Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
8ª edizione - (2005)

Un'esperienza di lettura

 

Era un pomeriggio di settembre. Faceva ancora piuttosto caldo. Sono uscita da scuola e mi sono fermata nella strada affollata da studenti ancora abbronzati. Lui mi ha notata subito. Forse mi aveva già notata prima, chissà. Parlava davanti a un gruppetto di ragazzi con la grazia e la timidezza di un bambino che ha scoperto con astuzia i modi per attirare l'attenzione degli adulti. Padroneggiava, era limpido e sicuro. Brillava in mezzo a quella massa informe. Sono andata a bere qualcosa al bar davanti alla scuola con Ambra e lui era seduto in un tavolino all'angolo con il suo immancabile caffè americano e il moleskine stracolmo di appunti, pensieri, poesie... Era davvero bello. Mi è piaciuto già la prima volta. Ambra lo conosceva bene, avevano avuto una storia parecchi mesi prima. Ci siamo sedute con lui e mi sono sentita veramente impacciata quando me l'ha presentato. Ho voluto piacergli subito. Ho desiderato dal primo istante entrare a far parte di quella vita a tutti costi, anche di prepotenza, se fosse stato necessario. Volevo scoprire tutto di lui. L'ho colpito dove sapevo che avrebbe ceduto: ho fatto la timida, la misteriosa, ho parlato poco ma detto solo cose un pizzico pazze e stralunate. Non mi ha stupito che Ambra mi abbia chiamata la sera stessa dicendo che le aveva chiesto il mio numero, che voleva rivedermi. Perfetto, ho pensato, assolutamente perfetto. È stato come un sogno. Una strana avventura che arriva all'improvviso e sai che finirà, quando sai già che l'eco del rimpianto continuerà a risuonare senza sosta. L'eco di una storia durata un soffio che ti porterai dietro per tutta la vita. La prima volta ci siamo dati appuntamento al parco Sempione. "Porta il tuo libro preferito" mi ha detto di sfuggita in corridoio la mattina prima. È arrivato cinque minuti in ritardo sulla sua bicicletta con un cappellone rosso e nero e si è seduto vicino a me. Abbiamo parlato tutto il giorno, fino a che c'è stato talmente tanto buio da non riuscire nemmeno più a vederci. Avevo portato Il muro di Jean Paul Sartre. Me l'aveva prestato mio padre che avrò avuto sì e no quindici anni. L'avevo divorato in una settimana. Mi si era letteralmente aperto un mondo. Ho adorato quel libro e lo adoro tuttora. Maledetto, meraviglioso esistenzialismo. Quella sera sono tornata a casa confusa ed elettrizzata col mio libro sotto braccio e la voce di lui che mi ronzava nei pensieri. Ho sentito che era rimasto stupito: aveva scoperto che dietro a quel volto insignificante anch'io vivevo una tormentata, soffocante esistenza. Proprio come Sartre. Nel mese seguente siamo stati inseparabili: parlavamo e parlavamo e parlavamo e parlavamo. Avevamo sempre qualcosa da dirci. Abbiamo bevuto insieme milioni di caffè in milioni di bar diversi, la città era nostra. Era nostra la strada che scorreva veloce sotto le ruote della bici. Mi sembrava di volare su quella bici. Lui mi annusava i capelli e mi faceva volare in mezzo a tutti quegli individui signorili stile "giacca, cravatta e 24 ore" che giravano per le vie del centro. Ero libera, forte. Un giorno per un momento mi è sembrato davvero di volare.
Ho adorato la sua camera dalla priva volta che mi ci ha portata. Mi ricordo che ci siamo seduti sul letto e io gli ho chiesto di leggermi Rimbaud. Lo ha divertito il fatto che io amassi tanto Rimbaud, poeta rivoluzionario, instabile, trasgressivo, folle, perennemente in fuga. Poeta maledetto. Io che avevo sempre avuto una famiglia bella e felice e avevo tanta voglia di fuggire. E lui amava la calma e la classicità di Baudelaire, lui che una vera famiglia non ce l'aveva mai avuta. Lui che era così solo, che non aveva mai avuto nessuno che gli dicesse di tornare presto o che gli telefonasse preoccupato quando non tornava a casa. Disse: "Amiamo i lati opposti della stessa medaglia..." ed era maledettamente vero. Aveva la capacità di comprendere i taciti accordi che sottendono ad ogni stralcio di conversazione con un'umanità e una lucidità sorprendenti. Adoravo ascoltarlo mentre leggeva. Ci sarei rimasta ore. Mi lesse persino Totò in dialetto, c'era una poesia che si chiamava A livella. Parlava di un cimitero in cui ricchi e poveri, una volta sepolti insieme, non hanno più nessuna differenza tra loro. Mi chiese di leggergli Baudelaire in francese, Il vampiro. È una poesia de I fiori del male. La lessi malissimo, senza intonazione, con una pronuncia terribile. Con quel mio francese che molto tempo dopo ha definito sarcasticamente "rugginoso". Si arrabbiò moltissimo perché non sapevo leggere quella poesia. Rimase in silenzio per un paio d'ore, appoggiato sulle mie ginocchia e poi mi chiese di andare via. Lì ho capito che non ero stata io ad entrare nella mia vita. Lui mi aveva preceduta, e adesso ero io che avevo bisogno di lui. Della sua follia, delle sue stranezze, della sua inusualità. Non lo amavo, non lo mai amato in verità. Ma lo adoravo, forse anche lo invidiavo. Per lui sono stata una sorta di madre, almeno all'inizio. Qualcuno con cui parlare, con cui sfogarsi. Non ha mai desiderato i miei baci o la mia intimità. Desiderava solo sentirsi padrone della mia vita. Voleva che io lo amassi con la foga di una madre che tra mille cerca sempre disperatamente il proprio bambino. Aveva definito la nostra storia un amore platonico...
Un giorno mi portò un libro. Aveva una copertina azzurra tutta rovinata e le pagine gialle un po' consumate. Uno di quei libri che leggi mille volte, uno di quei libri che ogni tanto riprendi in mano prima di andare a dormire e ti viene una voglia irrefrenabile di rileggere quel capitolo, quella pagina, quella riga. Aveva un po' di macchie di caffè qua e là. C'erano i suoi appunti a matita dappertutto: alla fine del libro in una pagina aveva copiato tutte le frasi più belle. Sulla copertina c'era scritto a penna con quella sua calligrafia dolce e terribilmente femminile: Le memorie di Adriano. Mi disse di aver prestato quel libro a un sacco di persone, ma nessuno era mai riuscito a finirlo. Diventò una sfida, dovevo leggere quel libro. Il giorno seguente mi sorprese immersa nella lettura in quello stesso bar in cui ci eravamo incontrati la prima volta. Gli lessi una frase che mi aveva colpito con voce timida e col timore che non mi avrebbe capita: La molteplicità delle conquiste contrasta con il desiderio di enumerare esattamente le ricchezze che ogni nuovo amore ci reca, di osservarlo mentre si trasforma; fors'anche mentre invecchia. Mi capì benissimo invece. Mi disse di scrivere tutto ciò che mi colpiva in quell'ultima pagina, dove le nostre due calligrafie femminili e sinuose si mischiarono e si unirono per sempre sulla carta di un libro che non ha torto posso definire lo "statuto" del nostro amore. Lo lessi tutto fino all'ultima pagina. Non ho mai letto un libro con tanta devozione e tanto scrupolo. Volevo capire tutto. Sono finita per diventare dipendente da Adriano proprio come lo ero da lui. Mi sono trasformata in una critica esperta e acuta per riuscire a mostrarmi degna della fiducia che mi aveva dato con quel prestito. Studiando a fondo ogni briciola di ogni pagina, ho acquistato una capacità di critica totalmente autonoma, che non mi ha più abbandonata, e con cui tuttora mi pongo nei confronti di un libro, con la libertà e la passione del lettore intrepido e spregiudicato. L'ho fatto solo per far piacere a lui, per non deludere le sue aspettative. Ero in balìa della sua volontà. Forse però in fondo non mi resta che ringraziarlo per quell'unico dono duraturo che quasi senza volere è riuscito a farmi: grazie a lui sono una lettrice modello, intelligente e sognatrice, quel tipo di lettore che ogni scrittore sogna di colpire con le proprie parole. Grazie a lui ho scoperto che la scrittura ci rende liberi e autonomi. È forse il figlio più illustre che la ragione umana abbia mai saputo concepire.
Un pomeriggio sono andata a casa sua per aiutarlo in greco ma ci è voluto poco per capire che era decisamente più bravo di me, nonostante fosse più giovane. Aveva una padronanza e una sicurezza sorprendenti nell'esporre argomenti che aveva letto sì e no una volta e quel pomeriggio imparai da lui, sebbene avessi studiato quelle cose tempo prima e molto più approfonditamente. In quel periodo davano a teatro lo spettacolo con Albertazzi ispirato a Le memorie di Adriano. Io avrei dovuto andarci con la scuola e avevamo cercato un biglietto per lui per giorni, ma senza nessun risultato. Sua nonna irruppe in cucina mentre studiavamo con un biglietto in mano. Era uno dei regali più belli che avrei potuto immaginare. Sua nonna era in realtà l'unica persona che amasse veramente, ma forse era solo un eccesso di gratitudine per averlo accolto in una bella casa e avergli dato tutta la libertà e l'autonomia che desiderava. Tutto ciò che un qualsiasi ragazzo di quell'età avrebbe potuto desiderare. Quella donna mi guardò sempre sorridendo e chiacchierò con me con complicità. Una complicità che io fraintesi stupidamente. Solo più tardi avrei capito che quei sorrisi erano solo per assecondare il nipote, che lei stessa amava più di un figlio, e che quelle conversazioni standard le aveva ripetute mille volte a tutte quelle creature indifese e ammaliate che lui aveva portato al suo cospetto. Per lei, così come per lui, io non ero che una delle tante. Non c'era alcun bisogno di analizzarmi: presto sarei sparita come tutte le altre che mi avevano preceduta e non avrei mai avuto il tempo di modificare quell'equilibrio perfetto che si era instaurato tra i due, che avevano capito che per convivere bene avrebbero semplicemente dovuto assecondarsi a vicenda.
Ci incontrammo davanti al teatro. C'erano un sacco di compagni e professori e notai che si vergognava terribilmente di farsi veder in mia compagnia. Parlava con altri, era indifferente, si sedette addirittura lontano da me. Tra gli spettatori mi sentivo superiore, sprezzante. Ero tra i pochi ad aver letto il libro e rimasi sorda ai commenti idioti e fuori luogo che facevano i miei compagni seduti nei paraggi. Rimasi al di sopra delle parti, come fa sempre colui che sa con certezza di possedere la verità. Mi gustai lo spettacolo in completa solitudine con l'occhio del critico che sa crearsi un'opinione senza pregiudizi, interpretai e giudicai ogni cosa in maniera sorprendentemente perspicace. Ero entrata nel libro, nello spettacolo... Senza sapere che quel libro sarebbe stato anche il "testamento" del nostro amore, un testamento che avrebbe lasciato in eredità a lui la fama del poeta passionale e vagabondo, che ovunque si sente a casa senza legami e senza tristezza, e a me soltanto amarezza e delusione. Dopo lo spettacolo ci sedemmo in un bar come sempre. È stato lì che ho veramente capito che non eravamo stati che una complicità segreta e passeggera, improrogabilmente destinata ad esaurirsi. Un momento breve e clandestino. Forse bello, ma senza un domani. Ho capito che lui non avrebbe mai potuto far parte della mia vita, proprio perché non avrebbe mai permesso che io facessi parte della sua. Ho pianto per questo e mi sono sfogata tra le sue braccia ormai disinteressate e distanti. Una stretta distratta, senza nessun trasporto. Ho dormito con lui, ognuno rannicchiato in un angolo del letto. Ho pianto tutta al notte ma lui non mi ha sentita. Il mattino seguente sono uscita senza salutarlo e sono scappata per strada sotto la pioggia. Le mie lacrime si sono mischiate a quelle del cielo e mi sono fermata a parlare con un signore davvero gentile, che vedendomi così inzuppata e lacrimosa mi ha offerto il suo ombrello e anche un caffè. Da quel momento lui non ci sarebbe stato più. In quel momento era finita una storia mai iniziata, di cui nessuno sospettava l'esistenza. Da quel momento in poi ho iniziato a sperare invano che lui tornasse. Di lui non mi rimane che una lettera d'addio, complicata, sincera, splendida. Scritta con la calma e la classicità di Baudelaire. Una lettera che ho letto mille volte. Forse di più. Una lettera in cui mi abbandona, senza possibilità di tornare indietro. Di lui mi rimane l'amore per un libro letto come si deve. La passione, la pazienza, la bravura, l'istinto del buon lettore. Di lui non mi rimane niente. O forse mi rimane tutto, perché l'unico romanzo di cui posso scrivere è della nostra storia insieme.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010