveva definito. "La menta è forte, ed io lo sono" aveva anche aggiunto. Tuttavia, lei non lo poteva sopportare. Volle accendersi una sigaretta, giusto per respirare un odore piacevole e per rilassarsi. La tirò fuori e l'appoggiò alle labbra. Ma quando accese l'accendino..." Cough, cough!". Era Giò. A Lidia non piaceva questo modo di fare: lo trovava irritante. Perché non dire le cose invece di fare tutte quelle scene? A lui in realtà non importa niente dell'odore di sigaretta, vuole solo che non rimanga appiccicata alla sua stupida auto, pensò lei. Ripose la sigaretta nel pacchetto.
Nella vettura si respirava un'aria di tensione: Lidia restava in silenzio, immersa nei propri pensieri, Giò era tutto intento nella guida.
"Sono quasi a secco" disse Giò. "Mi devo fermare, vediamo bene se c'è... Ah, si, eccolo!". Sulla destra vi era un distributore di benzina deserto, illuminato da quattro lampioni. L'auto entrò decisa, e si fermò davanti all'erogatore. "Aspettami qui. Faccio in un attimo". Lidia annuì con la testa, e ricevette un bacio da Giò, che uscì subito dopo. Le luci artificiali creavano una forte sensazione di melanconia. Il giallo accecante dei lampioni si mischiava con il nero oblio della sera, e creava negli occhi della ragazza una suggestiva visione violetta. Tutto ciò che vedeva aveva intorno a sé un'aura di quel colore, dai cespugli a fianco dell'auto, al caseggiato in fondo, fino al distributore e Giò, che armeggiava vicino ad esso. Lidia si guardò attorno. I rumori delle auto che sfrecciavano lì vicino, sollevando l'acqua che continuava a scrosciare sulla strada, sembravano echeggiare in mezzo al silenzio tombale della piazzola. Lei le vedeva passare di gran fretta. Chissà cosa faranno tutti stasera, si chiese. Dev'essere importante. Guarda come corrono. Non potendo sopportare il silenzio, Lidia accese la radio. Era sintonizzata su una stazione che trasmetteva musica disco, genere non molto amato da lei. Cambiò stazione molte volte prima di riuscire a sentire qualcosa che le piacesse. "Quanto adoro questa canzone!". E iniziò a cantare: "Every time I try to walk away, something makes me turn round and stay, and I can't tell you why". Per un attimo Lidia si sentì tranquilla. La musica la rese felice. Poi, però, lo scatto feroce di Giò che metteva a posto l'erogatore, la fece sussultare. Egli fece il giro ed entrò. "Cos'è 'sta roba?" disse. "Oh, ti prego, non cambiare. Mi piace questo pezzo". Giò sembrava non capire. Accese l'auto e uscì dal benzinaio.
Risollevata dalla canzone, Lidia incominciò a conversare con Giò. Dati i suoi sentimenti, non poteva che parlare di Cioffy. "Sai" disse lei. "Era un gatto molto speciale, davvero. Tutto ciò che faceva era incredibile. Tutto! Da come si lavava, con quelle sue zampettine, a come correva tutto storto. Mi ricordo di una volta che ero entrata in casa. Mi stavo togliendo le scarpe quando lo vedo correre verso di me. Non so cosa gli prese, però ad un certo punto si lasciò scivolare a terra. Ma te ne rendi conto?". Giò annuiva con la testa, gli occhi fissi sulla strada. Lidia, mentre raccontava, iniziava lentamente a considerare la tragedia sotto un altro punto di vista. Ora il dolore più grande stava passando, e la testa le si riempiva di ricordi piacevoli, affollandola. Mentre parlava, le lacrime scendevano lo stesso, ma un sorriso amaro le si disegnava sul volto. "Oh, mi mancherà! Essere svegliata da lui, annusando il suo profumo la mattina, accarezzare il suo pelo...". Sulla sua mano iniziò a sentire quella sensazione sgradevole che aveva avvertito toccando Cioffy morto.
Tacque, e restò in silenzio. Vedeva che nessuna reazione proveniva da Giò, tutto intento nella guida. Poi riprese parola. "Non dici nulla?" chiese. Giò la fissò un momento, poi parlò: "Beh, oggi non è che abbia fatto granché. Uff, sai, le solite cose... Ah, ti ricordi di, aspetta, come si chiama? ...Boh, Sara forse. Vabbè, stamattina l'ho incontrata e mi ha parlato. Sembra che abbia cambiato lavoro. Forse c'è anche lei stasera...". Lidia, delusa dalla sua risposta, lo interruppe. "No, io dicevo a proposito del gatto...". Fu qui che Giò esplose. "E che cosa ti devo dire? Mi spiace? Te l'ho già detto! Te lo ripeto, mi spiace, mi spiace! Te lo devo dire in arabo? Ecco... Lallacallaballa. Contenta, soddisfatta? Che altro ti posso dire? Cristo santo, è solo uno stupidissimo gatto!". A Lidia mancò il fiato. Com'era possibile che lui avesse gridato così? Stava ritrovando serenità, ed eccola che tutt'ad un tratto spariva, non lasciando nemmeno una traccia. Un nodo alla gola la prese. Lei voleva ribattere, affermargli che non era solo "uno stupidissimo gatto", ma che era Cioffy, che aveva vissuto con lui per quindici anni, molto più del tempo che lei stava con Giò, che l'aveva fatta ridere, piangere, disperare con i suoi disastri, ma che soprattutto che le aveva salvato la vita. Come poteva lui solamente immaginarlo? Ma non riusciva più a parlare, le mancava il fiato, le parole morivano sulla sua lingua. E ricominciò a piangere ancora una volta. "Ma cos'hai, piangi?" chiese Giò con voce più calma. "Mi dispiace, ma davvero, cosa ti posso dire?". Forse, qualche parola di conforto, d'amore, d'incoraggiamento non mi farebbero male. Sei il mio ragazzo. Dovresti amarmi, consolarmi. Non urlarmi dietro. Lidia guardò fuori. "Uff, senti, facciamo così. Sai domani cosa facciamo? Ce ne andiamo da mia nonna che abita in campagna. Lì è pieno di gatti, così ne puoi prendere uno. Sai a mia nonna come farebbe piacere?". "A-ah" mugugnò lei senza alcun entusiasmo. Giò la guardò con aria nervosa, stanca e annoiata. Per tutto il tragitto seguente non si aprirono bocca.
L'auto scorreva fra le strade bagnate. Le ruote, sollevando l'acqua, creavano fruscii. Le gocce battevano fragorosamente sul vetro, ma scivolavano subito via, lasciando dietro di loro un alone di bagnato, che alternava e annebbiava il paesaggio. Le luci bianche dei lampioni e quelle rosse delle auto davanti si spandevano sulla strada e sul vetro, creando come delle macchie su un dipinto. Tutto fuori era colorato e splendente. Mille luccichii riempivano gli occhi della ragazza che guardava fuori malinconicamente. Dentro l'auto si udiva una musica suonata al pianoforte. Lidia guardò di sfuggita Giò: il suo sguardo assente, il suo sorriso smarrito, la sua sensibilità inesistente... Tutto le sembrava odioso. Possibile che fosse questo l'uomo che amava? Ritornò a guardare fuori dal finestrino. La città a quell'ora di sera pareva risvegliarsi, non addormentarsi. Più si avvicinava ai Navigli e più se ne accorgeva. Le persone eleganti erano sempre più numerose.
Infine, si lasciò andare nei pensieri. La notte, pensò, mi è sempre piaciuta, fin da quando ero bambina... Non so il perché, ma mi ha dato tutte le volte un senso di pace... Quando guardavo fuori dalla finestra della mia camera e osservavo il parchetto buio, le auto che passavano dietro... E poi, più crescevo, e più l'amavo... Le luci al neon dei locali che illuminano le strade, quell'aria fresca che si respira, i leggeri venticelli che soffiano... Oh, mi hanno sempre riempita tutta... Così libera! ...Posso anche non bere mille drink la notte, per ubriacarmi, già lo sono! ...I colori, le luci, le parole, le stelle, la luna mi inondano... La città è sempre la stessa, eppure sembra di essere chissà dove... Le persone cambiano, diventando altre... Forse come sono in realtà... Come quella donna lì... Scommetto che di giorno è la classica perfettina, basta vedere i suoi vestiti, e invece guardala ora come bacia il suo fidanzato... Ehi, guarda che non scappa mica!... Eppure stanotte non mi sento così felice... Le luci... così artificiali... È la prima volta che sento di non appartenere alla notte... Tutto mi è estraneo... È solo perché sono triste? ...Oh, sì... Presto il mio dolore passerà, e Cioffy sarà solo un ricordo, uno dei più belli che abbia mai avuto... Mi manca tanto... Vorrei tanto stringere quella sua testolina... baciarla tutta... accarezzare per sempre il suo pelo morbido... Ho asciugato tante mie lacrime su di lui... ora dovrò farlo da sola... Oh, ora ho capito chi è davvero Giò... È così... Mi è rimasta solo Diana di veramente speciale... Lei sì che stasera mi consolerà... Mi capirà... Oh Cioffy...
Lidia non si accorse che Giò aveva parcheggiato. Il posteggio non era per niente lontano dal locale, anzi, era praticamente di fronte. "Hai intenzione di fare il muso tutta la serata?" chiese Giò. "Non so... E anche se fosse?". "No, dimmelo prima, così mi regolo". Lidia uscì, e chiuse la portiera violentemente. Vide il locale e tutti i suoi amici sotto ad un tendone che la salutavano. Lei rispose e si incamminò velocemente per non bagnarsi. Era seguita da Giò, che allargava le braccia come a dire, simpaticamente, "Chi la capisce è bravo". Lidia salutò tutti con timore. Erano così gioiosi... Giò si intonò subito in mezzo alla piccola folla. Diana andò incontro alla sua amica. "Ehilà, ciao cara! Ma... che faccia hai?". "Sai, è morto Cioffy. Non t'immagini quanto sia triste". "Oh, tesoro...". La baciò sulla guancia. Poi, tutta allegra: "Oh, ma lo sai che questo vestito ti sta da Dio?". Ed entrarono nel locale: li stava aspettando l'happy hour.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010